Pubblichiamo la prima nota redatta dall’Osservatorio legislativo di Politica Insieme, a firma di Enrico Seta, che prendendo in esame la parte della Legge di bilancio 2020 relativa agli investimenti per le infrastrutture valuta il fatto che continua la contrazione della spesa destinata al settore.

Infrastrutture

Si riportano di seguito gli interventi recati dal ddl di bilancio 2020 (AS 1586) riconducibili ad investimenti in infrastrutture (in senso lato).

 

Misura

 

 

Stanziamento complessivo

 

 

Nel triennio 2020, 2021, 2022

 

Tempi di attuazione[1]

Art. 7, c. 1

Fondo investimenti amministrazioni i centrali

22,3 Mld per il periodo 2010-2034 685, 940,1175 L (programmi settoriali delle Amm. e parere parlamentare)
Art. 7, c. 3

Linea 3 metropolitana Torino

828 mln (2020-2032) 50, 80, 150 L (manca il progetto preliminare): inizio lavori stimato 2022; fine lavori stimato 2029
Art. 8, c. 1-9

Efficientamento energetico e sviluppo territoriale sostenibile

1, 5 Mld per il periodo 2020-2024 500, 500, 500 MB (è previsto un meccanismo di monitoraggio con riassegnazione)
Art. 8, comma 10

Incremento dei contributi ai comuni per la messa in sicurezza degli edifici e del territorio (già previsti dalla legge di bilancio 2019)

Il vecchio stanziamento (che ammontava a 4,4 Mld) è incrementato di 3,9 Mld 0, 100, 200 B (lo stanziamento si inserisce in un meccanismo di assegnazione già sperimentato; inoltre viene aumentata la paltea degli interventi finanziabili)
Art. 8, c. 11 e 12

Contributi ai comuni per investimenti in progetti di rigenerazione urbana

9,1 Mld per il periodo 2021-2034 0, 150, 300 L (entro gennaio deve essere emanato il DPCM che reca l’intera disciplina)
Art. 8, c. 13-15

Fondo per lo sviluppo sostenibile e infrastrutturale dei comuni

400 mln per il periodo 2025-2034 0, 0, 0 L (il DPCM con la disciplina attuativa dovrà essere emanato entro il 31 marzo 2024)
Art. 8, c. 16-23

Contributi ai comuni per progettazione definitiva ed esecutiva per messa in sicurezza territorio

2,783 Mld per il periodo 2020-2034 85, 128, 170 Vedi la Relazione Corte dei Conti per l’utilizzo (negli anni 2016-2018) delle risorse del Fondo apposito (Le risorse effettivamente erogate alle Regioni, a partire dal 2017, rappresentano solo il 19,9% del totale complessivo in dotazione al Fondo).
Art. 8, c. 24 e 25

Fondo per edifici destinati ad asili nido (istituzione di un nuovo Fondo da ripartire)

2,4 Mld per il periodo 2021-2034 0, 100, 100 M (il DPCM di attuazione dovrebbe essere emanato entro il gennaio 2020)
Art. 8, c. 26-28

Contributi per manutenzione e messa in sicurezza della rete viaria di province e città metropolitane ed efficientamento energetico delle scuole

6,1 Mld per il periodo 2020-2034 150, 200, 500 B (le risorse dovrebbero essere spese con una relativa velocità, dato che si tratta di meccanismi già in corso)
Art. 8, commi 29-30

Risorse per la messa in sicurezza del territorio

2,4 Mld per il periodo 2023-2034 (incremento di stanziamenti già disposti dalla legge di bilancio per il 2019) 0, 0, 0 L’incremento decorre dal 2023
Art. 9

Edilizia sanitaria

2 Mld per il periodo 2022-2032 0, 0, 100
Art. 11

Green New Deal (istituzione di un nuovo Fondo da ripartire)

3, 24 mld per il periodo 2020-2023 470, 930, 1420 L (la disciplina attuativa rimane tutta da emanare)
Art. 34, commi 2 e 3

Fondo infrastrutture sociali per i comuni situati nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia

In realtà non c’è uno stanziamento vero e proprio di risorse statali, ma solo una destinazione ad infrastrutture sociali (istruzione, salute e servizi per la comunità) di una quota pari a 300 mln del Fondo di Sviluppo e Coesione (per gli anni 2020-2023) 0, 0, 0
Art. 35

