La società democratica è una società culturalmente evoluta. La democrazia è una conquista che consegue quasi sempre ad eventi tragici, guerre, rivoluzioni, sommosse più o meno cruente, che avvengono a conclusione di periodi di regimi oppressivi. Nella storia è sempre stato così. La conquista della democrazia però non è definitiva se i suoi cittadini non sono in condizione di saperla conservare e difendere.

Per essere capaci di tanto è necessario che il popolo sia in possesso dei mezzi culturali che possono metterli al riparo da ritorni, sempre possibili, di regimi dispotici. La cultura dunque, il sapere, la conoscenza, le doti morali e intellettuali, le più sviluppate possibili, costituiscono le armi più efficaci per conservare e difendere la libertà e la democrazia.

Se questo discorso è giusto, ne consegue che lo stato a carattere democratico ha tra le sue prerogative, come  finalità fondamentale della sua azione, lo sviluppo della cultura, delle doti più proprie della personalità di ogni individuo, come uomo e come cittadino. Tutto ciò si realizza con l’opera di istruzione, per meglio dire, di istruzione e di educazione.

L’istituzione principale che è preposta all’istruzione e all’educazione è la scuola. Dunque la scuola, tra tutte le istituzioni di uno stato democratico, è quella che deve avere un ruolo centrale, un’attenzione politica fondamentale.  La difesa, la salute, l’economia hanno grande rilevanza nell’azione politica di una nazione, ed è giusto così, per assicurare benessere e vita sicura ai propri cittadini.

Ma a ben considerare la complessità del processo civile in tutti i suoi tasselli, che devono essere ricondotti alla qualità dell’esistenza umana, non si può sfuggire dal pensare la politica come un servizio al bene dell’uomo, in quanto personalità con le sue potenzialità, e del cittadino, essere sociale che è tenuto al rispetto della convivenza, delle regole della vita associata, ma anche di scelta, di responsabilità, di contributo personale al benessere della società.

Più alto è il livello di sviluppo della personalità, più alto il livello del’istruzione e dell’educazione, con l’interiorizzazione dei valori dell’essere uomo, maggiori sono le garanzie che la società rinsaldi e difenda la vita democratica. Parallelamente si deve ritenere che siano meglio attuate le altre funzioni di cui si diceva, la difesa, la salute, l’economia, per assicurare l’equità sociale. Ma  alla base di tutto ci deve essere la scuola.

Studiosi di diversi indirizzi culturali lo hanno sempre sostenuto. E’ la qualità della scuola che eleva e fa crescer la democrazia e la mette al sicuro da devianze e dai pericoli di degenerazione. Purtroppo queste verità così evidenti, così logicamente incontestabili, fanno fatica ad entrare nella coscienza politica, quando la politica ubbidisce a logiche perverse, malsane, volte a  convenienze di valori contingenti, di ricerca del consenso a tutti i costi spendibile nell’immediato politico-elettorale, ma  di scarso respiro e prive di lungimiranza.

INADEGUATEZZA POLITICA DEL PASSATO E DEL PRESENTE.

Con il ritorno della democrazia e la riconquista della libertà, dopo la seconda guerra mondiale, la scuola ha avuto notevole sviluppo. Riforme ed espansione quantitativa, per far fronte ad un sempre maggiore bisogno di istruzione, furono realizzate negli anni del boom economico, ma una politica scolastica che fosse di forte sostegno all’azione educativa e che avesse come scopo la qualità dell’istruzione è decisamente mancata. E’ mancata per tutti i decenni successivi, fino ai nostri giorni, la visione politica della centralità della scuola.

Questa carenza è all’origine del progressivo sgretolarsi del prestigio e della qualità delle istituzioni formative, del prestigio e del riconoscimento di valore del’azione degli insegnanti e degli altri operatori scolastici. Ne è derivato il depauperamento della loro posizione economica e lo scadimento dell’importanza della loro professione. Il dibattito politico che ha animato la vita del paese negli ultimi settanta anni non ha mai avuto il problema scuola come interesse centrale, né quando i partiti storici erano collocati al governo e all’opposizione, né dopo il loro tramonto, con la formazione di nuove forze politiche.

