Il prossimo 11 aprile 2021 il Cile eleggerà l’Assemblea Costituente, per chiudere definitivamente il ciclo autoritario, avviato nel 1973 con il colpo di stato di Pinochet.

Nel 1980, dopo diciotto anni di dittatura, la Giunta militare aveva fatto votare un nuovo testo costituzionale, introducendo istituzioni solo apparentemente democratiche. L’idea era quella di far si che tutto cambiasse, perché tutto potesse restare come prima. Il sistema elettorale adottato, denominato «binominal», bipolare diremmo noi, ne è stato lo strumento emblematico, concepito scientificamente per bloccare l’evoluzione della rappresentanza partitica, con la forzata conservazione di due blocchi politici, artatamente costruiti.

Così è stato, fino ad ottobre dell’anno scorso, quando è scoppiata l’esplosione sociale (estallido social), caratterizzata da manifestazioni continue e violente, devastazioni di alcune stazioni della metropolitana, blocchi stradali, attacchi a negozi e centri commerciali, incendi a commissariati, uffici pubblici, perfino chiese.

Il bollettino della rivolta conta, secondo notizie di stampa, tremila arresti, mille feriti, diciannove morti e l’organizzazione di una grande manifestazione di popolo, che ha coinvolto l’intero paese e ha visto la partecipazione di un’impressionante pluralità di ceti medi e bassi, confluiti in piazza Italia.

A quel punto è stato chiaro a tutti, anche al presidente Piñeira, che la crisi andava affrontata prendendo di petto il nodo politico fondamentale: prendere atto definitivamente dell’avvenuta rottura degli equilibri scaturiti dal vecchio regime. L’Acuerdo Por La Paz Social y La Nueva Constitución del 15 novembre 2019, sottoscritto da tutti i partiti, eccezione fatta per il partito Comunista e il Frente Amplio, ha segnato la svolta.

La vicenda cilena non è priva d’insegnamenti anche per noi, nella gestione dei prossimi passaggi parlamentari, che dovranno raffrontare il nodo della revisione del sistema elettorale, a seguito della riduzione del numero dei parlamentari.

Infatti, il sistema politico italiano, dopo la scomparsa degli storici partiti, DC-PCI-PSI, non ha ancora trovato un nuovo equilibrio, soprattutto dopo che Forza Italia, schiacciata su Salvini, è venuta meno al ruolo supplente che si era ritagliato, in rappresentanza dell’area centrale dello schieramento.

Chi è in grado di assumere oggi, in Italia, quella funzione di equilibrio interno e di garanzia internazionale, che faticosamente stanno interpretando Merkel in Germania e Macron in Francia?

I sostenitori del maggioritario affermano che i partiti di centro non servono più. Destra e sinistra – si dice – interpretano integralmente le contrapposte concezioni dello Stato contemporaneo: tradizione contro multiculturalismo, conservazione contro innovazione, liberismo contro statalismo, nazione contro globalizzazione. In questo contesto, la competizione politica richiederebbe semplicemente di conoscere chi vince e chi perde. Ma, il problema è un altro. I partiti di destra e di sinistra sono in grado d’intercettare adeguatamente il pluralismo delle istanze partecipative e di rappresentanza dell’intero popolo italiano?

Sul punto, qualcosa può insegnare l’odierna vicenda cilena. Quando quote crescenti di popolazione non trovano rappresentanza nella camicia di forza degli schemi partitici “binominali” (bipolari o bipartitici diremmo noi), la richiesta di rappresentanza può indurre soluzioni estreme, extraistituzionali. Il riferimento non va necessariamente al ricorso alla violenza. Altrettanto pericoloso è constatare, indifferenti, l’esistenza di quote crescenti di giovani che vivono ai margini della società e delle istituzioni, in una condizione di emarginazione, apatia, rinuncia e rassegnazione, subordinazione psicologica, in uno stato di perenne insicurezza sul proprio futuro.

Questa è la vera scommessa davanti alla quale si trova il Parlamento italiano. Inseguire le smanie dei partiti presenti e vigenti, oppure accettare la sfida di aprire le istituzioni a movimenti, culture e istanze nuove, estranee alla nomenclatura partitica istituzionalizzata?

Le questioni aperte sono eccezionali. Le regole della convivenza sono cambiate. La competizione prevale sulla conciliazione. Le concentrazioni accrescono le disuguaglianze. Le astuzie dominano sulle intelligenza. Gli egoismi sugli altruismi. È evidente che lo scontro tra la destra e la sinistra continuerà, anche perché si autoalimenta. È legittimo tuttavia auspicare che i protagonisti di questa gara possano essere ridimensionati. Alla politica servono ideatori e manovali del senso di comunità, non cinici demagoghi del consenso. Solo così sarà possibile ridare ottimismo alle giovani generazioni.

Guido Guidi

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