L’intera Italia istituzionale ha ieri espresso un omaggio a Giacomo Matteotti. Almeno in questo è stata superata una pulsione divisiva che dura da troppo tempo e che fa diventare davvero pesante il clima. Con grande sconcerto della pubblica opinione che, non a caso, si è radicata nell’astensionismo.

Giacomo Matteotti fu la vittima più emblematica di un regime totalitario e disumano. Pagò con il prezzo della vita la propria rettitudine personale, culturale e politica. Purtroppo, subito dopo la sua uccisione il Regime mostrò definitivamente il suo vero volto e cominciò quel totalitario e statolatrico cammino destinato a portare il Paese verso il definitivo disastro materiale e morale.

Bene ha fatto Giorgia Meloni a parlare di una vittima ” dello squadrismo fascista” e a ricordare che “la nostra democrazia è tale se si fonda sul rispetto dell’altro”. In realtà, Giacomo Matteotti fu obiettivo direttamente designato, e indicato, dai massimi vertici del fascismo.

Sergio Mattarella ha partecipato in silenzio, ben forte, però, delle chiare parole che sul fascismo ha sempre espresso ricordando l’antitetica e radicale alternativa rappresentata da un Costituzione democratica ed inclusiva. Le ultime sono giunte in occasione del ricordo della Strage di Brescia di cui altri hanno taciuto (CLICCA QUI).

Il punto cui, adesso, è chiamato l’intero Paese è quello del come fare tesoro di ciò che Matteotti ha rappresentato assieme ad altre “vittime” dell’odio e dell’intolleranza che pure ci sono state nel duro ventennio fascista, ed anche dopo. E il pensiero non può non andare ad Aldo Moro.

Il centenario dell’omicidio Matteotti deve fare riflettere sulla “qualità” che deve assumere la politica italiana e la classe dirigente alla guida del Paese. Egli, infatti, non fu solo l’obiettivo degli avversari politici. Bensì anche di quel mondo dell’affarismo che temeva la sua attesa denuncia contro un insieme di rapporti intrecciati attorno al potere e alla gestione della cosa pubblica. E’ importante, sì, commemorarlo e riconoscere quel che c’è da riconoscere, ma si deve andare al cuore delle ragioni che portarono al suo sequestro e alla sua morte. E trarne, così, un  insegnamento che è impegno dei nostri giorni, di tutti i nostri giorni. Se davvero vogliamo che il suo sacrificio non resti vano dobbiamo tutti lavorare ad un sistema politico più chiaro,  trasparente e partecipato, davvero al servizio dei cittadini. Lo stesso che avevano in mente Matteotti e Moro.

Giancarlo Infante

 

 

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