E se i cattolici anziché almanaccare tra destra, sinistra e centro, provassero a dire come la pensano, almeno in ordine a quattro-cinque questioni dirimenti e non aggirabili per chiunque intenda concorrere alla sfida – questa sì centrale – della salvaguardia, o meglio del rilancio di un ordinamento democratico in debito di ossigeno? E il momento è oggi, a fronte della nuova stagione che si va profilando.
Coloro che invocano un tavolo comune di ricomposizione dei differenti indirizzi, e via via si sono affaccendati, e tuttora cercano di darsi da fare attorno al cosiddetto “superamento della diaspora”, sono d’accordo che innanzitutto – a quel punto sì collegialmente – ci si sottoponga tutti a questo esercizio di “autonomia” che, dopo trent’anni di militanza mercenaria sotto altre bandiere, è indispensabile per capire se e fin dove si possa avanzare al Paese una proposta originale ed autonoma, nel segno della comune ispirazione cristiana? E’ a quel punto che eventualmente risponderemmo sì “insieme”. Come, del resto non a caso, è negli auspici dello stesso nome che abbiamo dato al nostro partito.
Ammettendo che se ciò sia davvero possibile, lo sapremo solo dopo questo spassionato esame di realismo e di verità, da condurre, se necessario, anche in modo ruvido, ma con quella schiettezza che deve costituire necessariamente un versante indispensabile del nostro chiamarci ancora “amici”?
Siamo d’accordo, intanto, che non abbia alcun senso rimettere insieme un comune impegno politico dei cattolici solo per intrufolarci al “centro” di uno schieramento politico decotto, che va, invece, prima che affondi del tutto, “trasformato”. Anzitutto, restituendo, con una nuova legge elettorale, l’Italia agli italiani? Siamo, dunque, tutti disposti a sottoscrivere, fin da subito, un forte appello per quella riforma proporzionale del sistema elettorale che era tra i presupposti miseramente abbandonati del percorso di riduzione del numero dei parlamentari? E così per quanto concerne una revisione della forma-partito in applicazione dell’ art. 49 della Costituzione? Sarebbe già un bel passo avanti.
Oppure alcuni, o molti tra coloro, che inseguono il mitico Eldorado del “centro”, in effetti ancora coltivano la riserva mentale di aggrapparsi, poi, all’ uno o all’altro dei due schieramenti del maggioritario bipolare? Sarebbe meglio saperlo subito, dato che tutto ciò, per quanto ci riguarda, nulla ha a che vedere con la ragione fondativa di “Insieme”. Per cui possiamo risparmiarci il tempo e la fatica di un confronto con chi custodisca ancora in pectore un tale orientamento.
Siamo o no d’accordo circa un impegno dei cattolici che, anche in chiave elettorale, sia autonomo? E sulla condivisa constatazione che, in questa eventuale prima fase di ricomposizione, il comune impegno politico dei cattolici debba essere orientato, prima che ad attese elettorali o di potere, ad un compito di verità? Siamo moralmente, prima che politicamente, legittimati ad evocare la nostra ispirazione cristiana se poi la insabbiamo tristemente nella ricerca dello “strapuntino”, piuttosto che dell’orizzonte strategico di una visione all’altezza del tempo che ci è dato? Siamo d’accordo che sia necessario affidare un tale progetto ambizioso ad una nuova classe dirigente, senza che nessuno coltivi nostalgie di ruolo che evocano altre, più o meno, antiche stagioni del proprio personale impegno?
Siamo d’accordo di non scandalizzarci se, una volta sviluppata l’analisi delle questioni irrinunciabili di cui sopra, scoprissimo non solo di non essere al “centro”, ma addirittura al di fuori della cittadella fortificata ed autoreferenziale dell’attuale sistema? Bensì collocati in un luogo “altro” da cui sospingere – sia pure in chiave “extraparlamentare”, se pure così dovesse essere – quel processo di trasformazione di cui il Parse ha bisogno?
E siamo, infine, d’accordo che, ove questa ricomposizione si rivelasse una chimera, ognuno percorra la propria strada, secondo sentimenti di reciproca serenità, valorizzando, in ogni caso, il proprio riferimento ad una concezione cristiana della persona e della vita, sia pure nelle forme del legittimo pluralismo politico dei cattolici? Fin qui le tante questioni di metodo.
