“Abbiamo bisogno di una Politica che affronti i cambiamenti sul senso del lavoro umano, sul rapporto tra mercato e democrazia, sul significato etico dell’agire economico. Lo abbiamo sempre detto, non ci interessano le dinamiche di quella politica che intravediamo sulle pagine dei giornali o nei talk show televisivi. C’è bisogno di lavorare ad un Piano di completa trasformazione del Paese”.
Così Stefano Zamagni inizia la conversazione sull’oggi e il futuro che legge dell’Italia che non possono essere interpretati con gli schemi di un’epoca completamente superata.
D) Stefano, hai fatto recentemente delle affermazioni che hanno colpito. Una sferzata di energia nuova al mondo cattolico, ma anche all’intera società italiana
Zamagni: “Cosa vuoi, mi pare che si continui con vecchi metodi, vecchie disattenzioni, ci si preoccupa di mantenere vecchi equilibri. Ma tutta questa cosa qui non regge. Sul Coronavirus si è fatto il dovuto, per carità. Era una situazione non facile, come sanno coloro che hanno avuto un minimo di rapporti con l’apparato pubblico. La conferma che sono in troppi a fare quello che un intero sistema sosterrebbe con minor dispendio di energie e di fondi. Anche in questo caso, ad esempio, ci si è scordati a lungo della società civile. Di quella ricchezza fatta da volontari e organismi di Terzo settore tagliati completamente fuori da un piano nazionale. E’ questa una conferma che non si pensa alle cose rilevanti nei tempi ordinari. Allora, poi finisce che la straordinarietà degli eventi è davvero ingovernabile. Non è il problema della classe politica di oggi. Questa eredita decenni di disattenzione persino verso quel patrimonio che abbiamo in casa e ce ne scordiamo. Non ci sono piani che in caso di pandemia, anche se da anni sappiamo necessari, ci metterebbero in grado di rispondere a fenomeni che, tra l’altro, possono ripresentarsi. Allora: sanità territorialmente rafforzata, mobilitazione sociale, educazione, sono tutti campi su cui si dovrebbe lavorare già adesso, mentre il Coronavirus non è ancora debellato del tutto. Questa crisi ha dimostrato definitivamente che le istituzioni pubbliche, soprattutto queste che abbiamo e che non sono rigenerate, non riescono a fare tutto da sole. Mi pare che in crisi sia finito sia il sistema del vecchio stato centralizzato, sia quello centralistico regionale. È riemersa la figura del Sindaco, invece, a conferma del valore della prossimità istituzionale con il cittadino, i gruppi sociali, le categorie. Pensa un po’ ai medici, agli infermieri. Tutte categorie utilizzate, ma non valorizzate. C’è voluto il Covid- 19 per capire quanto rispetto e quanta attenzione si devono nutrire nei confronti dei corpi intermedi della società.
D) Questo spiega perché ti sei messo anche a parlare di cose politiche?
Zamagni: Certamente. Io non ho mai fatto politica diretta e pure adesso non ho assolutamente intenzione di farla in un modo che non sia coerente con la mia formazione, che è soprattutto quella dello studioso e del difensore della soggettività della società civile.
D) Sì, però è anche grazie a te se stiamo per dare vita a un “nuovo” soggetto politico che, aperto a credenti e non credenti, trova nell’ispirazione cristiana la sua vera ragione d’essere.
Zamagni: ma sai, come tanti altri di voi, ho raccolto in fondo un’esigenza che oggi è sempre più forte nel mondo cattolico, ma anche in quegli ambienti laici cui non sono mai stati indifferenti i richiami della solidarietà, del rispetto della vita e di un certo tipo di relazioni umane. A mio avviso, tutto nasce dal fatto che con il bipolarismo si è distrutta la presenza di tante voci cattoliche e non cattoliche costrette forzatamente a schierarsi o da una parte o dall’altra. Mi avvalgo di un’analogia: il bipolarismo in politica è come il duopolio in economia. Esso non può certo soddisfare chi crede all’essenza del principio democratico. La realtà socio-politica non è mai dicotomica, soprattutto quella italiana. Se è vero che il bipolarismo tende a favorire la governabilità, è del pari vero che questa non è il valore più alto della democrazia. Se così non fosse, si dovrebbe concludere che un regime autoritario è ancora più governabile. Il valore primo della democrazia è la libertà di scelta.
