L’inatteso apparire delle sardine sulla piazza di Bologna è il segnale di un movimento che esce dalla sua fase di latenza mostrandosi pubblicamente. Il comportamento collettivo nasce quando di fronte ad uno stimolo tanti reagiscono alla stessa maniera.

Lo stimolo è stato dato dall’appello lanciato sui social da un piccolo gruppo di giovani, ma è stato raccolto da migliaia di persone che volontariamente hanno lasciato le loro abituali attività per diventare partecipi di un evento collettivo. Dopo il successo della manifestazione di Bologna si è assistito al moltiplicarsi di questi eventi in altre città e l’inatteso popolo delle sardine è diventato l’argomento di discussione che ha fatto, almeno al momento, passare in secondo piano gli altri temi oggetto del dibattito politico.

Politici ed analisti sono apparsi sorpresi e, fallito qualche tentativo di appropriarsi della piazza, paiono emergere con chiarezza due tendenze prevalenti.

La prima, sostenuta dalla parte politica che ha assistito al formarsi di quella piazza come forma di opposizione e contenimento della propria presenza sul territorio cittadino. Per la Lega di Salvini la piazza di Bologna era esito di una convergenza basata sul principio di opposizione: noi non siamo loro e noi non vogliamo loro. Una parte di città che si raduna per difendersi da quella che ritiene una sorta di forza di occupazione estranea alla sua tradizione ed alla sua cultura politica. Per Salvini & c. l’interpretazione è consequenziale e contrapposta nell’ottica dello scontro politico: residui di resistenza di una regione che attende di essere “liberata” dalla Lega.

Sul fronte opposto, si plaude allo spontaneo convergere come ad una diga che ridia ad un nascente soggetto popolare e non al populismo il presidio delle piazze italiane. Lo si fa, tuttavia, ponendosi una domanda: perché migliaia di persone rispondono all’appello di quattro giovani sconosciti e le forze politiche di governo con i loro leader vecchi e nuovi non sono più capaci di radunare grandi ed affollate piazze? La piazza di Bologna è una piazza anti Salvini o esprime un bisogno di partecipazione, di visibilità che interroga l’intero sistema politico italiano? Come leggere gli sviluppi di una piazza affollata ma silenziosa, dove non c’è un leader che prende la parola per dire chi siamo, a chi ci opponiamo, quale progetto comune perseguiamo?

A Bologna c’è la forza di una presenza non catalogabile con gli schemi tradizionali. Una piazza composta da persone con sistemi di valori e di interessi variegati. Presumibilmente niente di più e niente di meno del riflesso della società iperindividualista e frammentata in cui oggi viviamo.

Una piazza al momento senza leader e senza progetto ma una piazza che esprime una domanda di significato della partecipazione politica e della rappresentanza popolare. Il bisogno di protagonismo ed il bisogno di non sentirsi soli. Il bisogno di ritagliarsi un ruolo dentro uno spazio politico governato da formazioni sdradicate dai luoghi in cui scorre la vita sociale e chiuse dentro le indicazioni dettate dagli esperti di marketing politico e di sondaggi.

Il  “noi non siamo loro” è un passaggio importante per rendere visibile un guizzo insolito nel turbolento mare della politica italiana, ma non è sufficiente a difendere il banco dai robusti predatori che attraversano la scena politica italiana. Perché l’evento si trasformi in movimento deve esprimere un’identità in positivo che al momento è in fieri e che non è assodato che una volta enunciata trovi un livello di partecipazione così corale. 

Vincenzo Antonino Bova

Prof. Ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi Università degli Studi della Calabria  Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali

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