“ Giovan Battista Montini rappresentò la voce della Chiesa che parlava al mondo, anche delle cose del mondo. Parlava, così, pure della politica e parlava alla politica”.
Così, scandisce Filippo Peschiera mentre nella sua casa di Genova cerca in una quantità sterminata di fonti e di libri il filo rosso che si sviluppa lungo la vita e l’impegno di Papa Montini. Peschiera è in procinto, infatti, di concludere un ampio studio su san Paolo VI, prossimo per andare alle stampe.
Quella di Montini , dice Peschiera “ è una possente figura di prete, pensatore fine e raffinato, diplomatico, arcivescovo e, poi ,Papa”. E’ una” sostanza” della Chiesa ancora viva e tangibile. Ci troviamo dinanzi ad uno degli uomini più importanti della intera storia moderna, non solo della comunità dei cattolici. Egli, infatti, incarna ed indirizza una Chiesa impegnata nel tentativo di “ risintonizzarsi con un mondo apparentemente distante, indifferente rispetto all’annuncio evangelico, ma che in realtà cerca il dialogo, il confronto, accetta il coinvolgimento nella riflessione sulla dimensione profonda dell’essere umano, sul significato della propria presenza”.
Una presenza che guarda all’integralità dell’essere umano. Dalla sua proporzione spirituale alla proiezione nella realtà concreta fatta da relazioni interpersonali, da contesti economici e sociali, da esigenze culturali. Fatta di preoccupazioni, indecisioni, ma anche di attese e speranze.
“ Nella sua celebre frase sull’impegno politico che rappresenta la punta più alta della carità, sottolinea Peschiera, c’è tutta la forza dell’ intendere una presenza del cristiano nel mondo seguendo, in effetti, una capacità programmatica, la sostanza di un intervento, la convinzione di esser capaci di incidere sulle dinamiche che interessano e coinvolgono l’essere umano, le naturali aggregazioni collettive, a partire dal nucleo basilare della famiglia, la vita che parte e ritorna alle istituzioni”.
Peschiera ricorda come a Montini si debba molto della ripresa del progetto politico democratico di quanti ispirati cristianamente, durante il fascismo e dopo la guerra, vollero provare a cimentarsi nella “ forma più alta di carità”. Figlio di un senatore del Partito Popolare, aveva seguito con la sua proverbiale attenzione, capace di essere preciso perfino nelle minuzie, tutto il percorso del partito fondato da don Luigi Sturzo.
Peschiera ricorda anche come durante il ventennio fascista, a Montini si deve la formazione di una buona parte del futuro gruppo dirigente della Democrazia cristiana che, anche sulla base della sua sollecitazione, studiò Maritain, Mounier e tutta la scuola del personalismo. “A lui, dice, si deve moltissimo del giusto e profondo intreccio tra educazione religiosa ed educazione politica che ha permeato migliaia e migliaia di giovani di molte generazioni. Si è trattato, il suo, di un papato davvero unico”.
“ Montini ci insegna a tornare alla Storia, insiste il nostro interlocutore, perché inevitabilmente con la Storia dobbiamo fare tutti i conti. E’ fondamentale l’attenzione al presente, ecco un’altra raffinata riflessione che viene dalla figura e dall’azione di Paolo VI, ma della Storia nessuno può liberarsi. I fenomeni dell’oggi li leggi nel passato. Li interpreti e le comprendi pienamente solo se si va nei giorni precedenti a conoscere ad indagare. In questo, il pensiero di Papa Montini è cruciale”.
E’ immediata la domanda sul modo in cui, oggi, si possa tornare ad essere montiniani, così come è immediata la risposta di Peschiera: “ restando attorno ai problemi, ai casi concreti, ma anche dedicandosi alla formazione. Non a quella che si fa oggi, penso a molte scuole di educazione alla politica, dove ci si limita a poche ore saltuarie. No, l’allora monsignor Montini, soprattutto nel periodo della Fuci, disponeva corsi che duravano intere settimane. Oggi anche i partiti non fanno più formazione perché per farla ci vuole fatica e la cosa implica impegno e coerenza perché, dopo, non è sempre facile cambiare idea su tutto. Inoltre, Paolo VI è sempre stato attento alla scienza ed alle sue evoluzioni. Anche alle elaborazioni della cultura laica. Soprattutto a quella influenzata dai mondi di riferimento delle altre realtà cristiane, come i protestanti e gli ortodossi, o dalla cultura ebraica. Un peso che spesso viene sottovalutato e, adesso, noi non dobbiamo fare questo errore”.
Inevitabile la domanda sugli uomini di Chiesa dei nostri giorni. “ Devono ricominciare a parlare, seguendo il suo metodo, la sua attenzione alle cose e, quindi, devono parlare anche della politica. Tutti, anche gli avversari, soprattutto loro, ascoltano gli interventi della Chiesa. Bisogna riscoprire con umiltà e attenzione il pensiero montiniano. Rileggere quello che Paolo VI ha detto e fatto. Certo , precisa Peschiera, lo spazio della politica deve essere proprio, deve essere completamente occupato dai laici. Ma la Chiesa fa bene a parlare, perché la sua parola conta. Oggi si parla della ripresa di una iniziativa politica, di una presenza. Bisogna capire che il ritorno ad una politica che tende all’unità, che punta al bene comune, significa rafforzare anche l’unità sociale. Non a caso, consapevole di tutto ciò, Giovan Battista Montini ha indirizzato la nascita della Dc, il suo programma, la politica governativa, soprattutto quella estera e sociale. E’ stato un grande artefice della Carta costituzionale che trasuda di pensiero cattolico, al punto che mi chiedo spesso se egli non debba essere nominato Patrono della Costituzione repubblicana”.
Per Paolo VI, continua Peschiera, la diaspora politica significa anche diaspora della fede e dei costumi. Così, guardando all’oggi, egli si interroga sulla “ damnatio memoriae” che sembra avere avvolto quasi tutti gli intellettuali cattolici e si chiede se questo punto sia stato indagato nel corso del processo di canonizzazione di Montini, visto che “ egli era così intelligente e santo da aver già percepito in vita questa “ damnatio memoriae” della sua opera e del suo pensiero”.
Peschiera sembra riflettere tra se e se quando si chiede “ se gli uomini di Chiesa italiana si rendono conto di questo vuoto, creato anche per i troppi silenzi”.
Giancarlo Infante