Aziende sanitarie, manager e direttori generali, sanità privata e sanità pubblica, ospedale e territorio, sono temi che si rincorrono, specie dopo aver vissuto il dramma del COVID-19 che ci ha fatto toccare sulla nostra pelle che siamo più vulnerabili di quanto immaginassimo.
Scarsa l’attenzione a un tema che è propedeutico a qualsiasi ragionamento: cosa intendiamo per salute?
Un sistema sanitario, aziendale o meno, privato o pubblico, “ospedalocentrico” o diffuso può essere valutato e anche ridisegnato, se ci accordiamo su quale deve essere il suo obiettivo: cosa sia la salute non è tanto una definizione accademica, ma il perimetro di azione di un sistema che poi sarà chiamato a rendere ragione dei risultati ottenuti .
La salute è un bene primario per ciascuna persona e si intreccia inevitabilmente anche con la sfera delle scelte personali e quindi delle libertà e autonomie decisionali dei singoli cittadini. Di più: poiché l’essere umano vive da sempre in collettività, adesso per giunta su scala planetaria, le scelte individuali non posso prescindere dalle conseguenze che determinano sul gruppo di appartenenza e sono spesso condizionate dai saperi e dalle convinzioni del gruppo di appartenenza che, in un contesto come l’attuale, è sua volta influenzabile, se non manipolabile, da fattori esterni non sempre riconoscibili.
Torniamo a provare a definire il concetto di salute: se tutto si “riduce” ad “assenza di malattia”, con il conseguente corollario che un sistema sanitario ha il compito di “estirpare o risolvere la malattia”, ossia provvedere di conseguenza a gestire lo stato di malattia non guaribile, evitandone il peggioramento biologico, e di conseguenza, lasciando inevitabilmente al proprio destino le fasi non altrimenti controllabili della malattia, è – pur in mezzo a moltissime difficoltà tecniche e concettuali – ipotizzabile lo sviluppo di un sistema che intervenga su quello che – a buon diritto – è un “accidente contingente”, attraverso forme di diverso impegno organizzativo – ambulatorio – ricovero – domicilio – in ragione di differenti situazioni legate alla tipologia e gravità dell’”accidente contingente” e in misura ridotta legata ai contesti territoriali.
Per centrare questo obiettivo, è razionale immaginare di concentrare in alcuni presidi risorse –tecnologie – per far fronte alle condizioni più gravi e che necessitano di strumenti non solo costosi, ma anche complessi da manutenere, sviluppare una diffusa capacità di analisi veloce delle condizioni di malattia che si vanno instaurando, preferibilmente attraverso adeguato sviluppo di tecnologie appropriate, mettere un “presidio territoriale diffuso” in funzione di sentinella iniziale e di monitoraggio post-evento: è lo schema classico che vede in Ospedale – medicina specialistica e medicina territoriale, tutti interconnessi in maniera bidirezionale, le strutture portanti del sistema sanitario.
E’ consequenziale che per far fronte ad un sistema così disegnato imperniato sulla tecnologia e una professionalità molto elevata e iper-specifica, sia necessaria una qualche forma di organizzazione di tipo aziendale perché gli “outcome” previsti (guarigione o stabilizzazione della malattia) devono essere in grado di generare un profitto (modello profit assicurativo) o rimanere ancorati all’interno di un tetto pre-definito di spesa (modello pubblico): di fatto la persona è un acquirente di una serie di servizi che hanno lo scopo di raggiungere l’obiettivo della sua salute, immaginato come “stato oggettivo” di assenza di malattia.
Di qui gli ovvi corollari su qualità, pertinenza, disponibilità dei servizi cui si accede: il market può essere con o senza “pagamento diretto” da parte dell’acquirente, ma si tratta sempre di “acquisto di beni e servizi”. E semmai il tema – per chi è più sensibile – è come rendere accessibile i servizi di cura a tutti.
