Era uno dei rischi più temuti dal mai dimenticato Mino Martinazzoli: dai partiti-tutto che pervadevano la vita sociale ed economica del Paese saremmo finiti ai partiti-niente. E’ quello che è accaduto per la incapacità dei partiti stessi di rigenerarsi profondamente e per la complicità di una smodata campagna di stampa sollecitata dalla redditizia crociata editoriale sulla “casta”.

Adesso che al posto dei partiti politici abbiamo poco più o poco meno che dei comitati elettorali permanenti, il vuoto lo paghiamo in un momento difficilissimo per il Paese. Mancano idee, proposte, progetti di largo respiro e manca la tensione del confronto vero, della discussione seria, dello sforzo per cercare di interpretare la domanda che è rivolta alla politica dalle moltitudini.

C’è solo lo Stato e un governo che alterna una naturale disposizione al rinvio e qualche malcelata tentazione dirigistica. Ci sono le banche con il loro “risiko” sempre di attualità; il sindacato che difende chi il posto lo ha già e non si occupa delle nuove forme di organizzazione del lavoro. C’è la Cassa Depositi e Prestiti evocata tutti i giorni come il buon pagatore del romanzo di Verga. C’è la magistratura che supplisce ai vuoti del potere nonostante narrazioni non sempre degne di encomio.

La cronaca di ciò che resta delle forze politiche ci intrattiene tutti i giorni solo sui problemi di tenuta della maggioranza di governo, sulle diatribe interne, sui tentativi autoreferenziali delle seconde linee. Per non parlare delle migrazioni di parlamentari da un partito all’altro che ormai hanno raggiunto dimensioni da repubblica centro-americana.

La prova più plausibile della irrilevanza dei partiti è nei tentativi del Presidente del consiglio di aprire un dialogo con le opposizioni: ma come? sono le forze politiche che naturalmente esercitano questa funzione da sempre, non il governo che ha la responsabilità della guida del Paese. L’emergenza economica in atto accentua questo vuoto.

Accade così che il Presidente del consiglio, persona per bene e indubbiamente impegnata, dichiari che i ministeri stanno preparando i progetti per le grandi infrastrutture e per le riforme richieste dal Recovery Fund. E questo per allocare i duemila miliardi di euro per i prossimi anni: un importo che nessun governo della repubblica ha mai avuto a disposizione. Quali ministeri? Non sono certo i direttori generali né i capi di gabinetto a decidere le priorità. Ma chi dovrebbe farlo? I Cinque Stelle non sono capaci e restano una anomalia della vita democratica. Il PD non ha più né la progettualità né il dinamismo che ci vorrebbero e sembra avere perso anche la sua cultura di governo, salvo rare eccezione.

Accade così che lo stesso PD, dopo avere votato sia contro che a favore la sconsiderata legge costituzionale sul taglio dei parlamentari, chieda sommessamente, ma da subito una nuova legge elettorale. Perché si muove solo adesso? Sorge il dubbio che più che per una visione istituzionale si muova per interessi elettorali.

Accade inoltre che le decisioni, come al solito “salvo intese”, dell’ultimo consiglio dei ministri sfondino ancora una volta il tetto del debito pubblico insistendo su sussidi, bonus, blocchi e sovvenzioni anche in materia di lavoro nella illusione di “tornare come prima del covid”. A parte che anche prima del covid eravamo quasi in recessione, ci vuole ben altro per cominciare ad affrontare seriamente il deficit di occupazione che nel nostro Paese è strutturale.

Ecco perché con i partiti che ci ritroviamo il loro ruolo sembra oggi perdutamente negato ed è sempre più evidente l’urgenza di tornare ad avere forze politiche con culture di riferimento, come avviene per i cristiano democratici in Germania, per laburisti e conservatori nel Regno Unito, per i verdi, per i socialdemocratici. Altro che crisi delle ideologie.

Guido Puccio

 

 

 

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