EVOLUZIONE DELLA FUNZIONE BANCARIA DALLA LEGGE BANCARIA DEL 1936 AD OGGI

Prima di parlare del progetto ancora in formazione dell’Unione Bancaria Europea ritengo necessario fare un breve riferimento alla legge di cui alla riforma del R.D.L. 12/03/1936 che chiameremo legge bancaria italiana. Essa è il frutto di un periodo storico dell’intermediazione bancaria ed è preceduta dai decreti del 1926.

La legge bancaria del 1936 si basava sul principio della specializzazione del credito che classificava le banche in base alla durata delle operazioni. Vi erano quindi due categorie di banche:

  • le banche di credito ordinario che raccoglievano fondi a breve e investivano facendo prestiti a breve termine;
  • le banche di credito speciale che effettuavano la provvista fondi a medio e lungo termine ed investivano fondi attraverso prestiti a medio e lungo termine.

La legge bancaria del1936, regolatrice dell’intermediazione creditizia, si basava su principi fondamentali di cui riporto i seguenti:

  • La raccolta del risparmio (e la difesa del risparmiatore depositante) e l’esercizio del credito sotto qualsiasi forma sono funzioni di interesse pubblico;
  • L’alta vigilanza e la direzione politica dell’attività creditizia sono attribuite al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio” (CICR), presieduto dal Ministro del Tesoro e formato dai ministri economici e alle cui riunioni partecipa (a titolo personale) il Governatore della Banca d’Italia;
  • Il controllo sulle banche e sugli istituti di credito speciali è esercitato dalla Banca d’Italia;
  • Le funzioni di istituto di emissione sono riservate esclusivamente alla Banca d’Italia, istituto di diritto pubblico;
  • L’esercizio del credito a breve termine viene nettamente separato dall’esercizio del credito a medio e lungo termine che è riservato a istituti di credito speciali;

BANCA D’ITALIA

La Banca d’Italia di cui si dirà meglio in seguito è un istituto di diritto pubblico ed era l’unico organo di emissione ed aveva la funzione di controllo e di organo regolatore della politica economico-monetaria del paese, sotto la vigilanza del Ministero del Tesoro oggi MEF.

ISTITUTI DI DIRITTO PUBBBLICO (secondo la legge del 1936)

Avevano la qualifica di Istituti di credito di diritto pubblico: il Banco di Napoli; il Banco di Sicilia; la Banca Nazionale del Lavoro; l’Istituto bancario San Paolo di Torino; il Monte dei Paschi di Siena; il Banco di Sardegna.

BANCHE DI INTERESSE NAZIONALE

Avevano la qualifica di banche di interesse nazionale: la Banca Commerciale Italiana; il Banco di Roma e il Credito Italiano ed erano costituite sotto forma di S.P.A. controllate dall’IRI.

Le banche erano inoltre come si è sopra detto divise in banche a breve, medio e lungo termine.

ISTITUTI DI CREDITO SPECIALE

Istituti tuttora prevalentemente di natura pubblica e sottoposti alla vigilanza della Banca d’Italia e ai poteri del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio. I più importanti Istituti di credito speciale erano: Mediocredito; Interbanca; Efibanca; Centrobanca; Isveimer; Irfis; Cis.

ENTI PUBBLICI DEL SETTORE CREDITIZIO

  • IMI (Istituto Mobilare Italiano), ente di diritto pubblico, che si occupava del credito industriale, cioè del credito a medio e lungo termine. Oggi è una divisione del gruppo bancario ISP (Gruppo Intesa Sanpaolo);
  • IRI (Istituto per la ricostruzione industriale), ente di diritto pubblico, che si accollò la proprietà più consistente delle banche di interesse nazionale e delle imprese su cui tali banche avevano il loro controllo;
  • GEPI costituita sotto forma di SPA, era una società di gestioni e partecipazioni industriali, è stata una finanziaria pubblica che aveva lo scopo di effettuare il salvataggio, la ristrutturazione e la vendita delle delle società private in pre o default

Degli enti pubblici del settore creditizio mi soffermerò brevemente sull’IRI.

I R I – ISTITUTO DI RICOSTRUZIONE INDUSTRIALE (legge del 1936 e successive modificazioni).

