Scorrendo le 528 pagine del XVI Rapporto Sanità pubblicato recentemente dal CREA – una lettura approfondita dei risultati della mole di lavoro svolto, come ormai da anni ci hanno abituato i ricercatori guidati da Federico Spandonaro, con grande accuratezza e professionalità, richiede ben più che i ritagli di tempo sottratti al quotidiano che ci affanna – mi è tornato alla mente un film che ha spopolato negli anni ’60, “Ieri, oggi e domani”. Due fini conoscitori dell’anima del popolo italiano e grandi interpreti della cultura popolare nostrana, quali Vittorio De Sica e Eduardo De Filippo, unirono, in quella pellicola, la loro maestria per mettere a nudo pregi e difetti tipici dell’italiano, capace di barcamenarsi nella routine quotidiana “cogliendo l’attimo”, poiché “del doman non v’è certezza”, pronto poi però a dar vigore a tutta la sua innata capacità creativa quando l’emergenza si affaccia all’uscio della vita. Il film è del 1963, dunque di 58 anni fa. Eppure Adelina, Anna e Mara – le protagoniste dei tre episodi che animano la trama della pellicola, interpretate da una maestosa Sophia Loren – non sfigurerebbero minimamente nel contesto che ci è dato di vivere in questi anni, anche se il nostro obiettivo è puntato sullo spicchio della nostra vita sociale che riguarda la sanità. Adelina, la venditrice abusiva di sigarette di contrabbando che si presenta sempre incinta per sfuggire all’arresto, Anna, la ricca signora che allaccia una relazione con un nullatenente pur di dare un po’ di vivacità alla sua vita piatta pur se lussuosa, e Mina, una prostituta che adesca un tenero seminarista, capace di rinunciare al suo stile di vita pur di aiutare il giovane a non abbandonare il suo percorso, rappresentano proprio le trame che sottengono al tessuto sanitario del nostro Paese, messe a nudo proprio dal prezioso lavoro di Spandonaro & partners.
Mi spiego: oggi è più che mai perfettamente chiaro che abbiamo gestito il nostro SSN con una “pandemica” mancanza di una visione d’insieme ( e questo il Rapporto lo evidenzia in modo inequivocabile ) tale da poter supportare una seria e concreta programmazione, che non rimanesse solo sulla carta. Il primo effetto è stata la nascita della diseguaglianza nell’accesso alle cure dei cittadini. Dunque un problema di equità e di giustizia al quale si è cercato di rimediare con un artifizio, l’istituzione dei Lea, senza però pensare all’adeguamento delle strutture sanitarie di tutto il territorio nazionale per rendere effettiva l’operatività degli stessi. Dunque se inizialmente c’è stato chi ha tirato un respiro di sollievo per la “trovata”, è arrivato il momento in cui si è dovuto prendere atto dell’insostenibilità del sistema (vedi l’allagarsi della forbice da Nord e Sud e l’incontenibile allungamento delle liste d’attesa e via dicendo). Perciò se l’escamotage è servito ad allontanare per un attimo il problema, è arrivato subito dopo il classico nodo al pettine perché non si sono programmate le modalità d’intervento. Per quanto ci riguarda come ARIS abbiamo spesso sollecitato un incontro con le autorità competenti, consapevoli del ruolo che ci è stato assegnato dalla legge istitutiva del ssn , ma mai riconosciuto sino in fondo. Parità di diritti e doveri, riconoscimento di titoli e servizi identici al servizio pubblico – del quale siamo, proprio per quella legge, parte integrante – tuttavia limitati da inconcepibili restringimenti. Senza i quali saremmo in grado di contribuire in maniera decisiva a rendere concreto e più efficiente il programma “Lea”, per esempio con l’abbattimento delle liste d’attesa.
Altra questione. Dopo un periodo di insensati tagli alla sanità per aggiustare i conti dello Stato – provvedimento che ha reso l’Italia tra i fanalini di coda dell’Europa con il 40,2 % in meno della media di spesa per la sanità negli altri Paesi – ecco passare la chimera dei miliardi del ricovery plan che fa sentire i nostri governanti come la ricca signora che decide di esternare una magnanimità, che tra l’altro non le appartiene, nei confronti della creatura sino ad oggi ghettizzata. Il rischio è quello di svegliarsi alla fine e capire di aver inguaiato ancor di più la creatura. I ricercatori del CREA mettono sapientemente in guardia da questo rischio quando sostengono che “non possiamo permetterci di commettere l’errore di investire per manutenere l’esistente o tentare di recuperare ritardi su politiche ormai obsolete alla luce della dirompente innovazione che caratterizza il settore”. Che, secondo una lettura legata proprio al momento emergenziale che stiamo vivendo, significa che per restituire al sistema ospedaliero la potenzialità decimata dai tagli, è innanzitutto necessario creare le giuste condizioni per una efficace transizione verso un nuovo sistema sanitario, fondato su un sistema innovativo che dimostri la sua efficienza anche in un futuro prossimo e remoto. Ma per fare questo è necessario avere una visione chiara del progetto da portare avanti con la partecipazione di tutte le forze in campo, siano esse pubbliche o convenzionate o anche private tout court. E questo lo riteniamo un passaggio fondamentale, forse un po’ trascurato nel report, perché la sanità cosiddetta “privata” nelle sue diverse accezioni, costituisce una parte portante dell’intero sistema, fare a meno della quale potrebbe complicare notevolmente la situazione sanitaria del Paese. Anche in questo periodo emergenziale le nostre associate hanno dimostrato tutta la loro potenzialità e tutta la loro professionalità, messe immediatamente a disposizione della comunità civile. Non solo non c’è stato un benchè minimo riconoscimento pubblico, anzi! E non c’è stata una sola norma contenuta nelle diverse formulazioni del DL Ristori che avesse riguardato personale e funzioni delle nostre Istituzioni. In alcune regioni è stata persino innestata la retromarcia su accordi già definiti a livello ministeriale e di conferenza delle regioni.
