Si apre oggi a Roma l’Assemblea costituente del “nuovo” soggetto politico d’ispirazione cristiana, aperto a credenti e a non credenti.

Nasce all’insegna della trasformazione socio economico, ma persino antropologica, di cui ha bisogno l’Italia; della difesa del senso della Vita, dell’autonomia perché dinamicamente alternativo all’intero attuale sistema politico; della scelta per l’Europa e per gli europei; di un modo razionale e costruttivo di vivere la politica; dell’inclusione e della partecipazione più ampia possibile, rifuggendo da ogni suggestione leaderistica o di partito “padronale”. 

Si tratta di  prospettare il superamento della “diaspora” che ha caratterizzato  gli ultimi 25 anni della presenza del movimento politico di cattolici sparsi in mille rivoli e rimasti, adesso, del tutto delusi sia dal centrodestra, sia dal centrosinistra. Anche in occasione delle recenti elezioni regionali abbiamo assistito alla presentazione di liste presentate senza la capacità di proporsi come polo attrattivo e alternativo.

Il nostro obiettivo è quello di andare oltre la divisione tra i cosiddetti cattolici del sociale e quelli della morale. Una separatezza favorita da un bipolarismo che ha in stretto e limitato la politica italiana in una contrapposizione spesso forzata e, per certi versi, persino strumentale visto quanto, a fasi alterne, è stato utilizzato dalle maggioranza e minoranze di turno.

Siamo convinti, lo abbiamo detto nel nostro Manifesto ( CLICCA QUI ), che la politica debba essere animata da un “pensiero forte”. In grado di vivificare una capacità progettuale e gestionale della cosa pubblica. Se essa non affronta i problemi reali del Paese si rivela solo uno stanco, e persino noioso, campo di battaglia condotta a colpi di slogan. Finisce per rinunciare, di fatto, ad assumere molte di quelle responsabilità verso cui vanno le attese della gente.

E’ per questo che l’Assemblea di Roma, in cui si ritroveranno tanti amici di ogni parte d’Italia,  partecipanti anche per via telematica, partirà dall’esame del seguente documento politico programmatico quale base di un’ampia discussione necessaria a cogliere il senso della nascita del “nuovo” soggetto politico e delle prospettive verso cui noi guardiamo.

 

                                              CHI SIAMO E QUALI SONO I NOSTRI OBIETTIVI

Un nuovo partito di ispirazione cristiana, autonomo e non confessionale

In un momento difficile per il nostro paese, in cui la crisi pandemica, aggiuntasi agli strascichi non sanati delle
crisi economica e finanziaria del 2008 e ai problemi tradizionali italiani, ha colpito duramente le fasce più
deboli della popolazione, le famiglie a basso reddito con figli, i giovani e le donne in cerca di lavoro, i piccoli
imprenditori e le partite IVA, i lavoratori irregolari, constatiamo che le proposte politiche avanzate dai
principali partiti sono ampiamente inadeguate a dare risposte a questa situazione. La contrapposizione
frontale tra chi, da una parte, continua ad avanzare proposte che mescolano uno statalismo obsoleto con un
radicalismo individualistico e chi, dall’altra, coltiva un nazionalismo con pericolosi sbandamenti verso
sentimenti razzistici, per non parlare del populismo raffazzonato che pervade entrambi gli schieramenti,
espone il paese e gli elettori a una scelta tra Scilla e Cariddi, accresce la sfiducia dei cittadini nei confronti
della politica e spinge troppi verso il limbo dell’astensione.

E’ necessaria allora una nuova proposta politica che, riconoscendo la gravità della situazione ma anche le
prospettive che si stanno aprendo grazie alle nuove misure europee, sappia mettere al centro i veri problemi
del paese, rinnovi la fiducia nella comunità civile e riaccenda la speranza nel futuro, valorizzando le grandi
risorse di solidarietà operosa, di qualità del lavoro, di innovazione imprenditoriale e di creatività nei settori
più avanzati della ricerca che gli italiani sanno dimostrare nei momenti più difficili.

