Il dibattito sulla legge elettorale torna ad infiammarsi, ammesso che questo termine sia davvero adatto: parliamo, infatti, di un argomento che difficilmente appassiona i cittadini, benché sia di vitale importanza per l’andamento della vita democratica del Paese. Premesso che il vero nodo da sciogliere sarebbe quello della forma di Governo e che spesso la riforma elettorale viene confusa con l’idea di una più ampia riforma costituzionale, proviamo a riassumere lo stato delle cose.

La Consulta ha bocciato la richiesta della Lega di indire un referendum che eliminasse la quota proporzionale dall’attuale legge elettorale, il cosiddetto “Rosatellum”. Si tratta, probabilmente, di un pericolo scampato per la coalizione di governo, se non altro perché più che all’obiettivo indicato nel quesito referendario, la Lega ed il centrodestra puntavano a dare una spallata all’attuale esecutivo.

C’è, tuttavia, un altro referendum che si profila all’orizzonte: quello confermativo sulla riforma che ha tagliato i parlamentari, il cui risultato peraltro appare scontato (per quanto la dinamiche della politica degli ultimi tempi ci hanno abituato a pensare che ormai regna l’imprevedibilità). Nel frattempo, la maggioranza prova a stringere un accordo su una nuova legge elettorale, tutta proporzionale e con la soglia di sbarramento. I listini, però, sarebbero bloccati, cioè senza preferenze.

Ancora una volta, dunque, si ragiona su una legge che deciderebbe i candidati a tavolino o, al massimo, tramite discutibili piattaforme che nulla hanno a che fare con la democrazia. Invece, a mio parere, il vero coraggio di questa classe politica (che di coraggio ne ha davvero poco) starebbe proprio nella reintroduzione delle preferenze.

Ve le ricordate? Erano quel meccanismo che consentiva di mettere nome e cognome del candidato sulla scheda elettorale. Non si vedono più dal lontano 1994, quando andò in vigore il “Mattarellum”. Battute a parte,  da allora ne abbiamo sentite tante contro le preferenze: sinonimo di clientelismo, di Prima Repubblica, eccetera.

Molti fingono di dimenticare che, in realtà, le preferenze resistono ancora sia nel sistema elettorale per i Comuni sia per quello delle Regioni, dove si alternano buone esperienze a situazioni negative. Sia chiaro, ogni opinione è legittima, tuttavia io ritengo che le preferenze siano un elemento  che fa soprattutto paura all’attuale classe dirigente, per nulla intenzionata a mettersi in gioco, a competere sulla base di idee, di programmi ma pure di credibilità e affidabilità personale.

Proprio quelli che gridano di volere dare forza al popolo, di stare dalla parte della gente, hanno paura di introdurre l’unico strumento veramente democratico di una legge elettorale.

Quando ci si preoccupa, a ragion veduta, dell’allontanamento dei cittadini dalla partecipazione alla vita politica italiana, ci si dovrebbe anche chiedere cosa si fa per invertire la rotta. Poco o nulla, con buon pace di blog e piattaforme on line.

Vincenzo Salvati

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