A mio giudizio, in società con un elevato tasso di mortalità in età giovane adulta e con una attesa di vita ragionevolmente breve, un simile concetto di salute ha una sua sostanziale efficacia. Quando il numero di persone fragili, non guaribili, ma che hanno lunghi anni di vita da percorrere con una autonomia limitata, è così elevata da quasi pareggiare il computo di coloro che “non hanno malattie o che possono guarire” e “pesa” sulla parte “sana” della popolazione in maniera crescente si producono due pericolose distorsioni:
- una di tipo economico, perché il modello diventa insopportabilmente costoso: le persone “fragili” ricorrono in maniera continuativa ai servizi di cura
- una di tipo sociale perché queste persone “non sane” finiscono per gravare sulle dinamiche sociali, e finiscono per porre dilemmi di tipo etico.
In una società come l’attuale dove l’attesa di vita è lunghissima, il tasso di mortalità giovanile contenuto, le capacità di cura di malattie anche gravi è aumentato, allungando le aspettative di vita in condizioni però di fragilità o dipendenza, la consapevolezza che l’unica vita posseduta meriti “adeguata qualità”, anche perché non si ha nemmeno una prospettiva trascendente, il concetto che la salute sia solo “assenza di malattia”, probabilmente è una idea sbagliata
Non a caso, qualche decennio fa, l’OMS ha definito la salute come “stato di benessere fisico, mentale e sociale”.
Questa definizione, sposta completamente il fulcro della questione: la salute non è più un “oggetto” definibile e acquistabile, e quindi “misurabile” con indicatori di risultato pur complessi, ma diventa uno “stato soggettivo” dove alla condizione biologica si aggiunge il giudizio personale a sua volta condizionato non solo dalla assenza di malattia, ma anche da quelle condizioni psicologiche e sociali che sono influenzate in maniera significativa dai contesti in cui si vive: la questione è quindi molto più complessa!
In questo momento storico siamo in una fase intermedia di evoluzione del pensiero: i cittadini reclamano uno stato di salute che non è descritto solo dall’“assenza di malattia”, ma anche dalla capacità di attenzione e cura – intesa come “prendersi cura” anche delle persone fragili – anziani o disabili o con sofferenze psichiche o mentali – : purtroppo lo schema con cui i sistemi sanitari tentano di rispondere è ancora quello ancorato alla salute “oggetto” con il corollario di servizi e prestazioni da acquistare o con costi a carico della collettività per ottenere il risultato sperato,
Risultato? Commercializzazione del bene “salute”, costi in continua crescita, risultati largamente insoddisfacenti , nonostante l’innegabile progresso tecnologico e di cura, contenzioso continuo: con linguaggio “filosofico”, “reificazione” della persona e alienazione dei contesti sociali.
L’assenza di una analisi approfondita porta erroneamente a credere che l’insoddisfazione sia legata alla inefficienza del sistema all’interno di coppie antinomiche di interpretazione: troppa aziendalità o troppo poca; troppo privato o troppo pubblico; troppo ospedale o troppo sistema territoriale; troppa politica o troppo poca. Su una cosa sono tutti d’accordo: ci vogliono più risorse, salvo evitare accuratamente di definire come devono essere recuperate e nel caso di un sistema a risorse finite, a scapito di quale altro settore recuperarle.
Nella attuale società, “salute” senza benessere e qualità della vita è un concetto implicitamente non più accettato: di certo “la cura della malattia” è un tassello importante per il benessere e per la qualità della vita (quando abbiamo un dolore, nessuno di noi sta bene…) ma non è il tutto.
Se esiste anche una componente soggettiva e sociale e se benessere e qualità della vita riguardano anche la moltitudine di coloro che sono in condizioni di fragilità innescate da una condizione biologica non altrimenti emendabile, lo schema organizzativo con cui affrontare un imperativo categorico di ordine naturale: “consentire a tutti uno stato di salute ottimale”, va radicalmente ripensato.
Il primo tassello che va ridisegnato è quello della “governance” del sistema e le modalità con cui rendere disponibili servizi, condizioni e modalità attraverso le quali il cittadino possa avvicinarsi il più possibile ad uno “stato di salute”: si deve uscire dal “market sanitario” per entrare in un nuovo modello di co-costruzione sociale del benessere delle persone.
Massimo Molteni