Come laici che traggono ispirazione dalla loro fede cristiana, aperti a chi crede e a chi non ha un riferimento
religioso, ma riconosce e condivide queste consapevolezze, vogliamo provare a dare risposta ai problemi del
nostro paese riunendoci in un’Assemblea che segni il primo passo per la nascita di un nuovo partito che nella
Costituzione e nella Dottrina Sociale della Chiesa trovi gli elementi fondamentali della sua missione. Crediamo che, partendo da una visione veramente integrale della persona umana e della sua irrinunciabile dignità dal concepimento alla morte naturale, si possa sviluppare una proposta politica nuova incentrata sui
principi della solidarietà e sussidiarietà che metta al suo centro i bisogni concreti delle famiglie, dei
lavoratori, degli imprenditori, delle comunità locali e nazionale. Una proposta che veda in un forte impegno
nell’educazione dei giovani e dei meno giovani uno degli strumenti fondamentali per costruire una comunità
pienamente umana e civile e capace di guardare con speranza al futuro. Una proposta che si proponga di
avviare una profonda trasformazione dell’economia in direzione di una vera “conversione ecologica”. Una
proposta che miri a riforme radicali delle amministrazioni pubbliche centrali e periferiche per renderle
pienamente orientate a dare sostegno e collaborazione alla libera attività dei cittadini. Una proposta che non
rimanga imprigionata in una ristretta visione nazionale perché oggi, più che mai, sono l’Europa e l’intero
mondo a definire l’orizzonte del domani.

Ci incoraggia su questa strada il magistero di Papa Francesco che proprio oggi licenzia la sua terza
enciclica “Fratelli tutti” dedicata alla fraternità e all’amicizia sociale. Al Pontefice vanno il nostro saluto e il
ringraziamento per il pensiero e l’azione diretta a sostenere l’idea che tutti possono partecipare alla
costruzione di un mondo migliore. Noi cercheremo di fare la nostra parte.

                                                                    LE NOSTRE PRIORITA’

La dignità della persona e il rispetto della vita

La nostra proposta politica ha come suo fondamento il riconoscimento della intangibile dignità di ogni
persona e quindi la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale e l’attenzione a tutti i soggetti più
fragili della società (anziani soli, giovani emarginati, poveri, persone che fuggono dalla fame e dalle guerre).
La pandemia Covid- 19 costringe tutti – da qualunque cultura si provenga – a ricercare una risposta di “vita”
in questo versante doloroso della nostra storia, e a superare la deriva involutiva di una asserita “cultura
dominante” che vuole imporre una visione della vita umana come un qualcosa di liberamente manipolabile
e disponibile.

La forte attestazione di questo nostro indirizzo, orientato alla promozione della Vita, può essere
rappresentata dall’adozione di serie politiche di aiuto alle madri in difficoltà e dal riconoscimento della
personalità giuridica dell’embrione, attraverso la modifica dell’art.1 del Codice Civile. Altrettanta attenzione
deve essere posta per politiche che contrastino la solitudine e l’abbandono delle persone che affrontano la
fine della loro vita in condizioni di grave fragilità.

La difesa della vita umana in tutte le sue situazioni critiche è un impegno per il quale riteniamo doveroso
chiamare a raccolta posizioni culturali e politiche di differente matrice, sollecitando una considerazione non
ideologica di tale argomento. L’agenda politico-parlamentare, con la nostra iniziativa, deve esaminare la
consequenzialità tra principi etici e valori sociali senza dividersi in campi contrapposti. Come qualsiasi
argomento, che interpelli la coscienza dell’essere umano, la bioetica non può e non deve divenire oggetto di
azione dei governi, ma restare nell’alveo della centralità del Parlamento.

La famiglia primo ambito della fraternità e risorsa fondamentale della società

La fraternità richiama in primo luogo le relazioni umane più immediate che sono quelle della famiglia. La
famiglia, fondata sul matrimonio come dice la nostra Costituzione, basata sul rapporto stabile tra uomo e
donna e aperta con la generazione dei figli allo sguardo verso il futuro, deve essere pienamente riconosciuta
come il nucleo fondamentale di una società che è evoluta se, e in quanto, ritrova il senso di una Vita da non
spendere in solitudine e in modo autoreferenziale.