Grandi convegni e grandi congressi dei partiti di governo e dei partiti di opposizione sono stati sempre occupati da tematiche economiche, sociali, di lavoro, di politica internazionale, ma le problematiche attinenti la scuola sono state sempre confinate in secondo piano, come se quello della scuola fosse un argomento del tutto marginale.

Nei tempi più vicini all’attualità le cose sono andate anche peggio, con pseudo riforme e riformette che hanno nuociuto alla scuola, in conseguenza anche di forti tagli ai bilanci di gestione dell’istituzione scuola. Di recente, abbiamo assistito a presentazioni di governi in Parlamento in cui non è stata spesa una sola parola per la scuola, neanche nei dibattiti parlamentari che ne sono susseguiti.

La mancanza di una adeguata attenzione politica alla scuola emerge ormai da tempo durante ogni crisi di governo. Nella fase delle trattative per la formazione di un nuovo dicastero non si parla mai della scuola. Le frizioni politiche che sorgono tra i partiti nel cercare di trovare un accordo programmatico e strutturale per formare la nuova compagine governativa, i temi della scuola sono assenti. Si tratta su tanti problemi che sono attuali nel momento, ma la situazione scolastica appare non essere mai di attualità. Lo stesso incarico di ministro dell’istruzione non è ambito da nessuno dei politici più importanti del momento.

Non a caso è successo che, negli ultimi venticinque anni, nei vari governi che si sono succeduti, di tutti i colori politici, i ministri dell’istruzione, tutte figure di secondo o terzo piano, siano stati ministri una sola volta, all’istruzione, alcuni anche non parlamentari. Qualcuno non ha fatto nulla, e questo è stato anche un bene, altri hanno fatto pasticci, con interventi assurdi e dannosi per la scuola.

I pezzi grossi della politica non desiderano mai la carica di ministro dell’istruzione perché non dà prestigio, non conta nulla politicamente. I nomi più in vista, i più potenti del momento, puntano a ministeri come l’Economia, gli Esteri, gli Interni, la Difesa, le Infrastrutture e qualche altro, mai all’Istruzione, alla quale è destinata sempre una figura politicamente insignificante, talvolta sconosciuta o culturalmente inadeguata, che non ha nessun carisma e nessuna forza per difendere la scuola dall’inerzia politica o da politiche scriteriate, che spesso la danneggiano.

Nei passaggi che hanno visto il realizzarsi di riforme anche significative sono mancati gli approfondimenti, il dibattito è stato scadente, asfittico. Nessun vero dibattito culturale che coinvolgesse il mondo della cultura, della produzione e che avesse come punto qualificante le strategie e gli impegni per elevare la qualità del servizio scolastico, condizione indispensabile per alzare il livello medio della cultura di base della popolazione.

Abbiamo assistito anche, talvolta, a riduzioni dell’impegno economico dello stato nei confronti dell’istituzione scolastica, come fosse un impegno eccessivo per le possibilità finanziarie pubbliche. Si è sentito dire con orrore, a livelli alti della politica, che il mondo della scuola è un carrozzone troppo affollato di addetti, perciò bisognava tagliare le spese del ministero, ridurre gli organici, aumentare gli alunni nelle classi. Fare le classi pollaio, come sarcasticamente hanno scritto alcuni giornali.

E’ stato fatto passare il messaggio che gli investimenti nella scuola sono improduttivi, quindi da ridurre, perché al limite dello spreco delle risorse. Tutto questo era presentato come riqualificazione della spesa.

Una politica cieca, totalmente in controtendenza, rispetto a quanto fanno altri paesi, e a quel che ogni impostazione pedagogica ed economica di largo respiro deve sostenere, poiché i risultati dell’opera formativa della scuola si ottengono in prospettiva, su tempi lunghi. Solo la pochezza culturale e la scadente visione strategica sul futuro, che caratterizza le nostre classi dirigenti da troppo tempo, ci danno ragione delle condizioni carenti e difficili in cui la scuola vive e delle frustrazioni in cui si dibattono insegnanti, dirigenti e tutto l’altro personale che reggono con impegno e sacrificio il lavoro scolastico.

Risparmiare sulla scuola è un furto morale e culturale sui giovani e sulla società di domani. Ridurre i finanziamenti alla politica scolastica e alla formazione è una truffa etica e civile, perpetrata ai danni delle nuove generazioni, della società di oggi e di domani, è il rallentamento del cammino delle loro speranze, del loro processo di sviluppo, della loro crescita. E’ un danno grave al paese.

