Romano Guardini ne dà la definizione più semplice e più bella. La più limpida: l’Europa come “compito e destino”.

Una “entelechia”, nel senso aristotelico del termine, secondo il commento che Massimo Cacciari dedica a queste parole del grande teologo italo-tedesco, che ha pensato tra i primi, anzi “vissuto”, in prima persona, l’ideale dell’unità europea, addirittura come proprio versante esistenziale e composizione di quella sua identità spirituale che sentiva appartenere a due popoli diversi: il nostro e quello tedesco. Cioè, l’Europa intesa come entità che, nella fedeltà a quelle due parole scarne, trova il proprio compimento, l’apice del suo sviluppo, le ragioni della sua comparsa sulla scena della storia.

“Compito e destino” dicono il farsi da sé dell’ Europa, l’attitudine intrinseca a costruire la propria unità, armonizzando la complessità dei rapporti tra i soggetti che la compongono e, ad un tempo, la sua dimensione trascendente. Dimensione originaria, irriducibile e costitutiva, come per ogni soggetto, dunque irrinunciabile.

Detto altrimenti, l’Europa esiste solo se sa andare oltre sé stessa, se spinge, al di là dei suoi confini, il compito etico che la sua stessa storia le conferisce, il destino che le appartiene ed evoca la sua responsabilità nei confronti di ogni altro popolo, nella misura in cui rappresenta il più antico e consolidato concerto di culture differenti, eppure incardinate in una comune vocazione umanistica.

Strano destino – oggi, in modo particolare – quello del “vecchio continente”. Gli si possono applicare le parole che San Paolo dice di sé stesso: “Quando sono debole, è allora che sono forte”.

Il conflitto armato, la ferocia e l’odio tra i popoli è tornato sul suolo dell’ Europa dopo ottant’anni. Minacciata ad Est, abbandonata ad Ovest al suo destino, l’Europa scopre d’essere il bastione della democrazia e della costellazione di valori che reca con sé. Forse il solo, il più coerente. Il luogo ed il momento che resiste all’ involuzione autocratica che investe, perfino, la più grande democrazia del mondo. Da qui l’Europa deve trarre la piena consapevolezza di sé, la convinzione della sua forza ideale, culturale e morale, che pur veste, in questa fase, l’abito slabbrato e povero di un percorso da riprendere con forte determinazione.

Dalla CECA, al fallimento della CED, dal Mercato Comune, all’Unione dei dodici Paesi di Maastricht, dal Trattato di Lisbona all’allargamento agli attuali 27 membri, l’Europa arranca, eppure con fatica insiste nel suo cammino. E l’Italia deve riscoprire l’orgoglio e la vocazione di paese fondatore.

Domenico Galbiati

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