E’ tempo quindi che la politica italiana riconosca fattivamente il ruolo centrale che la famiglia svolge nella
società in campo educativo, morale, economico e di erogazione di un prezioso e qualitativamente
incommensurabile welfare di base. Lo stato deve dunque fornire alla famiglia un sostegno adeguato, non più
concepito come un costo, ma come un investimento, e contrastare così la desertificazione demografica
incoraggiando una naturale procreazione pienamente consapevole.

Non si può adeguatamente parlare di famiglia se non ci si preoccupa dei servizi ad essa da destinare, se non
se ne favorisce la partecipazione vera e piena ai processi decisionali sulle risorse dello Stato, delle regioni e
dei comuni, se essa non è coinvolta, anche in questo caso realmente, nel governo della scuola e delle
dinamiche formative da concepire all’insegna di un’autentica libertà d’educazione. Parlare di famiglia
significa affrontare le questioni delle facilitazioni per l’acquisto della prima casa, della lievitazione dei costi
degli affitti e dei generi di prima necessità, tra cui persino quelli alimentari, e dei libri scolastici che creano
spesso problemi economici significativi per una larga parte di nuclei familiari meno abbienti, così come per i
pensionati rimasti soli o chi, per lavoro, deve vivere lontano da casa.

Non possiamo infine non ricordare che le famiglie italiane hanno finora assicurato quella grande risorsa del
Paese rappresentata dal risparmio privato in grado di controbilanciare il peso del continuo aumento del
Debito pubblico, ma che potrebbe in prospettiva registrare una contrazione se esse non saranno sostenute
a fronte di una serie di costi e oneri sempre più pesanti e insostenibili.

La Scuola torni a educare e l’Università persegua un equilibrio tra specializzazione e sviluppo umano

L’attenzione ai bisogni concreti delle persone ci induce a fissare l’attenzione sull’importanza della Scuola e
del sistema formativo delle nuove generazioni. Colpevolmente la politica di questi anni se ne è dimenticata.
Le scuole devono tornare ad essere luoghi di educazione, e non solamente di istruzione, con al centro il valore
della Persona: Docente e Discente. Un patto educativo globale, nato da un serio confronto tra Stato-RegioniRealtà locali e tra Docenti-Discenti/Genitori e, ancora, mondo lavorativo deve ridare priorità e dignità alla
nostra scuola.

Priorità della scuola significa che lo Stato e le istituzioni locali devono porre al centro della loro attenzione il
reperimento di accresciute risorse finanziarie e fisiche, un profondo rinnovamento dei meccanismi di
reclutamento del personale docente, un più attento sistema di valutazione dei risultati (ivi compreso il
recupero dell’abbandono scolastico) e un serio programma di borse di studio per i meno abbienti e i
meritevoli.

In una prospettiva di dignità e libertà della Scuola si deve andare verso il superamento della dicotomia,
propria di una vecchia cultura, tra scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria, di ogni orientamento
religioso o culturale che sia. Va riconosciuto il ruolo pienamente pubblico anche di quest’ultima per la sua
funzione essenziale di integrazione dell’offerta educativa e di garanzia del pluralismo di pensiero e di
formazione in piena applicazione del dettato costituzionale. Tutta la scuola deve avere i mezzi per svolgere
appieno la sua funzione educativa.

Le università e tutto il sistema pubblico e privato della ricerca devono essere aiutati a crescere, garantendo
la loro piena autonomia, risorse adeguate e una forte apertura al reclutamento dei giovani. I giovani che
lavorano nelle università non sono un costo. Sono la ricchezza del futuro, la producono e la rendono
disponibile. Borse di studio adeguate devono facilitare l’accesso. Le università devono essere incoraggiate a
combinare il necessario sviluppo delle specializzazioni con una formazione generale che guardi all’uomo
integrale, in vista di quella formazione permanente sempre più necessaria in un mondo in continua
trasformazione. L’evoluzione tecnologica richiede il sostegno di progetti formativi adeguati pensati in
accordo tra istituzioni pubbliche, sistema delle imprese ed enti universitari e di ricerca.