CENTRALITA’ DELLA SCUOLA E FORMAZIONE UMANA

Una visione politica nuova, che punti alla qualità della vita di oggi e di domani deve porsi il problema della scuola come il più importante da affrontare. Non si migliora l’avvenire del paese senza cambiare le condizioni operative della scuola. La formazione è la conditio sine qua non del nostro avvenire, come società e come paese.

E’ sempre difficile pensare ricette per configurare come deve essere la scuola del futuro, non sappiamo come sarà questo futuro, con tutte le incognite di un avvenire in gran parte poco prevedibile. Oggi ci si aggiunge la sorprendente situazione creata dalla grande epidemia mondiale che costringerà a ripensare i nostri modelli di vita e di sviluppo.

Ora siamo disorientati, ma abbiamo indizi e linee direzionali che possiamo intravedere. In questa visione, anche se non ancora chiara e precisa, dobbiamo muoverci per affrontare i compiti che ci attendono.

E’ indiscutibile almeno un principio, che la scuola deve farsi protagonista attiva e porsi al servizio dell’uomo. Non può rassegnarsi a subire gli eventi ed essere costretta a farsi strumento passivo di istanze, che possono provenire da una realtà che sovrasta l’essere umano, asservendolo a logiche che non sono da lui governate. In questa prospettiva la scuola deve essere pensata secondo il criterio del meglio, per l’uomo e per la società.

Le prospettive del futuro richiedono alla scuola compiti gravosi e significativi, per le sfide che sono già all’orizzonte. Già il presente è gravido di novità che si vanno sviluppando e prefigurano scenari a dir poco sconvolgenti. Vi sono diversi motivi per pensare che c’è bisogno sempre di più di una scuola che faccia da contraltare alle distorsioni della civiltà attuale e di quella del futuro che è alle porte.

E’ la scuola che può salvare l’uomo dai rischi di schiacciamento delle tendenze negative della  contemporaneità e del domani. Il travisamento della nostra vita attuale fa dire a filosofi, antropologi e psicologi che “siamo nel post-umano, non nel senso che i robot tra un po’ sostituiranno l’uomo. Siamo nel post-umano nel senso che noi occidentali siamo precipitati in una sorta di alienazione che neppure Marx avrebbe sospettato. Si tratta di un’alienazione che non consiste nel fatto che chi lavora non riceve l’equivalente del suo lavoro, ma nel fatto che chi lavora, per tutte le ore di lavoro, deve mettere tra parentesi la sua persona, perché sa di essere valutato unicamente per la sua efficienza e la sua produttività, in una parola, per quello che fa non per quello che è… Questa alienazione è peggiore di quella segnalata da Marx, perché non sottrae all’uomo il riconoscimento economico che gli spetta, ma sottrae all’uomo la sua umanità. L’uomo infatti è anche irrazionale e lo è perché ama, perché soffre, perché immagina, perché sogna. E tutto questo è vissuto come un disturbo dalla razionalità tecnica, perché può intralciare la buona esecuzione delle procedure che mettono capo ai risultati attesi nella forma e nella modalità in cui sono attesi, secondo le esigenze del mercato, egemonizzato da quell’unico valore, che ha soppiantato tutti gli altri, che è il denaro”(Umberto Garimberti).

Oggi la nostra civiltà, non solo nel campo del mondo del lavoro, ma in tutto l’ampio mondo della nostra esistenza, soffre questa forma di spersonalizzazione, per lo scadimento dei valori che hanno sempre costituito la ricchezza della personalità umana, nella sua dimensione morale e spirituale, di dignità e di essere indipendente.

Se conta più quello che fai, che sai fare, la quantità di denaro che riesci a guadagnare e a spendere, se contano più le cose che hai, i vestiti costosi che indossi, la qualità dell’automobile che ti puoi permettere, le vacanze che ti puoi pagare, i ristoranti che puoi frequentare, se conta più tutto questo, rispetto a quello che sei, alla tua intelligenza, alla tua sensibilità, alla tua cultura, alla tua onestà, allora questo è segno che c’è nella civiltà attuale una deriva patologica, che condiziona tutti. La primalità del fare e dell’avere sull’essere distorce il valore della persona.