Come la legge bancaria del 1936 nacque per salvare il sistema bancario dell’epoca e con esso la funzione del credito e la difesa del risparmio e del risparmiatore depositante, così nel 1933 l’IRI (Istituto di Ricostruzione Industriale) fu costituito per effettuare il salvataggio delle banche e delle imprese partecipate e/o con loro interconnesse.

La formula dell’IRI permetteva così il controllo di quote di maggioranza di società operanti nei vari settori dell’economia italiana: dalla siderurgia (Ilva, ecc…), al settore meccanico (Breda, Alfa Romeo, Ansaldo), al settore bancario con il controllo assoluto delle partecipazioni azionarie delle tre principali banche di credito commerciale (o mercantile o ordinario) e cioè: Il Credito Italiano (Credit), la Banca Commerciale Italiana (Comit), e il Banco di Roma.

Così operando l’IRI divenne di fatto il controllore di molte aziende italiane di primo piano (quotate anche in Borsa) e propulsore dello sviluppo economico dell’Italia. Cosa che non fu pienamente mantenuta a causa della futura gestione antieconomica ed assistenziale delle aziende decotte e di eccessivo incremento del personale, con il sostenimento di costi eccesivi che furono detti questi “oneri impropri” e cioè costi non giustificati dalla corretta gestione economica dell’Ente intesa come equilibrio economico reddituale.

Nel 1950 l’IRI avviò il progetto di espansione della rete autostradale della società autostrade, e negli anni 80 l’IRI aveva praticamente il controllo e le partecipazioni azionarie di maggioranza in molte società italiane.  Al momento più elevato del “ conglomerato IRI- inizio del decennio 1980 – 1990  le sub-holding di settore  erano in ordine di fondazione” le seguenti: la STET (nata già nel 1933 – utilizzata per le partecipazioni in campo telefonico); la Finmare (1936 – per le partecipazioni armatoriali); la Finsider (settore siderurgico); Finmeccanica (1948 – Per il settore aerospazio, difesa, energia, trasporti e automazione); la Fincantieri (1959 – per il possesso di partecipazioni nei cantieri navali);  l’ITALSTAT (1968 – con partecipazioni nel campo delle infrastrutture e degli investimenti nel settore urbanistico; la Fintecna (per la gestione delle partecipazioni e delle liquidazioni delle società industriali e dei servizi); ecc… A queste si aggiungono la società finanziaria SME (società meridionale finanziaria); l’Alitalia, la RAI ecc…

L’IRI pertanto, da Ente nato per il salvataggio delle grandi imprese e delle banche in difficoltà finanziaria e sull’orlo del fallimento o default, si trasformò in ente propulsore dell’economia italiana e in molte aziende del gruppo IRI il capitale investito (Capitale sociale più capitale da finanziamento di terzi) era di tipo MISTO, formato cioè da apporti sia di capitale pubblico e si di apporti di capitale privato. Con la gestione di Giuseppe Petrilli l’attività dell’IRI assunse la caratteristica della conduzione delle aziende per finalità sociali abbandonando di fatto il criterio dell’economicità degli investimenti e l’obiettivo dell’equilibrio economico aziendale. Lo Stato pertanto si assumeva gli oneri delle aziende in disequilibrio economico – patrimoniale – finanziario e che non venivano gestite con il criterio della economicità della gestione e del raggiungimento dell’equilibrio economico. Le aziende gestite dall’IRI potevano chiudere con un Bilancio in perdita ed essere gestite senza seguire il criterio privatistico dell’imprenditorialità degli investimenti, perché era necessario creare utilità sociali e perseguire gli interessi della collettività. Non ci si preoccupava che gli investimenti fossero antieconomici e che procurassero costi che portavano alla perdita economica per eccessivi oneri di impresa. Questi maggiori costi, che portavano al disequilibrio economico vennero chiamati “ONERI IMPROPRI”.

Con tale gestione l’IRI cambiò completamente la funzione di risanamento delle aziende, di rifacimento delle attività industriali e commerciali del Paese e di effettuare interventi che dovevano basarsi sull’ assoluto rigore di bilancio e sulla limitazione delle assunzioni all’essenziale, per garantire un funzionamento snello ed efficiente dell’organizzazione aziendale”.