Dignità con il lavoro e del lavoro

L’impegno in una seria lotta alla disoccupazione è una scelta di coerenza con il dettato costituzionale e con
la nostra ispirazione cristiana. E’ necessario combattere in particolare l’abnorme situazione di precarietà e
d’incertezza che pesa soprattutto sulle spalle delle nuove generazioni alle quali, a differenza dei loro padri,
viene a mancare l’orizzonte di un futuro degno di questo nome. È una questione di dignità e di libertà anche
il superare definitivamente ciò che ancora costituisce una vergogna per una società moderna: la differenza
di trattamento salariale e di possibilità di carriera tra uomini e donne.

Siamo consapevoli che questi problemi (per non parlare del pesante fardello del debito pubblico) non
potranno trovare risposta se non si darà corso alla ripresa della crescita, alla centralità del lavoro e delle
imprese, a partire da quelle radicate nel territorio come sono le Pmi. Mentre riconosciamo il grande valore
della libertà economica, sappiamo che questa libertà può costituire una risorsa per lo sviluppo civile del paese
solo se è bilanciata da una reale tutela dei diritti delle persone e se viene indirizzata verso un modello di
sviluppo sostenibile basato su un’economia sempre più verde e circolare.

Una vitale economia sociale e civile di mercato troverà ulteriore forza da un sempre maggior sviluppo del principio di sussidiarietà e dal rilancio del Terzo settore, verso cui i precedenti governi hanno mostrato una sostanziale indifferenza.

La sostenibilità del sistema economico e previdenziale dovrà essere attentamente valutata, applicando gli
opportuni correttivi, per accompagnare l’evoluzione tecnologica con misure volte ad integrare lavoro e
reddito, tempo lavorativo e tempo libero, contrastando i rischi occupazionali e dando una prospettiva di
serenità alle persone e alle loro famiglie riguardo alla vita lavorativa ed al pensionamento.
I principali correttivi da perseguire sono i seguenti:

1. Un cambiamento significativo delle politiche del lavoro
passando da scelte che privilegiano la regolamentazione normativa del rapporto di lavoro in un’ottica
conservativa e assistenziale, a soluzioni volte a migliorare la occupabilità delle persone e quindi rendere
sostenibile la mobilità del lavoro grazie a reti di servizi di orientamento.

2. L’obiettivo della mobilità
sostenibile deve essere accompagnato da interventi di politica attiva quali: il potenziamento dei servizi per
l’infanzia e per il sostegno delle persone non autosufficienti, nonchè dell’assegno unico; il rafforzamento
delle esperienze di integrazione tra i percorsi formativi e quelli lavorativi; e l’accompagnamento
dell’allungamento dell’età pensionabile.

3. Sul fronte della domanda di lavoro occorre esaltare il ruolo dei
settori e delle professioni che possono svolgere un ruolo trainante per la nuova occupazione.

4. Si deve valorizzare il ruolo delle parti sociali e rimettere le aziende e i territori al centro delle loro iniziative.

5. Gli interventi rivolti a contrastare la povertà devono essere ricondotti alla finalità di rispondere ai bisogni delle
persone fragili, distinguendoli in modo rigoroso dalle politiche attive del lavoro.

Innovazione e nuovo modello di sviluppo

Il lavoro è difeso e sostenuto solo se si punterà sull’innovazione, si favorirà la nascita di nuove imprese e la
crescita di quelle esistenti, ovviando all’eccessiva frammentazione del sistema produttivo italiano. A questo
dovrebbe essere destinata gran parte delle risorse rese disponibili dall’Unione europea che, se male
utilizzate, si risolverebbero in un ulteriore aggravamento del Debito pubblico.

Per pensare alle nuove infrastrutture, ad un vero e proprio risorgimento della scienza e della tecnologia
italiana, dell’intelligenza artificiale, per valorizzare la posizione raggiunta dall’Italia fra i paesi leader europei
nell’uso efficiente delle risorse e nel riciclo dei rifiuti, per fare dell’economia circolare una leva di sviluppo
della economia verde occorre un profondo rinnovamento della classe dirigente del Paese e un ben meditato
Piano di rilancio nazionale e locale. Un Piano di rilancio nazionale e locale deve favorire un collaborativo
rapporto tra pubblico e privato. Lo Stato dovrà finanziare in proprio programmi di ricerca e sviluppo ad alto
rischio innovativo, ritenuti strategici per il sistema Italia, lasciando la loro esecuzione all’autonomia regionale,
ove possibile.

