Bastano gli algoritmi e l’avvento delle tecnologie più avanzate perché la politica possa dare risposta alla domanda di senso che pur le compete? Forza e potenza, funzionalità ed efficienza sono categorie interpretative sufficienti a dominare la complessità del nostro tempo? Andrebbero rilette le nove “Lettere dal lago di Como” che Romano Guardini scrisse, cent’anni fa, tra il 1923 ed il 1925, da Varenna, la perla del ramo lecchese del Lario.

Guardini osserva i primi sviluppi di quella esplosione tecnologica che, dai suoi giorni, è andata crescendo in modo esponenziale. E, per quanto non possa prevedere le forme estreme del suo incremento, come oggi le conosciamo, ha compreso a fondo, fin d’ allora, la natura ineluttabile del processo in corso. Avverte la dissonanza ed, anzi, la violenza, già allora percepibile, dell’impatto della tecnica sull’ambiente circostante, sulla bellezza della natura e sull’armonia che la mano dell’uomo, plasmando il territorio, vi ha aggiunto.

Sorge spontanea la domanda se si debba limitare la pervasività della tecnica, ma Guardini giunge, infine, a tutt’altra risposta. Propone che sia l’uomo a crescere, che raggiunga una consapevolezza di sé e quel più alto livello di spiritualità che gli consentano di governare – questo il compito che assegna al futuro dei suoi anni, al tempo dei nostri giorni – la “potenza” della tecnica. E’ possibile incamminarci verso un “umanesimo scientifico”? E’ possibile che la scienza, anziche’ produrre un fatale disincanto ed approdare ad una desacralizzazione del mondo, “riducendolo” ad una sequenza arida di cause e necessari, scontati effetti, esalti, invece, l’ insondabile ricchezza dell’ “umano”?

In fondo, nella visione di Romano Guardini – ispiratore dei ragazzi della “Rosa Bianca” e, nel contempo, maestro di Joseph Ratzinger – la tecnica possiamo considerarla una sfida – provvidenziale – che chiama l’uomo ad andare “oltre”, a compiere la sua verità, nel segno di quella vocazione alla trascendenza che rappresenta un tratto originario ed irrinunciabile della sua stessa essenza. Dimensione oggi largamente abbandonata, cosicché il suo smarrimento costituisce, spesso, la ragione ultima dei disagi e delle mille insufficienze che lamentiamo. Non bastano gli algoritmi.

Per accostare il mondo, per ascoltarne il respiro, per corrispondere alla sua straordinaria ricchezza è necessaria l’empatia, la consonanza sintonica ed affettiva, la reciprocità di rapporto tra le ragioni del cuore e le ragioni della mente. E tutto questo ha molto a che vedere, lo sappia o meno, lo si riconosca o meno, anche con la politica.

Domenico Galbiati

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