La tragicommedia della crisi e della trattativa per andare ad un governo “Conte Ter” è terminata, come del resto era prevedibile; su questo l’antico detto “Et de Hoc Satis” è l’unica cosa che mi sento dire.
Ora avremo, comunque -ritengo e spero- un Governo presieduto da Mario Draghi, vera “Riserva della Repubblica”?
Fra le emergenze del momento il nuovo governo dovrà affrontare anche quella della Scuola e dell’Educazione, certo non solo quella della Scuola ma anche quella dell’educazione.
Cercherò più avanti di dipanare questa questione in successive riflessioni.
Ho la certezza del fatto che Mario Draghi è consapevole che la questione Scuola sia fra quelle primarie per il Paese, accanto a sanità, giustizia, economia … perché il Presidente incaricato lo ha dimostrato nei fatti: è stato il primo ed unico Governatore della Banca d’Italia ad andare fisicamente al Ministero dell’Istruzione, per varare, congiuntamente con il ministro Giuseppe Fioroni – l’ultimo ministro della P.I. che ha assolto con dignità e competenza la funzione -, il primo progetto, seriamente sperimentale, di Educazione Finanziaria; ne sono stato operativamente coinvolto.
Se Draghi non avesse avuto contezza della fondamentale importanza della Scuola, dell’Educazione, non si sarebbe speso direttamente su questo.
Ecco allora che, in vista del Governo che Draghi dovrà comporre e guidare, mi permetto, in primis, un auspicio, che è anche una forte speranza: il nuovo ministro Pubblica Istruzione (non consiglierei di riaggregare l’Università e la Ricerca con la Scuola) sia una Persona di Alta Cultura (uso il sostantivo ministro non come sostantivo di genere ma come neutro).
Questo sia perché gli ultimi ministri, ministre, nominate hanno dato, a mio giudizio quale uomo di Scuola, pessima prova, passando dalla “buona scuola” ai banchi a rotelle…
Il Governo Draghi ed il nuovo ministro della P.I. si troveranno certo a dover gestire l’emergenza del funzionamento Scuola nel periodo pandemico tuttavia spero vivissimamente che pongano mano alla soluzione dei problemi strutturali della Scuola, affrontandoli non con ”mentalità giuridico-burocratica” ma con approccio educativo.
Per questo auspico che non si parli dell’ennesima “riforma della Scuola” ma che si ponga mano alla” riforma del sistema di gestione della Scuola”, cioè del Ministero della P.I. nei suoi uffici centrali e periferici, che, nella prospettiva consolidata, nelle parole ma non nei fatti, dell’autonomia scolastica, dovranno esser trasformati in “autorità di supporto, controllo e valutazione” e condotti da dirigenti e funzionari dalla formazione in Scienze dell’Educazione e non dalla formazione giuridico– amministrativa–burocratica: insomma siano gente di Scuola, che abbiano un approccio educativo ai problemi e non persone, pur ottime, che non vengono dalla Scuola e che dei suoi problemi hanno una visione “esterna”.
Non sembri questa una richiesta “strana”, non credo, ad esempio, che i dirigenti del Ministero della Sanità non ne sappiamo di medicina e che quelli del Ministero delle Infrastrutture non siano prevalentemente ingenieri; che quelli del Ministero dell’Economia non siano economisti e quelli del Ministero della Giustizia non siano giuristi.
Per qual motivo, allora, i dirigenti della P.I. non debbono esser di formazione prevalentemente pedagogica?
Sono convintissimo, venendo dalla Scuola, sulla base di diretta pluriennale esperienza negli Uffici Periferici e Centrali del M.P.I., che il problema di fondo della gestione della Scuola sia proprio quello della tipologia di formazione professionale di chi deve supportare tecnicamente il Ministro della P.I..
Ovviamente quanto detto sul profilo professionale della dirigenza “gestionale”, centrale e periferica è preliminare alla “riforma” di tali Uffici, allo snellimento delle procedure amministrative, delle quali occorre, ho già avuto modo di dirlo, una vera innovazione strutturale e per le quali uno dei primissimi problemi da risolvere è quello degli organici scolastici e del precariato; questa si lega alla questione dei concorsi e delle modalità di assunzione, non solo del personale docente ma anche di quello dirigente ed ispettivo; dirigenti che debbono tornare ad esser “educatori e valutatori” dei docenti, ispettori che debbono essere coordinatori dei dirigenti e cinghie di trasmissione dell’innovazione.
Per il precariato occorre un serio piano pluriennale, che leghi i pensionamenti alle assunzioni, con modalità differenziate in relazione al servizio espletato, e che si fondi sugli Organici stabili delle Scuole. Per i concorsi bisognerà tornare a renderli davvero selettivi e, quelli per dirigenti, nazionali, non più regionali, e con filtri d’accesso che oggi non sono adeguati, così come per il concorso ispettivo.
Il discorso su questi aspetti è troppo tecnico per esser affrontato in questa sede.
Mi chiedo, ci chiediamo certo in molti: potrà un governo che nasce in una situazione come questa avviare questo percorso?
La domanda è retorica perché contiene la risposta, che è SI, a patto che il nuovo governo, il Parlamento, abbandonino l’ottica della propria sopravvivenza, che ha dominato sino ieri e pensino, seriamente, a quella degli italiani e dell’Italia.
Roberto Leoni