A livello nazionale dovranno essere varati sostegni specifici a programmi a valenza strategica (in primis sanità,
ambiente, scuola) utilizzando anche un apposito organismo destinato a finanziare gli interventi di sostegno
alla creazione di reti evolute nell’area della produzione da parte di attori privati. Si dovrà riflettere sul ruolo
davvero strategico per il sostegno alla struttura industriale del Paese che potrebbe assumere la Cassa depositi
e prestiti, invece di essere utilizzata come un surrogato dell’Iri. In una prospettiva di transizione ecologica
dell’economia si dovrebbe istituire un Fondo nazionale per la transizione energetica comprensivo di misure
di carbon pricing come la carbon tax per procedere verso l’efficienza energetica e promuovere un idoneo
sviluppo delle fonti rinnovabili.

E’ indispensabile salvaguardare la biodiversità delle forma di impresa (imprese for profit, imprese
cooperative, imprese sociali, società benefit). E’ importante usare la domanda pubblica per dare alle imprese
un quadro programmatico (almeno quinquennale) di acquisti tecnologicamente avanzati che consenta ad
esse di fare investimenti tecnologici che altrimenti non farebbero. Particolare attenzione deve essere portata
alla gestione delle ricadute del sistema “università/istituti di ricerca” sulla produzione di beni e servizi: vanno
previste agevolazioni non solo fiscali, bensì anche giuridiche e di procedura per favorire accordi bilaterali o
multipli tra Pubblica Amministrazione e imprese.

Il nuovo modello di sviluppo non deve dimenticare la questione meridionale e le aree cosiddette interne e a
vocazione rurale. Occorre preservare le aree agricole, i pascoli ed il patrimonio forestale, valorizzandone il
ruolo strategico, multifunzionale e circolare, e favorire il ruolo dell’agricoltura e della silvicoltura anche come
fonti di produzione di energia e di materiali rinnovabili per la bio-economia, promuovendo ovunque possibile
la filiera corta tra produzione e consumo.

L’Italia deve prendere sempre più coscienza di rappresentare un “bene comune globale” in virtù di un capitale
naturale, culturale, storico e architettonico unico al mondo. Ne scaturisce un obbligo, al cospetto del mondo,
di conservazione e sviluppo di questo enorme patrimonio che costituisce anche la base per una economia
della bellezza, della cultura e della natura. Da questo capitale dobbiamo allontanare ogni minaccia, tra le
altre quella del dissesto idrogeologico e del rischio sismico, con una programmazione e gestione del territorio
più attente e aggiornate al nuovo contesto climatico e con la realizzazione di interventi di prevenzione e
attenuazione dei rischi.

Un rapporto equilibrato e cooperativo tra stato centrale e comunità locali

Siamo fermamente convinti che le comunità locali con le loro identità, tradizioni e risorse di civismo solidale
siano una forza fondamentale del nostro Paese. Esse assicurano la prossimità dello stato ai cittadini e dei
cittadini alle istituzioni nonché la rappresentanza anche delle aree interne e più deboli del paese. Devono
quindi essere dotate delle risorse necessarie per svolgere con ampia autonomia i loro compiti.

Allo stesso tempo è necessario che lo stato centrale nel rispetto del principio di sussidiarietà orizzontale e
verticale, rispettando e favorendo dunque la libera iniziativa delle persone e dei corpi intermedi, svolga
appieno i suoi compiti di indirizzo generale e di coordinamento dei poteri locali e che i troppi conflitti di
competenze tra stato centrale, regioni e comuni siano drasticamente ridotti. Una attenta riforma del titolo V
della Costituzione, che riporti le Regioni ai loro compiti di legislazione, programmazione e controllo, affidi alle
Province (ridotte di numero e pienamente legittimate dal voto popolare) e alle Città Metropolitane tutta la
gestione dell’area vasta, e ai Comuni – singoli o associati – l’amministrazione dell’area di prossimità secondo i
fondamentali principi di sussidiarietà e di responsabilità fiscale, ci appare indispensabile per rimettere sul
giusto binario l’assetto di un paese fortemente plurale come il nostro, garantendo gli spazi di autonomia ma
evitando la frammentazione.