Da più parti si sente la pressione e l’auspicio che ci sia più scienza e tecnologia nella scuola del futuro, perché c’è bisogno di una preparazione più scientifica e tecnica per affrontare le sfide della vita futura. Si parla naturalmente del mondo dell’industria, della produzione, dell’innovazione tecnologica, cioè del mondo dell’economia. Siamo alla visione dell’uomo ad una dimensione, all’homo oeconomicus, assoggettato alle cose, al fare, al produrre, al consumare.

Il mondo sarà dominato sempre più dalla tecnica, la vita umana sarà spinta verso una dimensione sempre più artificiale. Assisteremo all’avvento dell’intelligenza artificiale, che creerà meccanismi che competeranno con l’uomo, fino a sostituirlo in tutte le sue mansioni, anche le più sofisticate. Lo scienziato Stephen Hawking, recentemente scomparso, ha però ammonito che l’avvento della super intelligenza artificiale ci sarà sì di immenso aiuto ma può essere estremamente pericolosa, se l’uomo non saprà gestirla a fin di bene piuttosto che a costruire strumenti distruttivi.

E’ evidente l’enorme responsabilità che grava sull’essere umano dei nostri giorni e del domani. Da qui si deve riconsiderare tutto il progetto della formazione e dei compiti della scuola. E’ una pedagogia che non ci dobbiamo inventare, l’abbiamo sempre avuta, proviene dalla nostra cultura filosofica umanistica e spiritualistica, ma la dobbiamo riattivare.

La scuola che dobbiamo disegnare dovrà tener conto delle esigenze di sviluppo della scienza e della tecnica. Le richieste che vengono dalla società, dal mondo produttivo, sono quelle che vogliono una formazione di soggetti capaci di essere efficienti e competenti in mansioni sempre più nuove che facciano funzionare il sistema che via via si evolve.

La scuola dovrà aggiornare i contenuti, le metodologie e le strategie didattiche, com’è normale che sia, di fronte al cambiamento dei tempi. Ma la scuola dovrà porre l’attenzione a non perdere di vista la difesa dei valori della persona umana. In nome della persona umana è necessario che essa mantenga fermo il proposito di perseguire una sana e piena formazione umanistica, di irrobustimento della personalità umana prima di qualsiasi altra finalità di carattere tecnico e professionale.

RECUPERO DELLA QUALITA’

Occorre una nuova politica per la scuola, impegnata e determinata, nella consapevolezza di avere a che fare con il destino della nostra società, del nostro paese, dell’uomo di oggi e di domani, come persona e come cittadino.

Se ci si mette dentro questa visione filosofica e civile, allora una nuova politica è possibile. Ma il problema è anche un altro: la condivisione sociale di questa visione, la creazione del consenso ad un progetto nuovo. Che poi tanto nuovo non appare, come già si diceva, perché ha in sé molto della nostra cultura e dei nostri valori storici, della nostra identità come popolo e come paese.

Ripensare la scuola vuol dire prima di tutto andare a rileggere quello che la Costituzione dice della scuola e dell’istruzione, e portare a compimento pieno quei principi così chiaramente espressi, ma che nel tempo hanno fatto fatica ad essere realizzati, e in parte sono rimasti ancora inattuati, a più di settanta anni dalla loro esplicazione.

Nel mentre viviamo la terribile e nefasta esperienza dell’epidemia del coronavirus, che ci costringe a riconsiderare tanti aspetti della nostra vita e dei tanti percorsi sbagliati che l’umanità ha intrapreso in una corsa folle verso il baratro, insieme ai problemi della salute e dei siatemi sanitari, governati con tante inadempienze ed errori, sono venuti al pettine anche tanti problemi che da troppo tempo angustiano la scuola.

La società e la politica riscoprono questi problemi in questo passaggio storico così tragico. La scuola chiusa, la scuola che non c’è, per paradosso, rimbalza in primo piano, all’attenzione di tutti, come mai è stata. Finalmente se ne scopre l’importanza e la centralità nella vita della nazione, come per la sanità.

E si riscopre l’importanza del lavoro degli insegnanti, con tutta la pregnanza di significato nel momento in cui le circostanze li hanno costretti a inventarsi un modo nuovo di insegnamento per il quale non erano mai stati preparati, la didattica a distanza, con l’uso dei mezzi elettronici.

