Chi guarda ai computer senza competenza, tende ad attribuire alle macchine e agli algoritmi una intelligenza illimitata, la capacità di rendere operativa ogni pensata, anche la più fantasiosa. Ma nella realtà non è così. Gli algoritmi trasformano in procedure operative solo ciò che è razionale e ben dettagliato.

Chi scrive le leggi in base all’ideologia pensa che esse possano avere il fondamento in se stesse, non in un’etica, frutto di una cultura valoriale, che le precede. Anzi, le leggi ideologiche impongono determinati comportamenti ai cittadini e modellano uno Stato etico che storicamente  ha prodotto tanti danni.

Le norme che si stanno legiferando nell’ambito della manovra finanziaria soffrono entrambi i difetti: confidano in modo miracolistico sui computer e vogliono imporre comportamenti considerati etici in base ad enunciati propagandistici. La combinazione di questi aspetti mette insieme la cultura digitale (nella sua versione demagogica e fideistica) dei 5stelle e la cultura dirigistica e statalista propria della sinistra. Il risultato che si intravvede nel futuro non è quello delle dittature novecentesche, ma un nuovo potere di controllo dei cittadini per mezzo degli strumenti digitali.

Chi pensasse ad ottenere in cambio una nuova forma di “democrazia digitale” o una sorta di “virtuosità sociale” credo commetta un grave errore di ingenuità e di incompetenza.

Esemplare di questa mentalità è la cosiddetta “lotteria degli scontrini”: i pagamenti elettronici danno diritto ad una restituzione da parte dello Stato, in percentuale a fine anno o con importi premiali. Metterla in atto presuppone che tutti i cittadini possano essere forzati per legge ad utilizzare strumenti che non sono in grado di padroneggiare, per età, per condizioni sociali o per ignoranza. Si tratta dell’idea, errata, che il divario digitale sia superabile per legge, o solo con la diffusione degli strumenti tecnologici, mentre è possibile  solo attraverso processi formativi, necessariamente lunghi.

Un secondo aspetto riguarda la necessità  che i computer analizzino miriadi di dati distinguendo tra essi solo quelli oggetto dei benefici di legge, magari variandoli ogni anno.

Certo, ciò è possibile, anche se complicato, ma occorre chiedersi: come, da parte di chi e a quale prezzo?

L’analisi dei dati personali a  fini commerciali è uno dei fatti più discutibili del nostro tempo: combinare il profilo dei consumi con quello degli orientamenti psicologici e valoriali costituisce una base di potere molto forte per influire in maniera occulta sui comportamenti delle persone. Nell’ultimo anno, ad esempio, sono state ricorrenti le perplessità sulla propaganda elettorale attraverso i social.

Giustamente si sta cercando di regolare l’uso dei dati partendo da una affermazione fondamentale: proprietaria dei dati che la riguardano è la persona stessa, e i dati non possono essere usati a sua insaputa e contro il suo volere.

Mi sembra evidente che la “legge degli scontrini” demolisce alla base questo criterio fondamentale, imponendo la cessione per legge dei dati di spesa, anche dei più minuti, di ogni cittadino. Si afferma cioè che un diritto fondamentale (inalienabile?) del cittadino può essere sospeso per legge, senza che la gravità della situazione o un evidente maggior bene comune lo giustifichino.

Non è tale, infatti, la dichiarata “lotta all’evasione”, che si può ottenere con i mezzi esistenti senza ricorrere a tali misure aggiuntive. Si va delineando con questo una priorità assoluta dello Stato sui cittadini, non più legata, come in passato, all’esercizio dei diritti fondamentali della persona (alla proprietà, alla libertà di espressione, …) ma ai nuovi diritti riguardanti le informazioni personali.

Un altro aspetto non meno importante riguarda la concreta realizzabilità dei meccanismi informatici, che richiedono norme attuative imposte ai gestori delle carte di credito (per la selezione e trasmissione dei dati) e alle banche (per l’azzeramento delle commissioni sui movimenti elettronici).

Da un lato è fin troppo facile prevedere che i costi dell’operazione si ribalteranno sugli utenti, ma è sulla questione di principio che occorre, a mio avviso, indagare. Si configura infatti un intervento legislativo che influisce profondamente sulle iniziative imprenditoriali di aziende private, per imporre modalità di operare che richiedono costi aggiuntivi, o minori ricavi, tali da influire sull’andamento economico d’impresa.

Vorrei sottolineare il punto di discussione: solo una esigenza pubblica di evidente rilievo può giustificare la sospensione di diritti personali e la determinazione dell’operatività d’impresa, e nessuno dei presupposti necessari appare presentarsi in questo caso.

Purtroppo, le bandiere dell’ideologia e della propaganda, sventolate a sproposito, producono effetti disastrosi che diventeranno evidenti sia in fase di attuazione delle norme considerate, sia nel più lungo periodo, stravolgendo principi giuridici e costituzionali essenziali.

 

Andrea Tomasi

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