Sia pure con molto beneficio d’inventario, trattandosi di una lista composita, non ha torto Renzi quando rivendica il buon risultato di “Casa Riformista” in Toscana.

In primo luogo, dimentica, però, di aggiungere che, sostanzialmente, si è trattato di una redistribuzione nel quadro di ciò che è già dato.Anzi, parecchio meno se si considera il tonfo del 15% in più di elettori che si sono sottratti al voto, inchiodando il dato complessivo dell’ affluenza alle urne ben al di sotto del 50%.

Quello che sarebbe stato legittimo attendersi da una forza emergente che nasce da una vocazione “centrista” – qualunque cosa essa sia, nel lessico corrente, dovrebbe intendersi una formazione politica “autonoma” dai due poli dello schieramento vigente – è che facesse da traino e riportasse al voto almeno parte dei troppi elettori che rifiutano di concorrere a delineare il futuro del Paese, soprattutto in una fase tormentata che avrebbe bisogno di una coesione e di un impegno comune di cui non c’è traccia. Senonche quanto più la partita è furiosa e confusiva, tanto più gli spalti dello stadio si svuotano.

In secondo luogo, anziché rimestare nell’otre screpolato e vecchio che non regge i fermenti del vino nuovo, bisognerebbe ricercare in quale direzione se, come e dove si possano intercettare le provocazioni che giungono da un contesto sociale, che si sta via via trasformando e non trova rappresentanza nel polo, chiamiamolo così, “progressista”. Non è escluso che stia lì, nel novero di coloro che si appartano da una lotta politica divisiva, la chiave di volta del sistema. A condizione di volerla cercare, avanzando una proposta politica nuova che non consista nell’aggiungere un commensale in più attorno alla tavola imbandita del “campo largo”. Restando, quindi, pur sempre, sul versante della contesa aritmetica piuttosto che della sfida politica.

Non si tratta di fare i conticini, almanaccando quanto consenso elettorale ogni forza della coalizione possa recare alla causa comune, ma piuttosto di scuotere gli italiani dal torpore. Il “campo largo” quanto più è ampio tanto più appare sfrangiato. Un’alleanza estesa da Renzi ad Ilaria Salis, passando per Conte, difficilmente potrebbe raggiungere una effettiva convergenza, se non fingendo per ragioni di opportunità elettorale e, cioè, nascondendo nelle pieghe del programma punti irrisolti e controversi, i quali, se pur risultasse vincente, si presterebbero a letture talmente differenziate da comprometterne gravemente la capacità di governo.

In terzo luogo, si fa presto a dire “riformismo”, ma cosa significa esattamente, nell’ epoca della grande trasformazione? Viviamo una stagione di normale evoluzione della vicenda umana? Oppure, ci stiamo avvicinando ad un punto di frattura di equilibri consolidati che pur evoca, se così si può dire, un salto di civiltà? Come se entrassimo in una fase nuova della storia, in un altro “evo”? Il che pretende di più che non il tradizionale “riformismo”, intendendo come tale una differente modulazione delle nostre categorie interpretative che pur restano intatte? La contestualità, l’intreccio, la reciproca dipendenza di processi che generano quello stato di cose che, per cavarcela in fretta, chiamiamo complessità, non esigono forse un nuovo ordine di pensiero da cui derivare una cultura politica che sia in grado di governare, almeno fin dove possibile, un mondo diventato impredicibile?

La globalizzazione ed il suo riflusso in un mondo, comunque, incomprensibile se non considerato, appunto, ricorrendo alla categoria della “globalità”; la compromissione dell’ambiente che sembra non trovare un punto di inversione della tendenza; la crescita esponenziale della comunicazione; l’incremento del sapere scientifico e la comparsa di tecnologie sempre piu’ pervasive e penetranti il soggetto umano; le migrazioni ed il progressivo sviluppo di società multietniche; il passaggio dal linguaggio analogico a quello digitale: siamo esposti a fenomeni che letteralmente ci attraversano come fossero fenditure laceranti che a fatica dobbiamo ricomporre.

Ovviamente, la politica, come la intendiamo nella nostra quotidianità, non può tutto, eppure deve accettare la sfida di “leggere” il mondo ricorrendo a nuove categorie di giudizio che esigono, a loro volta, una “trasformazione” cui non possiamo sottrarci in nome di un aggiustamento “riformista” nel senso tradizionale del termine.

Se non dovessimo riuscire – e, almeno per ora, non ci stiamo riuscendo – a costruire argini di pensiero che resistano all’onda di piena di un momento storico comunque straordinario e ne contengano lo scorrimento dentro un alveo di principi e valori consapevolmente fatti propri, rischieremmo di essere travolti e sconfitti da un accadere degli eventi che si fa tumultuosamente da sé.

D0menico Galbiati

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