Gli ingenti investimenti degli enti e/o società, effettuati specialmente in periodi di crisi, avevano la loro fonte di finanziamento nei “Fondi di dotazione” erogati dallo Stato. Tuttavia i rilevanti investimenti non riuscivano a conseguire redditi (positivi) tali da riequilibrare il dissesto economico-finanziario degli enti e/o società che si trovavano costantemente in forte carenza di liquidità che non permetteva loro di far fronte alle richieste dei fornitori. Tale situazione era il risultato delle forti perdite dovute alla antieconomicità e alle diseconomie della loro gestione. Le aziende per fare fronte ai debiti assunti, anche per l’insufficienza dei fondi di dotazione, al fine di pagare i propri fornitori dovettero sempre più ricorrere all’indebitamento bancario che negli anni 70 arrivò a livelli vertiginosi. A seguito di ciò, sia per la diseconomia della loro gestione sia per l’elevatissimo peso degli oneri finanziari, tutte le aziende e enti partecipati dall’IRI chiusero per vari anni i loro bilanci in perdita.

Con l’avvento del prof. Romano Prodi nel 1982 alla presidenza dell’IRI, fu tentato di   modificare l’andamento della gestione dell’IRI in discontinuità con il passato.  Nel 1987 l’IRI chiuse il bilancio in utile, tuttavia non senza polemiche in quanto si ascrisse tale risultato economico positivo alla imputazione a riserva delle perdite del settore siderurgico  (dichiarazione di Enrico Cuccia).  Anche se ci fu il tentativo di risanamento del prof. Romano Prodi, l’IRI rimase il controllore e risanatore delle aziende di Stato, addossandosi le ingenti perdite da loro accumulate che ne compromise l’esistenza.

Tale situazione non andava bene all’Europa che contestava all’Italia il sostegno di natura finanziaria all’IRI e alle sue aziende partecipate e ciò per il principio della libera concorrenza e per il divieto degli aiuti di Stato che contrastava con i principi che erano a base della comunità europea. Fu necessario pertanto riformare la gestione degli enti pubblici (IRI, ENI, EFIM) e avvicinarla a quella delle aziende – imprese private. E la riforma parti con la trasformazione dell’IRI e degli enti pubblici in S.p.A.. A questa trasformazione seguì il momento delle privatizzazioni delle aziende pubbliche, a seguito dell’accordo tra Andreatta (allora ministro degli esteri) e Karel Van Miert (allora commissario europeo alla concorrenza). Tale accordo riguardava la possibilità per l’Italia di far fronte come aiuto di stato ai debiti dell’EFIM (Ente partecipazioni e finanziamento industrie manifatturiere, nato nel 1962 e liquidato nel1992) a condizione che gli enti IRI, ENI ed ENEL fossero stati gestiti con criteri di economicità della gestione economico-finanziaria, insomma venisse perseguito il raggiungimento dell’equilibrio economico nell’amministrazione gestionale delle aziende di Stato. Da ciò prese il via il periodo delle privatizzazione di alcuni enti che iniziò nel 1992 per proseguire sotto il governo di Giuliano Amato che nel 1993 fu protagonista dell’approvazione della legge bancaria che trovò inserimento nel Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (in acronimo TUBC o TUB). Il TUB, riguardante l’attività bancaria, fu emanato con il d.lgs. 01/09/1993, entrò in vigore nel 1994 e di fatto abrogò le leggi bancarie del 1926 e del 1936.

L’IRI vendette tra il 1992 e il 1997 la maggior parte delle partecipazioni e delle aziende possedute al 100% e furono privatizzate, non senza opposizione e critiche, le società che erano gestite a livello monopolistico quali Telecom Italia e Autostrade S.p.A. Le aziende ancora in mano all’IRI tra cui Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e Rai vennero successivamente trasferite sotto il controllo diretto del Ministero del Tesoro e dopo di ciò il 27giugno 2000, l’IRI venne messo in liquidazione e chiuse definitivamente ogni residua attività derivante dalla gestione dello status di azienda in liquidazione con la sua incorporazione nel 2002 da parte della controllata Fintecna. La liquidazione si chiuse con un attivo (differenza tra costi e ricavi di liquidazione uguale alla consistenza finanziaria finale in termini di disponibilità di cassa) di oltre 5.000 miliardi di lire che furono versati al Ministero del Tesoro. “Dal giugno 1992 al dicembre 2000 il valore complessivo delle cessioni è stato di 84.314 miliardi di lire derivanti da operazioni di privatizzazioni per 67.382 miliardi e cessioni di quote di minoranza per immobili non strumentali per 16.932 miliardi”. ( Segue )

Antonio Mascolo

 

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