D) Scusa, ma è questo che ti ha portato a lanciare l’idea che il prossimo anno a Bologna i cattolici si organizzino autonomamente? C’è chi dietro ha voluto vederci chissà quale accordo…
Zamagni: Ma quale accordo. Mai c’è stato alcun accordo. Non ci abbiamo neppure mai pensato. Del resto è evidente che neppure eravamo in condizione di pensare ad un accordo. Non è proprio questo il punto. Il ragionamento è tutto un altro ed è valido mica solo a Bologna. Dappertutto vedo che la gente, anche i cattolici, vogliono tornare ad occuparsi, in prima persona, della cosa pubblica, del bene comune. Dovunque vada, chiunque incontri, si finisce per parlare di questo. Del resto da tempo mi occupo di Economia civile, il passo a pensare a una Politica del tutto diversa è davvero breve. Quella è vera politica. Un qualcosa cioè che aggiunge allo Stato e al Mercato anche la Comunità. Cioè la gente in carne ed ossa. A Bologna, ma anche da tantissime altre parti, questo è richiesto. È per questo che all’indomani delle elezioni in Emilia-Romagna, nel corso di un’intervista a un quotidiano locale, ho fatto presente al neo-eletto Bonaccini che non è “bello” chiedere ex-ante, cioè prima delle elezioni, la cooperazione e la partecipazione attiva dei tanti soggetti della società civile regionale e poi non tenere conto delle loro suggestioni e delle loro aspirazioni ad elezioni avvenute. Questo non è bello per una duplice ragione. Primo, perché questo modo di fare alimenta quella cultura della strumentalizzazione di cui siamo tristi spettatori. Secondo, perché si scoraggiano le energie vitali che vengono dal basso a vantaggio degli apparati. Il rinnovamento autentico viene sempre dal basso, mai dall’alto!
D) I prossimi passaggi?
Zamagni: gli amici dell’Associazione “Politica Insieme”, unitamente ai tanti gruppi sparsi per l’Italia, che hanno sottoscritto il “Manifesto” – persone che provengono da molti mondi vitali: università, scuola, associazionismo, imprenditorialità, professioni – presenteranno a breve un Piano politico-programmatico, frutto dell’impegno di tredici gruppi di lavoro, sull’arco di cinque mesi (gennaio-maggio 2020), che traduce a livello operativo i principi ispiratori già enunciati nel Manifesto. È su questo Piano che si faranno le verifiche con altri gruppi, per accertare se esiste o meno consenso e volontà di andare avanti. Come ormai si sa, la proposta di Politica Insieme è quella di dare vita ad un soggetto politico nuovo collocato al Centro del cosiddetto schieramento politico e autonomo rispetto sia alla destra sia alla sinistra. Si tratta di essere coerenti: se non si accetta il bipolarismo, perché – come ho detto – non fa giustizia dell’essenza della democrazia, è evidente che il nuovo soggetto non può che nascere autonomo. Si prenda nota di questo. Il centro è ritenuto talmente importante che i due poli si chiamano centro-destra e centro-sinistra (benchè siano fondamentalmente a traino rispettivamente della destra e della sinistra). Eppure, il centro e basta non può avere – secondo alcuni – una sua autonoma collocazione. Bel paradosso davvero! Le alleanze, se necessarie, si fanno dopo le elezioni, non prima! Nelle centinaia di incontri, seminari, conferenze cui ho partecipato negli ultimi due anni in giro per l’Italia ho colto la richiesta insistente proveniente soprattutto dai giovani di dare vita ad un tale soggetto politico, nuovo nel Programma, ma pure nuovo nei volti. Questa seconda condizione è dirimente. Non sarebbe serio se il nuovo soggetto servisse a riposizionare antichi volti! Sarebbe questa una contraddizione pragmatica. Impedire che questo possa avvenire, o sabotare, sarebbe una grave responsabilità. Continuerò ad impegnarmi su tale fronte, ma senza assumermi – come più volte ho pubblicamente dichiarato – né incarichi di partito né, tanto meno, eventuali candidature in prossime competizioni elettorali.
Intervista di Giancarlo Infante