In questa ottica non possiamo che guardare con preoccupazione al piano di ripartizione delle risorse che saranno messe a disposizione della sanità: dimenticare o tralasciare la questione sanità privata sarebbe un errore. Anche questo rientra in quella “vision ben strutturata” di cui si parla nel Rapporto, giustamente ritenuta necessaria per dare un futuro innovativo al sistema sanità in Italia.
Ma sono tante le cose da fare. I ricercatori di C.R.E.A. hanno ben evidenziato, tra le diverse falle del sistema, un mancato coordinamento tra le politiche assistenziali e quelle industriali, una assenza drammatica di organizzazione che troppo spesso ha costretto tutti gli attori della sanità a lavorare in modo emergenziale – e non solo in tempi di pandemia – una scarsa cultura statistica e una deficitaria capacità di comunicazione che non permette una adeguata messa a disposizione dei dati disponibili. Per non parlare poi della diffusione delle informazioni, spesso distorte e preda di opinionisti dell’ultim’ora, peggio del lunedì mattina quando gli italiani si sentono tutti “commissari tecnici”.
Mi trovo assolutamente d’accordo quando si dice che un SSN universalistico rappresenta una ricchezza per la nazione e una conquista di civiltà per i cittadini, ma le patologie che affliggono il settore sanitario, socio-sanitario e assistenziale sono molteplici e alcune sembrano ormai avviate verso un decorso cronico. E’ vero: la pandemia ha rappresentato per tutti uno stress-test a cui ognuno ha cercato di rispondere al meglio, ma perché la risposta fosse adeguata forse sarebbe stato necessario contare su politiche più appropriate e lungimiranti che dotassero il sistema di una maggiore equità nella distribuzione delle risorse e proprio di innovativi piani organizzativi capaci di prevedere maggiore flessibilità dei diversi servizi offerti alla popolazione. Ribadire la centralità dell’ospedale, non vuol dire farlo diventare una cattedrale nel deserto, ma contornarlo di adeguati servizi di prevenzione, assistenza territoriale, domiciliare, ossia un sistema integrato che sappia rispondere alle esigenze dei cittadini.
Va bene la considerazione del Servizio Sanitario come un’area di produttività e non di mera spesa, e va bene anche la visione che ciò si ottenga attraverso la ricerca, ma occorre che quest’ultima sia supportata adeguatamente in tutte le sue forme. Mi chiedo: quanti dei nostri 23 IRCCS, riconosciuti eccellenze a livello nazionale e internazionale, vengono invitati a sedersi ai tavoli istituzionali e ottengono il necessario supporto per il loro importante lavoro di ricerca? E questa è soltanto la punta di un icerberg, al di sotto della quale sostano ospedali, centri di riabilitazione, presidi ospedalieri, case di cura, RSA, che cercano di sopravvivere nelle acque agitate del nostro sistema sanitario.
Per questo guardo all’arrivo delle ingenti risorse messe in campo come ad un importante banco di prova, non solo per i problemi contingenti, ma soprattutto per la lungimiranza con cui siamo chiamati a riprogrammare il futuro. Dobbiamo mettere a punto un nuovo modello di sistema sanitario che sia efficace ed efficiente per tempi lunghi, che sappia modularsi a seconda delle necessità, avvalendosi del contributo di tutti le forze messe in campo. Per far questo tutti gli attori devono essere ammessi sul palcoscenico. E ben venga la proposta dei ricercatori del CREA di uscire dalla logica del top-down, cioè della mera ripartizione dei fondi su capitoli di spesa, e imboccare la strada che porti a sviluppare un algoritmo trasparente che misuri il rendimento atteso delle progettualità per il bene del Paese e del SSN. E in base a questo dare priorità a tutti i progetti che riguardano le aree strategiche, prime fra tutte l’assistenza primaria, la digitalizzazione, l’ammodernamento infrastrutturale, anche e soprattutto la ricerca. A patto che tutto si realizzi senza preclusioni di sorta e senza pregiudizi. Il che innesterebbe veramente un processo virtuoso e trasparente, capace di restituire solidità al sistema, di investire in modo oculato e promuovere una sorta di “gare delle idee” limitando “il rischio di logiche a silos e sprechi”. Tutte condizioni, concordiamo pienamente con i ricercatori del CREA, “davvero essenziali per non sprecare l’opportunità, forse irripetibile, che si è generata” proprio a causa della pandemia.
Mauro Mattiacci