Ce n’è per tutti. L’ ira funesta di Giorgia Meloni colpisce per ogni dove, a Roma e a Bruxelles.
Una Presidente del Consiglio decisamente sopra le righe si è prodotta, ieri l’altro, in replica alla Camera, in uno “show” parlamentare che forse voleva essere, nel contempo, uno sfogo e una dimostrazione di forza. Senonché quest’ultima, quando è effettivamente tale, non ha bisogno di trascendere. Al contrario, quando tracima e si fa astiosa, si rovescia nel suo contrario. Segnala una tensione che è comprensibile, dato che il governo, dopo la trionfale e decantata stagione del suo avvio e per quanto – vedi Molise – continui a godere del favore popolare, è entrato in fibrillazione su più fronti. Eppure, non sono all’ orizzonte perturbazioni – almeno così immediate e gravi – a meno che la maggioranza se le procuri da sé in vista dell’appuntamento elettorale europeo. Del resto, con la Schlein, l’opposizione, se mai ci sia stata, si è fatta ancora più diafana ed evanescente. Al punto che dovrebbe preoccuparsene perfino il Governo.
Un sistema democratico e parlamentare ha bisogno di un equilibrio che nasce da una dialettica, in carenza della quale anche una esuberante forza parlamentare rischia di sbandare.
Un confronto serrato, quando viene condotto in Parlamento e nel paese in modo corretto, nel rispetto delle rispettive posizioni, trasforma il contrasto in una forma di dialogo, pur senza tradire i rispettivi punti di vista.
Il che non significa scivolare in una qualche forma di “consociativismo”, ma piuttosto riconoscere come ogni posizione politica abbia bisogno di misurarsi con il suo contrario per definire meglio il suo stesso perimetro.
Ascoltare le ragioni degli altri è un esercizio fondamentale per maturare una miglior consapevolezza dei propri orientamenti.
Nel nostro attuale sistema politico-istituzionale questo non è oggi possibile, almeno per due motivi. Anzitutto, la succitata assenza di una opposizione credibile, che costringa la maggioranza a misurarsi con un disegno alternativo.
In secondo luogo, l’abbrivio di mera e cieca contrapposizione tra i due poli che ha assunto il nostro sistema.
Questa condizione finisce per generare un’ atonia del “discorso pubblico” che sicuramente non favorisce il recupero di un astensionismo ormai stabilmente superiore ad oltre la metà del corpo elettorale.
Del resto – e dopo l’estate ci saremo dentro pienamente – quanto più la situazione politica viene aspirata nell’
imbuto della prossima scadenza elettorale, tanto più le perturbazioni interne alla maggioranza rischiano di aggravarsi.
Ad ogni modo, la consultazione del prossimo giugno, grazie alla legge proporzionale con cui si vota, finirà
per essere il momento della verità, soprattutto per quegli equilibri europei che sostanzialmente sono sempre meno distinguibili da quelli nazionali.
Vale per tutti i Paesi dell’Unione, ma soprattutto per noi, ancora sospesi tra un euroscetticismo larvato, ma non del tutto spento e le tesi nazional-sovraniste che rappresentano per l’ Europa una palla di piombo al piede.