Super Oss in Veneto, vice medico e vice infermiere in Lombardia.

Troppo tardi per contrastare l’avanzata di queste idee pensate e non ragionate. La regione Lombardia già dal 2010 con l’approvazione delle organizzazioni sindacali e professionali (tra l’altro non coinvolgenti per tempo le professioni del settore e con buona sordità alle criticità esposte dal personale operante), aveva deliberato l’utilizzo di personale tecnico non sanitario alla risposta delle chiamate di emergenza nelle centrali operative del Soccorso Sanitario: un fu scritto “banale” particolare nella delibera di stravolgimento e non di progresso di una branca del Soccorso Pubblico. Si sperava che altre regioni italiane non seguissero l’esempio e presentassero modelli organizzativi (già esistenti in diversi paesi europei), di sviluppo e innovazione professionale, organizzativa, con alti criteri e standard di sicurezza: nulla di ciò, anzi il vecchio detto “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”, è stato ben applicato. Creato il precedente, ora seguiranno le applicazioni anche in altri ambiti del sistema: nel 2016 la Regione Emilia Romagna ci provò con la figura di “Operatore all’assistenza veterinaria”.

Annualmente la conferenza dell’European Emergency Number Association (un buon laboratorio di idee, anche se ultimamente pressato da troppo business), mostra le evoluzioni dei sistemi di emergenza dei singoli paesi europei: la base è sempre il nesso tra studi abilitanti e professione ovvero Scuola, Studi Superiori, Università o Accademia ovvero Cultura che alimenta la trasformazione di un Paese rendendo appetibile l’accesso agli studi per acquisire la professione.

Ora, data la carenza (o mal organizzazione?) di personale infermieristico e medico, Veneto prima e Lombardia poi, hanno avuto l’illuminazione di creare o trasformare tre figure professionali che acquisiranno  alcune conoscenze e competenze mediche e infermieristiche.

Se questi rimaneggiamenti di professioni, che si stanno per attuare nelle regioni, servissero a far evolvere le competenze e migliorare la funzionalità interprofessionale potrebbero anche essere motivati, ma essendoci solo un motivo quantitativo di risoluzione del problema, oltre non si va.

Non entro nella competenza costituzionale e normativa, ma di giusto principio la regione non può di propria iniziativa creare e disciplinare una nuova professione. Aggiungo: in particolare in specifici settori di alta specificità e specialità quali la salute e la sicurezza di uno Stato. E’ chiaro che non si scherza con la salute e il benessere del cittadino.

Perché i giovani non vogliono intraprendere la professione infermieristica o le professioni dedite alla salvaguardia del nostro vivere quotidiano? Molto semplice: non c’è credibilità nelle predisposizioni di governo, di amministrazione, di organizzazione e di conseguenza non si vedono azioni credibili. Sembra che le istituzioni non vogliano mettere mano seriamente e con lungimiranza evolutiva alle questioni fondamentali che devono reggere la vita di un Paese; per non dire la sopravvivenza a questo punto della situazione.

Lavoro a basso costo: come nelle catene commerciali è applicato anche nei servizi alla persona. Il lavoro a basso costo produce zero qualità e zero sicurezza; lo viviamo ormai da tempo con le “cose di casa”. Gli stipendi non sono perequati, ma ciò che aumenta il divario sono anche le modalità e condizioni di lavoro umane e strutturali: si sa che il brutto imbruttisce, per essere sintetico.

Tappare le falle: tutti d’accordo che il continuo temporeggiare e rimandare le progettualità negli anni passati, sta causando ciò che vediamo oggi. Però non giustifica il modo attuale di porre rimedio: l’improvvisazione in questi settori non deve essere il requisito per accedere a un Assessorato, a una Presidenza di Regione e nemmeno a un Ministero.

A ognuno il suo mestiere si diceva un tempo, oggi arti e mestieri in continua svalutazione. Ma ciò che preoccupa è la perdita di valore che si sta inducendo nel sistema di programmazione scolastica (in tutte le sue declinazioni progressive), per preparare e sostenere le professioni che in tutto il mondo da secoli, garantiscono serenità alla Persona. E questo non è Cultura dello studio, del lavoro, delle professioni e dei servizi del Paese.

Marco Torriani

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