La fornitura di armamenti all’Ucraina da parte dei Paesi dell’Alleanza Atlantica ci appare in prima lettura come una forma di sostegno legittimo a un paese sovrano che si difende da un’aggressione militare da parte del governo russo. In seconda lettura ci accorgiamo di essere immersi in una situazione che è la più grande tragedia che l’umanità possa incontrare: una guerra sta colpendo il cuore dell’Europa e i popoli che la abitano: europei, ucraino e russo.

Questo fatto scuote l’anima. Accade perché la guerra spinge l’essere umano a scontrarsi con il comandamento del “non uccidere”. Oggi, ci troviamo in un rapporto contrastante: per un verso c’è continuità tra la vita e un’etica ben radicata su di essa; ma c’è una discontinuità morale alimentata dal sentirsi in balìa di noi stessi, senza regole.  Questa situazione ci interroga anzitutto come esseri umani. In quanto cristiani è una priorità dell’agenda politica. Allora come far prevalere la pace rispetto alla guerra e alla violenza?

Il compito della comunità internazionale è proprio quello di costruire un quadro che conduca alla pace. Bisogna riportare al tavolo l’aggressore russo. L’Europa non può stare a guadare, perché la pace non è frutto di un incontro solo tra Kiev e Mosca. È chiaro che con le sole armi non si fa la pace con la Russia. Va detto chiaramente. Gli armamenti, di qualsiasi tipo siano, sono tutti pericolosi e possono uccidere. Va affermato senza ipocrisie. Perciò nel momento in cui decidiamo di aiutare la resistenza ucraina, inviando cannoni o o veicoli Lince, stiamo decidendo comunque di fornire strumenti di morte. La deterrenza non risolve nulla. Va detto senza soggezione.

Il disarmo è l’unica logica da seguire. Perché in una guerra nucleare non c’è un dopo. In prima lettura la bomba atomica sembra concedere al paese che la possiede il vantaggio di sedersi al tavolo negoziale in una posizione di forza. In seconda lettura ci si accorge che quel paese è un Prometeo scatenato che deve autoimporsi delle restrizioni, per impedire alla sua potenza di diventare una sventura per se stesso e per gli altri.

L’arma nucleare pone così l’umanità di fronte a un paradosso: il sentirsi messa all’angolo dai suoi prodotti tecnologici. E così l’uomo si sente inferiore, antiquato rispetto ad essi. Finisce per dimenticare di essere una creatura di Dio. Invece, noi crediamo sulla forza della democrazia e dei diritti, non sulla logica bellicista che ci porrebbe sullo stesso piano di Putin.

In queste circostanze c’è l’urgenza di una proposta politica che discuta anzitutto di come ricostruire una società più giusta e più sicura. Questo è il fardello che la vita ci lascia in eredità: ci è affidato il compito di costruire insieme un ordine politico pacificato. Eppure, questi discorsi rischiano di apparire come una chiacchiera inconcludente a causa della presunta assenza di risultati tangibili sul campo. Quando non addirittura un’utopia: come se stessimo dicendo che vorremmo fermare un carro armato con un fiore.

La verità è che le utopie sono definite tali dalla classe al potere. Insomma, parlare di Pace, in particolar modo quando c’è una guerra in corso, paga sempre un caro prezzo: quello di dividere l’umanità più di quanto la unisca. Lo conferma anche la recente crisi del governo Draghi e le imminenti elezioni. In realtà, alla fonte di una politica di pace c’è un progetto etico che mette in gioco tutto ciò che pensiamo sull’umanità: la constatazione lucida che è meglio essere in pace invece che in guerra.

Questo è il cuore del problema: trovare un punto di incontro tra convinzioni diverse è la chiave di tutto. Ci occorrono più tolleranza e più ospitalità. Non più armi, ma forze armate più efficienti e capacità di difesa commisurate alle reali necessità. La Pace è la vera missione. L’obiettivo è quello di costruirla e riconquistarla al più presto, con ogni sforzo possibile di dialogo. La Pace, si badi bene, non è sinonimo di indifferenza verso l’ingiustizia o di arrendevolezza di fronte alla prepotenza. La Pace è il coraggio di resistere alla suggestione della corsa agli armamenti e della logica del nemico da uccidere. Infatti, la guerra fa tutti più poveri e nessuno esce realmente vincitore.

Allora, la difesa da questa immane tragedia della guerra in Ucraina coincide con la scelta coraggiosa di rafforzare le istituzioni e i poteri sovranazionali: dobbiamo impegnarci di più in termini di politica estera e di difesa comune. Occorre elaborare un nuovo pensiero occidentale fondato sui diritti, sulla democrazia, sul rispetto delle culture e delle ragioni altrui. Così facendo l’Europa politica potrebbe divenire un punto di riferimento di molti Paesi. Specialmente quelli in cui abbandono le logiche di dominio e sfruttamento economico, in particolare in Africa e Asia, che oggi si affidano alla Cina ed alla Russia.

Oggi più che mai la popolazione italiana vuole sentire una parola di speranza e ha bisogno di una determinazione forte e tesa a rafforzare le ragioni del dialogo. Le forze politiche devono tornare a ragionare intorno ai veri problemi della gente: rivitalizzare la partecipazione democratica, rafforzare il rapporto tra eletto ed elettore, garantire la governabilità.

Infine, va ricordato che la politica di difesa è uno strumento nelle mani della politica estera. Pertanto, l’Italia deve promuovere, entro la cornice atlantista, un quadro di sicurezza in cui l’Europa sia protagonista e non subalterna della fedeltà alla Nato, a cui troppo spesso ha delegato il proprio destino.

Giordano Contu

About Author