Nel pieno di Tangentopoli, un “rotaryano” – nel corso di un loro incontro cui ero stato invitato – mi chiese quale dovesse essere, a mio avviso, la prima qualità di un politico. La domanda era, a maggior ragione in quel tempo, ovviamente retorica, nell’ intenzione di chi la poneva.
Anzi, come mi confessò poi in privato, si aspettava pure che la risposta, ovviamente scontata, fosse accompagnata da un fervorino moralistico che, a suo avviso – ….bontò sua…. – almeno a fronte dei suoi amici, mi avrebbe iscritto d’ufficio al club o al clan degli onesti.
Senonché’ avevo ancora viva la memoria – ed è così tuttora – dell’ammonimento del mio vecchio professore di filosofia che incitava i suoi studenti a ritenere – sulla base della considerazione di fatti storici, a suo dire inoppugnabili – come non tutti i farabutti siano dei moralisti e come, per contro, tutti i moralisti siano dei farabutti.
Ad ogni modo, l’amico rotaryano quasi si risentì quando gli risposi come, a mio parere, la prima qualità di un politico non debba essere – come si aspettava dicessi, dando fiato alle trombe, in modo perentorio – l’ onestà (che è piuttosto una pre-condizione), quanto l’ autoironia.
In effetti – per quanto la cosa possa apparire paradossale – si potrebbe dire che in politica chi vuole essere “serio” non debba mai prendersi “troppo” sul serio. Non che possa considerare le cose alla leggera, beninteso…. Ma piuttosto nel senso che deve saper osservare – perfino da se’ stesso o addirittura cominciando da sé’ – quel tanto di distacco e di disincanto che lascia sempre spazio alla possibilita’ di un giudizio oggettivo ed eventualmente critico.
Deve sapersi guardare con una certa nonchalance, perfino, se del caso, saper sorridere di sé, delle sue ingenuità o piuttosto delle sue impennate fuori luogo; coltivare un punto di osservazione esterno al suo “io”, se vuol essere passabilmente certo che la sua politica altro non sia che la sovraesposizione di se stesso o la proiezione sulla pelle del prossimo di qualche paturnia ancora non risolta nella sua interiorità.
Questo va ricordato anche oggi, soprattutto da parte di chi si appresta a dar vita ad una nuova esperienza di impegno politico. Soprattutto oggi che il proscenio della politica è battuto da molti Cavalieri dell’Apocalisse che si sentono investiti da una funzione salvifica; demiurghi di una palingenesi che con la politica seria fa a pugni.
L’ autoironia allude alla mitezza della politica. E politica “mite” non significa timida o inerte oppure cauta o sia pure prudente, ma fino alla paralisi; insicura e lenta e mai conclusiva; oppure evanescente ed utopica. Vuol dire, piuttosto, capace di ascoltare, anche chi non sa bene come dire; di “auscultare” quasi, nel senso clinico del termine, come trarre da un primo sintomo una indicazione già probante in vista di una diagnosi compiuta.
La politica mite conosce i suoi limiti e li rispetta; non è’ mai supponente, ma nemmeno arrendevole. Non si culla nell’illusione di una presunta onnipotente, anzi conosce l’umiltàperche’ tocca con mano come, talvolta, la spessore di determinate questioni appaia quasi impenetrabile. Sa come il suo compito e la sua difficoltà stia sì nel decidere, ma soprattutto nel creare ed ottenere consenso attorno alle sue determinazioni.
La politica è mite quando avverte ed assume pienamente la responsabilità dei suoi gesti, soprattutto nei confronti dei più deboli e degli inermi. Infine, la politica mite non è quella dei colti e non la si studia sui libri; la si impara sulle strade, nelle piazze, battendo i marciapiedi della vita di tutti i giorni.
E per fortuna e’ così perchè richiede sì competenza, ma, nel contempo, è accessibile a tutti e, dunque, strutturalmente democratica, anche quando questo carattere lo si voglia negare. La politica mite e’ perseverante, mai rassegnata e paziente. Sa di non derivare da una chiave interpretativa che, di per sé, dà conto della storia e di una sorta di legge ineluttabile che la attraversa, sempre uguale a sé stessa. Anzi, è aperta, curiosa di ciò che è nuovo ed imprevedibile; delle attese e delle speranze.
E’ fatta di relazioni, di dialogo, di tolleranza, di reciprocità’ tra le persone; per niente di arroccamenti solipsistici, presuntuosi o autocelebrativi.
Insomma, chi vuol fare politica seriamente deve pur rassegnarsi a fare un certo lavoro su di se’.
Altrimenti si rischia di essere un Rodomonte , come già se ne vedono in circolazione troppi che fanno del male a se’ stessi, ancor prima che alla politica.
Domenico Galbiati