Ma, entrando nel merito, quale strategia di reale, studiato contrasto delle profonde diseguaglianze sociali che avviliscono ed offendono la più elementare dignità delle persone? Siamo in grado, anche sul piano della competenza tecnica, di suggerire una politica di inclusione che concerna, anzitutto, il lavoro, nuove forme “generative” di welfare, forme aggiornate ed efficaci di redistribuzione del reddito? Continuiamo a far solletico all’evasione fiscale o sappiamo come attaccarla alla radice? E del fenomeno migratorio cosa ne pensiamo? Delle “periferie” che sono al centro della visione internazionale di Papa Francesco? E del tendenziale cammino verso società multietniche, destinato a rappresentare una sfida decisiva, di portata almeno secolare per l’Europa? Insomma, italiani si nasce o, pure, si diventa ? Ci assumiamo quel compito di verità che richiami il Paese a prendere atto di un tema che non si può più nascondere sotto il tappeto?
Ma le domande sono tante ancora.
Della “sovranità”, della sua declinazione sul piano europeo, nazionale e locale, cosa ne pensiamo? Abbiamo in mente, dopo il deragliamento secessionista imposto dalla cultura del rancore su cui ha prosperato la Lega, una nuova stagione di valorizzazione e di investimento sulle autonomie locali oppure no? Pensiamo, ad esempio, ad una larga autonomia impositiva perché gli stessi Comuni diventino soggetti attivi di governo del territorio e laboratori di invenzione innovativa di indirizzi politici ed amministrativi oppure ci va bene che siano ridotti ad agenzie di mera erogazione di servizi?
E sui temi della vita e della morte, sull’impiego di biotecnologie che consentono all’uomo di “manipolare” sé stesso, coltivando la ferale illusione di una propria esiziale “auto fondazione”, siamo d’accordo che, per nessuna ragione di accomodamento o di convenienza politica, non si fanno sconti a culture modellate su criteri di esasperato individualismo?
Immersi nella società della rete, della conoscenza e della comunicazione, quale priorità diamo ad una politica organica per le età minori della vita? Intendiamo mettere in campo una lotta senza quartiere alla povertà culturale ed educativa, all’abbandono scolastico o, alla fin dei conti, tutto sommato accettiamo l’idea che una società ad alto funzionamento non possa non ammettere una copiosa dose di “scarti”, come li chiama Papa Francesco, sia pure “umani”?
Ed il nostro “europeismo”, non ingenuo, ma consapevole delle criticità che lo attraversano, della sua necessaria declinazione mediterranea, del necessario andare “oltre” le sue stesse frontiere, è davvero talmente convinto da rappresentare una discriminante “sine qua non”, nei confronti delle varie famiglie di euroscettici? E così per quanto concerne la collocazione internazionale, sia pure critica, ma fortemente “occidentale” e storicamente atlantica del nostro Paese?
Altri versanti sarebbero da esplorare. Ma in nessun modo possiamo accettare di disperdere il patrimonio della cultura politica cattolico-democratica e popolare. A mio personale, personalissimo avviso, lo stesso partito di “Insieme” dovrebbe lanciare agli altri soggetti di varia natura, politici oppure associativi che si muovono nella nostra area di riferimento culturale, la sfida di questa verifica. Da condurre con franchezza, subito, dopo la risoluzione della pratica del Quirinale ed in vista della scadenza elettorale di fine legislatura. Rifacendosi, del resto, non ad un pensiero improvvisato, bensì ad una riflessione meditata che viene da lontano.
Non a caso, uno dei primi articoli ospitati su queste pagine – eravamo nei primissimi giorni dell’aprile 2019 e “Politica Insieme” aveva avviato il suo ormai lungo e quotidianamente ininterrotto cammino da pochi giorni (CLICCA QUI )- iniziava così: “E se provassimo a cancellare dal nostro lessico familiare due parole: centro e moderati? E ci sforzassimo poi di capire quello che i cattolici democratici hanno schiettamente da offrire, secondo la specificità della loro cultura politica, al Paese in questa fase complessa della sua vicenda storica, senza indulgere alla suggestione di parole che il tempo e l’uso, ancor più l’abuso, che ne abbiamo fatto, hanno, per più aspetti, appesantito e corroso?
Dove sta scritto che le posizioni espresse da chi cerca di assumere il riferimento al valore umano, inalienabile e trascendente della persona come timone della propria azione politica debbano essere moderate a prescindere?”.
Domenico Galbiati