L’Italia, al pari degli altri Paesi europei e non solo, sta affrontando la lunga e complessa lotta al Covid-19, che non sappiamo quando si concluderà. Ancor più nebulosa appare l’uscita dalla crisi iniziata nel 2008 e poi acuita dalla recessione mondiale dovuta alla pandemia. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziato dai fondi straordinari europei, si è appena avviato e richiede idee chiare, competenza, rapidità di scelte.

Per vincere su questi fronti l’Italia ha quanto mai bisogno di stabilità politica, almeno sino alla fine naturale della legislatura, nel marzo 2023. Un decisivo contributo alla coesione nazionale è stato assicurato dalla presenza di Sergio Mattarella al Quirinale, mentre Mario Draghi ha messo in gioco il suo prestigio internazionale assumendo la guida del Governo per far uscire il Paese dall’emergenza. Questo positivo assetto istituzionale a febbraio 2022 dovrà fare i conti con l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica a Camere riunite, con l’aggiunta dei 58 rappresentanti delle Regioni.

Sono tanti gli Italiani – e noi tra questi – che si augurano la riconferma alla Presidenza della Repubblica di Mattarella: egli sarebbe garanzia di stabilità e unione, l’esempio di una politica vicina alle persone e votata al “bene comune”. Continuerebbe ad essere garante della Costituzione e stopperebbe alla radice i giochi per un superamento del Governo Draghi o per la fine anticipata della legislatura, quanto meno azzardata nell’anno decisivo per ottenere gli oltre 200 miliardi di euro che l’Unione europea ha destinato all’Italia e utilizzarli in modo efficace per la ripresa e l’occupazione.

Ricordiamo tutti la brutta esperienza del 2013, quando un sistema dei Partiti diviso e inaffidabile, impaludato nella melma della guerriglia parlamentare dei franchi tiratori e incapace di trovare una soluzione di prospettiva, finì per chiedere al Presidente uscente Napolitano la disponibilità a una sua riconferma.
Oggi a maggior ragione – vista la gravità della crisi pandemica ed economica, che si aggiunge alla crisi di credibilità della politica, con metà dei cittadini che non va più a votare – la stessa disponibilità va richiesta a chi ha dimostrato sobrietà, saggezza e un alto senso della comunità e dello Stato, facendosi apprezzare dagli Italiani di ogni orientamento politico.

Sappiamo bene che Mattarella ha escluso più volte di volersi ricandidare Presidente della Repubblica. Qualcuno se ne stupisce? Non può essere diversamente, da parte di una persona che non cerca la ribalta, rispettosa della Costituzione democratica e delle prerogative del Parlamento. Per questo il reincarico non sarebbe una forzatura – anzi, un segnale di speranza nella “buona Politica” – e garantirebbe, per le sue doti di equilibrio e sobrietà, il rispetto della democrazia parlamentare senza tentazioni presidenzialiste.

Sarebbe bello se una richiesta di disponibilità a Mattarella partisse unanime dai Partiti presenti in Parlamento. Ma siamo nel campo dell’utopia. Pare assai più probabile uno scenario di divisione per inseguire convenienze di parte, con la possibile ripetizione della sconcertante guerriglia già vista. E la richiesta a Mattarella di accettare il reincarico potrebbe allora avvenire sulle macerie di un nuovo scontro politico a tutto campo, con le forze politiche incapaci di venirne a capo, così come avvenne con Napolitano. Ma la credibilità della democrazia rappresentativa subirebbe così un ennesimo duro colpo.

Per approfondire il discorso può essere utile una panoramica sulle possibili alternative a una riconferma di Mattarella.

Il trasloco di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale garantirebbe analogo prestigio internazionale, e seguirebbe anche la regola, non scritta ma quasi sempre rispettata, dell’alternanza al Colle tra un cattolico e un laico. Un fan di Draghi come il ministro Giorgetti ha anche ipotizzato che la sua elezione possa configurare una sorta di “semipresidenzialismo de facto” che asseconda il desiderio di un “uomo forte” alternativo al sistema dei Partiti, prospettiva da cui ci dissociamo. Ma comunque si aprirebbe il problema del Governo: forse Draghi pensa di mantenere una sorta di statu quo promuovendo a premier il ministro dell’Economia e Finanze Daniele Franco. Come però potrebbe finire l’inevitabile crisi di governo, senza il prestigio di Draghi a guidarlo, nessuno lo può dire. Unica certezza, che la richiesta di elezioni anticipate in arrivo da destra – la Meloni e un Salvini sganciatosi dal governo – diventerebbe assordante. E allora tanti parlamentari spaventati dalla fine anticipata della legislatura eviteranno il rischio di andare a casa un anno prima mantenendo Draghi alla guida del governo…

La candidatura di Berlusconi è meno folkloristica di quello che può apparire, nella logica di perpetuare il disgraziato bipolarismo italico. Il leader di Forza Italia può contare sulla compattezza del centrodestra e sulla sua capacità di fare campagna acquisti nel vasto territorio dei “senza casacca”: parliamo di circa 150 tra deputati e senatori, in gran parte fuoriusciti Cinquestelle, e quasi tutti con pochissime possibilità di essere rieletti anche per la drastica diminuzione del numero dei parlamentari. Quanti di loro sentiranno il fascino del Cavaliere e dei suoi argomenti? Ovviamente parliamo delle sue ultime dichiarazioni a favore del reddito di cittadinanza, non di quelli che hanno convinto in passato personaggi come De Gregorio, Razzi, Scilipoti…

Le ambizioni di Berlusconi danno fiato all’altra faccia del bipolarismo. Letta ha escluso di votare il “candidato di bandiera” del centrodestra (analoga dichiarazione non è però arrivata da Renzi…) e dal suo partito giunge ora la proposta di escludere per legge la ricandidabilità del Presidente della Repubblica. Una mossa contro la rielezione di Mattarella? Oppure a suo favore, secondo alcuni commentatori che interpretano così le contorte strade della politica? Possibile che i Dem si mantengano fedeli alla logica bipolare (rilanciata dal segretario con la strategia del “nuovo Ulivo”) nella convinzione di poter ottenere quel voto in più sufficiente per vincere (dalla quarta votazione basta la maggioranza assoluta). Sbucherebbero allora dal cilindro le candidature di Prodi e/o Veltroni e/o Gentiloni e/o qualcun altro, con l’idea di suggellare il nuovo centrosinistra giallorosso tra il Movimento di Conte e il PD.

Se poi assisteremo ad un infruttuoso braccio di ferro tra i due poli, si giocheranno le loro carte i candidati con l’ambizione di mettere tutti d’accordo, quelli buoni per tutte le stagioni, come Giuliano Amato o Pierferdinando Casini, ma non è detto che un quadro politico dilaniato possa trovare una ricomposizione.

Forse Mattarella stesso, mettendosi fuori dai giochi, pensa che si possa mantenere un assetto stabile convergendo da subito su una personalità esterna ai partiti, con un profilo simile al suo. Magari una donna, come la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Ma anche contando su una maggioranza di parlamentari spaventati dall’eventualità di elezioni anticipate, non è detto che prevalga una scelta di responsabilità su un nome diverso dal Presidente uscente, che comunque non ne avrebbe la stessa autorevolezza. Sarebbe meglio andare sul sicuro. Se il sistema dei partiti, avvitato nei suoi calcoli di bottega, non è in grado di chiedere apertamente a Sergio Mattarella di continuare, lo potrebbero allora fare gli Italiani, magari con una petizione.

Le buone cause possono venire patrocinate anche partendo dal basso.

Alessandro Risso

 

Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione I Popolari del Piemonte

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