Una pubblica amministrazione al servizio delle persone e dello sviluppo del paese. Una giustizia al disopra di ogni sospetto. Un sistema fiscale equo e un welfare sostenibile

La trasformazione del paese ha assolutamente bisogno di pubbliche amministrazioni all’altezza di questo
compito e capaci di padroneggiare i grandi sviluppi tecnologici. Reclutamento, formazione e valutazione dei
dipendenti pubblici dovranno essere riformati per assicurare amministrazioni che a livello centrale siano in
grado di fornire consulenza di qualità alle decisioni politiche e poi di attuare efficacemente le scelte
strategiche decise dai poteri democratici e che a livello periferico siano caratterizzate da un chiaro spirito di
servizio nei confronti dei cittadini.

Nella sanità, nella giustizia, nei lavori pubblici, nelle amministrazioni locali, nelle aziende pubbliche, non
vogliamo che nessun partito possa più dire “mettiamoci i nostri”: tutti saremo vincolati al principio della
competenza e del merito. Non consentiremo che lo svuotamento delle pubbliche amministrazioni, operato
con politiche e pratiche di delegittimazione della loro efficienza, lasci campo libero a poteri più o meno
occulti, in ogni caso, sprovvisti di legittimazione democratica.

Una giustizia al servizio delle persone e della società deve assicurare tempi certi e ragionevoli delle decisioni,
decoro nei comportamenti dei suoi operatori, controlli efficaci e severi nei confronti di chi sbaglia, pieno
accesso al giudizio anche per i meno abbienti. Pur nelle difficoltà del momento, la giustizia è ricca tuttora di
risorse preziose. E tuttavia il suo volto pubblico è stato troppo spesso deturpato dalla debolezza di alcuni e
dalle intromissioni dei partiti e delle fazioni giudiziarie. Sarà prioritario per noi mettere in campo ogni energia
affinchè chiunque amministri la legge senta di poterlo e doverlo fare senza condizionamenti politici e senza
minacce, e sia garantito da un sistema di controlli equo e severo.

E’ evidente che una trasformazione del Paese la si raggiunge anche con una profonda revisione del sistema
fiscale da adeguare e finalizzare a una politica di sviluppo e di innovazione sulla base di un’equa ridefinizione
delle aliquote. Il rapporto tra l’amministrazione fiscale e i cittadini e il mondo dell’impresa deve essere
impostato secondo una logica di collaborazione con il contribuente fedele e di rigore contro il contribuente
inadempiente.

Il sistema delle tutele perequative per le fasce di reddito medio basse che lo Stato garantiva, nel momento
in cui fu pensato, oggi opera in un contesto completamente cambiato, con complessità e variabili totalmente
diverse, per cui andrebbe riconsiderato non solo il carico Irpef e come esso viene calcolato, ma l’intero
sistema, alla ricerca di un punto di equilibrio più equo che senza nulla togliere ai dipendenti, tenga conto
delle nuove condizioni e delle nuove forme del lavoro non dipendente. L’Italia deve impegnarsi ancora di più
perché l’Europa giunga a definire una omogeneizzazione fiscale nella intera Unione, se non addirittura una
politica fiscale comune per evitare la concorrenza fiscale tra i diversi Stati e le distorsioni di cui approfittano
le multinazionali per evadere o eludere il pagamento delle imposte dovute.

La riduzione delle imposte può essere favorita dal risparmio di spesa pubblica per mezzo dell’uso delle nuove
tecnologie e con il coinvolgimento del Terzo settore per la co-progettazione di un nuovo modello di welfare.
Le criticità del sistema fiscale e previdenziale, destinate ad accentuarsi nel prossimo futuro per effetto della
crisi economica, del considerevole aumento del debito pubblico e della introduzione diffusa nel sistema
produttivo di tecnologie di automazione intelligente, devono diventare la prima emergenza da affrontare per
garantire la sicurezza sociale.