Rifinanziamento strategia nazionale aree interne

Anche in questo caso non c’è uno stanziamento di risorse statali “fresche”, ma solo una rimodulazione (pari a 200 mln per il periodo 2021-2023) di una quota del Fondo di rotazione per l’attuazione delle politiche comunitarie 0, 0, 0
Art. 53

Programma innovativo nazionale per la rinascita urbana, all’interno del qale viene istituito, presso il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, un Fondo denominato “Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare”

853,81 mln per il periodo 2020-2033 121, 27, 74 L (sono necessari decreti attuativi)
Art. 63

Anticipazione al 2020 (dal 2021) della facoltà per le regioni a statuto ordinario di utilizzare il risultato di amministrazione e il fondo pluriennale vincolato di entrata e di spesa per il raggiungimento dell’equilibro di bilancio.

155, 312, 120[2]
Art. 66

Isole minori

41,5 mln nel triennio 14,5, 14, 13

 

Si tratta di cifre molto contenute e deludenti che non invertono la tendenza (davvero nefasta per il sistema economico italiano) verso la progressiva contrazione della spesa per investimenti.

C’è da tempo un vasto dibattito sul ritardo infrastrutturale del Paese che ha consentito di mettere a fuoco numerose cause (complicazioni regolatorie, carenza di progetti cantierabili, numero abnorme di stazioni appaltanti, ecc.) ma la causa principale è la destinazione di quote importanti del bilancio pubblico (un tempo destinate alle spese in conto capitale) verso misure di sostegno ai consumi (80 euro, reddito di cittadinanza, quota 100, ecc.)[3], le uniche capaci di riattivare in tempi utili ai fini del ciclo politico, il circuito del consenso. Questo ritardo è quindi ormai strutturalmente collegato alla forma che la crisi della democrazia è venuta assumendo nel nostro Paese e per essere efficacemente colto nella sua gravità dovrebbe essere collocato in una visione ampia e  riformatrice della politica e delle sue istituzioni.

Vi sono poi elementi più contingenti e circoscritti – di natura sia normativa che finanziaria –  anch’essi spesso sottovalutati o ignorati dal dibattito politico e anche culturale.

Sul piano normativo, ad esempio, vi è un assordante chiacchiericcio sul codice degli appalti che ha prodotto – negli anni – un viluppo di norme “di semplificazione” e di contronorme “moralizzatrici” che ha solo aumentato il livello di incertezza per gli operatori del settore. Nessun governo è invece riuscito a mettere in cantiere un vero riordino che avesse come punto di partenza il ripristino di una chiara distinzione (persa sin dalla legge 109 del 1994 e mai più recuperata) fra ambito materiale “lavori pubblici” e ambito materiale “aggiudicazione dei contratti pubblici”. Si tratta – evidentemente – di due ambiti che sarebbe bene tenere distinti: in primo luogo perché le norme europee (da cui stanno derivando da un ventennio tutte le modifiche al nostro cd “codice”) riguardano solo la  aggiudicazione dei contratti pubblici e nulla dicono in materia di lavori pubblici. Pertanto ogni adeguamento alle direttive europee trascina con sé una rimessa in discussione della normativa sui lavori pubblici (con conseguente confusione di obiettivi, priorità, interlocutori, ecc.). In secondo luogo perché le tendenze dello sviluppo tecnologico e dell’organizzazione della produzione fanno sì che i cd “lavori pubblici” siano sempre più basati su contratti di servizio e non più di lavori.  La nostra legislazione è così venuta assumendo una mostruosa natura di ircocervo che viene solo rafforzata da ogni nuovo (velleitario) intervento di riforma del codice degli appalti.

Ma anche in questo caso, il fatto che nessun Governo – ormai da anni – riesca ad affrontare con successo nessuno dei tanti problemi di riordino normativo e codificazione, va letto come spia di una crisi più profonda (se non di una paralisi) della nostra democrazia: lo scadimento della qualità dei suoi “prodotti” è probabilmente l’indice più evidente del deficit di responsabilità di cui soffrono le istituzioni e della urgenza di un lavoro più alle radici rispetto alla corrente “offerta” partitica.