Si può ricominciare da qui per progettare un nuovo assetto politico istituzionale della scuola per recuperare un modo di essere di una istituzione colpevolmente mal gestita e trascurata nei decenni passati.

Occorre ricostruire un valore scuola nella considerazione consapevole di un ruolo essenziale e determinante, si ritorna a ripetere quanto prima si diceva, per la formazione umana come patrimonio individuale di ogni singola persona, ma che è direttamente un patrimonio sociale e civile dell’intera comunità, come popolo e come paese.

Perché tutto questo sia possibile occorre perseguire un’azione politica che abbia come criterio guida la qualità della scuola e dell’istruzione. La qualità deve avere delle caratteristiche ben chiare e precise per non rimanere una parola vuota e priva di significato.

La prima caratteristica deve essere la qualità del servizio scolastico che raggiunga tutti, nessuno escluso, pensando ovviamente anche ai più svantaggiati per condizioni personali e socio-economiche. Nessuno deve rimanere indietro, anche se poco dotato per natura o impedito da condizionamenti culturali ed economici. La Costituzione lo ricorda ma non è stato fatto abbastanza perché fossero integralmente attuate le sue prescrizioni.

La qualità del servizio scolastico può essere raggiunta con la qualità professionale degli addetti, in primis degli insegnanti, perché sono loro che svolgono la funzione principale dell’istruzione.

Nei decenni passati è stato se non del tutto trascurato, insufficientemente affrontato il problema della formazione degli insegnanti, benché nella scuola non siano mancate e non mancano figure professionali di valore. Ma rimaniamo nella parzialità non nella universalità dei casi. Si è trattato e si tratta di circostanze casuali e fortunate, che non sono il frutto di una programmazione politica.

Alla scuola di oggi e di domani occorrono insegnanti appositamente formati, in senso culturale e tecnico, e non come reclutamento tra gente che a volte non sa cosa fare e prova la fortuna nell’insegnamento. Solo gli insegnanti ben formati possono ridare alla scuola e a loro stessi quel prestigio che è indispensabile recuperare per svolgere la funzione formativa.

Il prestigio e la posizione economica degli insegnanti sono a livelli mai stati così bassi, come lo sono oggi. E questo fa tutt’uno con le sofferenze, le inadeguatezze e i disagi in cui versa la scuola di oggi.

Quando si dice il prestigio degli insegnanti non si vuol dire una condizione di vanità e di orgoglio personale, ma deve intendersi come un valore che si esercita come fattore educativo nei confronti sia degli alunni sia della società.

Attraverso la valorizzazione  della figura e dell’opera degli insegnanti si promuove la fiducia e il rispetto dell’istituzione scuola, che oggi mancano in larga misura nella nostra società.

La politica deve recuperare interesse e impegno per la scuola, per investire in termini culturali, pedagogici ed economici sulle nuove generazioni, con larghe vedute, e avendo in prospettiva il futuro, non, come troppo spesso è dato di constatare, avendo di mira consenso facile e convenienze elettorali.

La scuola deve essere sostenuta dalla politica, ma anche dalle altre istituzioni pubbliche, e messa nelle condizioni di migliorare la sua funzione. Deve diventare sempre più attraente, più accogliente, per far vivere ai ragazzi con piena gratificazione la vita scolastica.

Masse di scolari e studenti, che vogliono imparare, studiare, arricchire la loro vita di sapere e di cultura, devono poterlo fare, devono poter trovare nella scuola la fiducia in loro stessi e nel loro futuro. Ci sono problemi vecchi e nuovi, si sa, non c’è solo la crisi adolescenziale, oggi c’è una condizione giovanile resa difficile da tutte le incertezze che avvolgono l’avvenire.

La scuola deve farsi carico di questa condizione che i giovani vivono, per alimentare fiducia ed entusiasmo per la vita. Per la maggior parte di loro la scuola è importante, ci vanno con passione, non devono rimanere delusi. Si deve fare in modo che sia così per tutti.

Occorre mantenere alta la qualità degli studi, a tutti i livelli. Lo studio deve essere serio, diversamente è inutile. Lo studio non serio, superficiale, è un inganno. E’ importante che ai giovani sia sempre fatta comprendere la grande validità di tale assunto. Non è difficile. I ragazzi capiscono.

Giovanni Tesone

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