Mancanza d’acqua, abbondanza d’acqua. Siccità, razionamento contro alluvioni e allagamenti. Viviamo il tempo nel quale non sappiamo ancora qual è la soluzione più adeguata per non morire di sete o annegare quando il cielo rovescia millimetri eccezionali di acqua piovana. Eccezionale -guarda caso – è la parola che va bene in entrambi i casi. Disastrosi. Il bello – o brutto – è che devono averlo pensato anche i deputati europei. Nell’ultima seduta del Parlamento hanno approvato raccomandazioni per una strategia per la resilienza idrica.

Un passo avanti ? E’ presto per dirlo, perché le raccomandazioni sono rivolte a quella Commissione europea che, come è noto, ha tempi e metodi di lavoro da tartaruga. Va da sé che i problemi idrici nell’Ue non sono gli stessi in ogni Paese. Tuttavia alla base di qualsiasi seria strategia c’è la Direttiva Quadro sulle Acque (2000/60/CE) che resta una colonna del sistema. Un documento consegnato alla storia della legislazione Ue mentre abbiamo imparato a convivere con lo stress idrico. Quel fenomeno che ogni anno colpisce il 20% del territorio europeo e il 30% della popolazione. La direttiva guardava a una governance efficiente attinente la transizione ecologica. Cosa è successo ? Che il 39,5% appena dei cosiddetti corpi idrici superficiali ha raggiunto un buono o elevato stato ecologico e meno del 30% ha ottenuto un buono stato chimico. Numeri neri.

Se 25 anni dopo la pubblicazione del provvedimento siamo ancora alle raccomandazioni, chissà quando vedremo le decisioni. Eppure ogni Stato (sulla carta) ha l’obbligo di predisporre piani specifici per bacini idrografici per una gestione sostenibile dell’acqua. Non è un male se dico che nell’applicazione delle regole c’è stato un concorso di colpe plurimo che non ha saputo affrontare gli effetti del cambiamento climatico. L’ambientalismo più retorico e verboso spesso si è messo di traverso sulla via delle infrastrutture da realizzate o sugli investimenti da fare. Indipendentemente da quello di cui si discute a Bruxelles è il caso di avviare più di una riflessione sul concetto di acqua bene comune. L’acqua è essenziale non solo per la vita e la salute delle persone, ma anche per l’economia, la competitività e l’adattamento climatico dell’Europa. Ci mancherebbe che dicessimo il contrario.

Ma bisogna cambiare approccio per ridisegnare una strategia che sappia distinguere le differenti situazioni dei singoli Stati prendendosene seriamente cura. Il contrario è uno spaventoso risiko politico e industriale. I deputati hanno chiesto alla Commissione di “ stabilire obiettivi settoriali e di estrazione di acqua da fonti superficiali o sotterranee, basati su valutazioni aggiornate dei rischi climatici”. Niente di meglio per raggiungere traguardi di efficienza, riduzione dell’inquinamento e miglioramento della preparazione ai disastri. Ma con propositi nuovi senza declamare tutto e il contrario di tutto come, purtroppo, le mediazioni di Bruxelles e Strasburgo ci hanno abituati.

E’ giusto che per l’acqua destinata al consumo umano ci si preoccupi di combattere le sostanze chimici dannose, i PFAS. Tuttavia bisogna intervenire alla radice, sulle fonti di approvvigionamento, sulle reti, sugli sprechi, soprattutto sui programmi di spesa. E’ paradossale pensare di voltare pagina senza sapere chi e quanti soldi mette. Se, come e quando quei soldi si recuperano. “Dobbiamo investire in soluzioni efficaci: sistemi di irrigazione moderni, sistemi di riciclo intelligenti, monitoraggio in tempo reale e infrastrutture che prevengano le perdite ” ha detto il deputato Thomas Bajata relatore delle raccomandazioni. Coraggio. Per lui c’è la speranza che la Commissione adotti al più presto la nuova strategia per la resilienza idrica. Per noi il desiderio di abitare un Continente con un problema in meno.

Nunzio Ingiusto

Pubblicato su www.humaneworldmagazine.com

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