Infine vi è un terzo tema (che ha anche dei profili rilevanti di etica della comunicazione politica) che nasce dal fatto che la politica discute di infrastrutture nascondendo sempre la serietà della crisi fiscale dello Stato italiano (aggravata, ovviamente dalla crisi dell’economia più lunga dei nostri tempi). Uno dei meccanismi per i quali a proclami altisonanti di investimenti pubblici (fatti ormai da tutti i governi) non corrispondono mai cantieri effettivamente aperti è che – a causa di una normativa contabile restrittiva introdotta in anni recenti per far fronte alla situazione di emergenza del bilancio pubblico – è possibile dare corso agli investimenti pubblici solo “per cassa” e non “per competenza” quindi – in ciascun anno finanziario – è possibile disporre solo di quanto è realmente disponibile nel bilancio di cassa dell’anno di riferimento.   Il risultato è che il quadro è oggi ancora meno trasparente e che i Governi possono proclamare sui giornali investimenti infrastrutturali sempre superiori rispetto alle somme effettivamente spendibili dalle stazioni appaltanti ( CLICCA QUI ).

Per allargare il collo di bottiglia finanziario nel quale rischia di rimanere soffocato quel che rimane  del patrimonio infrastrutturale del Paese, sarebbe invece utile rafforzare tutti gli strumenti di partecipazione del capitale privato (e in particolare del capitale alla ricerca di una remunerazione con basso livello di rischio ma distribuita nel lungo termine: long term investors) alla realizzazione di infrastrutture pubbliche (vedi, di recente, la “proposta Bassanini”[4] su un mix di interventi: golden rule europea e garanzia dello Stato su definite categorie di investimenti infrastrutturali).

Il punto debole di queste proposte sta nel fatto che esse, isolatamente, non possono risolvere il problema e sono destinate a coprire una fetta minima del fabbisogno, almeno finché la presenza del capitale privato non indurrà l’intero sistema (normativo, amministrativo e soprattutto giudiziario) a garantire al processo realizzativo delle opere quei livelli di certezza e di stabilità di cui l’investimento privato per sua natura ha bisogno. Ma la vicenda in corso dell’ILVA di Taranto, nonché l’art 91 del ddl di bilancio (vedi sotto) ci dicono che la direzione nella quale il nostro sistema si è incamminato è del tutto opposta.

 Art. 91 AS 1586

L’articolo 91 introduce – unilateralmente rispetto a contratti di concessione già in vigore e per un solo settore produttivo – un limite alla deducibilità fiscale delle quote di ammortamento dei beni gratuitamente devolvibili alla scadenza della concessione, in capo alle imprese concessionarie del settore autostradale. Tale limite è pari all’1 per cento del costo dei beni.

La norma, la cui proposta è nata sul “blog delle stelle”, è di dubbia costituzionalità e non mancherebbe di avere rilevanti effetti preclusivi di investimenti già programmati o addirittura in corso (vedi Gronda di Genova).

[1] In questa colonna viene suggerita una stima (generica e di massima) sui tempi di attuazione, cioè di effettiva immissione delle risorse stanziate (o almeno di una parte di esse) nell’economia reale: L (tempi lunghi), M (medi), MB (medio-brevi); B (brevi). L’ANCE – ascoltata il 7 novembre dalla Commissione Bilancio del Senato – ha presentato anche una stima articolata per anno degli effetti reali del provvedimento, dalla quale risulta che, per il 2020 non più di 420 mln potrebbero essere effettivamente impegnati (1,1 mld nel 2021 e 2,6 mld nel 2022). Vedi Il sole 24 ore del 7 novembre 2019.

[2] Non tutte queste somme vanno considerate come disponibili per investimenti, in quanto il comma 5 dell’articolo interviene anche in materia di interviene sulla disciplina in materia di spese di personale con contratti flessibili. La quantificazione che si riporta nella presente tabella è ricavata dal Prospetto riepilogativo degli effetti finanziari (allegato al ddl di bilancio) e si riferisce agli effetti dell’intero art. 63.

[3] Per Confindustria (audizione del 10 aprile 2019 presso l’8° Commissione del Senato), solo tra il 2009 e il 2016 la contrazione di investimenti in opere pubbliche è stata di oltre 12 mld di euro (-42%).

[4] Il Sole 24 ore 24 ottobre 2019).

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