Un paese aperto all’integrazione sovranazionale e stabile nelle sue alleanze che promuove la pace attraverso la logica multilaterale

L’Italia deve ribadire la sua profonda vocazione alla pace da perseguire attraverso la logica del dialogo e degli
accordi multilaterali. L’Italia e l’Europa affrontano il frangente storico forse più complesso dal dopo-guerra
ad oggi. L’Italia, paese fondatore dell’Unione Europea, terzo paese più grande e seconda manifattura
industriale del continente, collocato in una posizione strategica nel Mediterraneo, cui guarda con sincera
volontà ri-equilibratrice e senza mire di sfruttamento, deve ribadire senza incertezze la sua profonda
vocazione europea e mediterranea e assumersi tutte le responsabilità che ne derivano. L’UE, cui il nostro
paese ha liberamente ceduto una parte di sovranità, è una innovativa e complessa comunità politica in
divenire che l’Italia, in concerto con gli altri paesi, deve contribuire a far sviluppare oltre la pura dimensione
di mercato economico (spesso troppo chiuso verso i paesi meno ricchi), così che essa diventi sempre più una
comunità internamente solidale e capace di contribuire a sviluppi pacifici nel mondo e in particolare in
quell’area Mediterranea oggi centro di conflitti insanabili e che deve diventare invece il ponte pacifico tra
l’Europa e i continenti africano e asiatico.

A questo fine è indispensabile avviare un’operazione di verità. Perché l’Unione europea diventi quello che
deve e può essere i Trattati esistenti e le loro applicazioni come il Patto di stabilità o i regolamenti di Dublino
sull’immigrazione, hanno bisogno di una paziente ma profonda revisione. Per poter affrontare le sfide del
presente e del futuro c’è bisogno di una Unione che, riscoprendo i valori fondamentali che hanno ispirato la
sua fondazione, sia più federalista e meno intergovernativa, una Unione nella quale il circuito democratico e
rappresentativo Elezioni europee-Parlamento europeo-Commissione diventi l’asse portante delle decisioni
dell’Europa, una Unione che sia orientata allo sviluppo (anche attraverso un più consistente bilancio comune
e una revisione degli obiettivi della Banca Centrale) piuttosto che alla difesa dello status quo. Per questo il
nostro paese e anche, per quello che gli compete, il nuovo partito, che sarà partito europeo secondo i Trattati,
devono collaborare attivamente con le nazioni e le forze europeiste per impostare e guidare queste riforme.

Riconoscendo che il problema delle migrazioni non è un tema passeggero ma è destinato a segnare
profondamente un lungo domani, un profondo cambiamento delle politiche sull’immigrazione è necessario
e deve essere caratterizzato da:
1) Riforma delle modalità di ingresso per motivi di lavoro, rendendole più ancorate ai bisogni del Paese
e delle imprese;
2) Rafforzamento della partecipazione dei migranti alle politiche attive, per favorire la generazione di
circuiti di incontro della domanda/offerta di lavoro, anche attraverso l’implementazione delle
competenze, e ridurre così la quota dei nuclei familiari in condizione di povertà assoluta;
3) Nuovi accordi internazionali con i paesi d’origine dei migranti, finalizzati a migliorare la cooperazione
in ambito economico e a promuovere l’integrazione dei migranti.

Solo un’Europa rinnovata può affrontare il problema epocale delle migrazioni attraverso una forte politica
estera e di cooperazione con i paesi dell’Africa e del Medio Oriente. Una più sviluppata politica estera e di
difesa dell’Unione non può però prescindere dal quadro dell’Alleanza occidentale che rimane tuttora uno
strumento essenziale per gestire i gravi problemi di sicurezza posti dalle due grandi potenze, la Russia e la
Cina, verso le quali ogni ipotesi di più o meno velata sudditanza deve essere respinta.

                                                              QUALE POLITICA, QUALE PARTITO

Riformare la Politica tornando ad avvicinare eletti ed elettori

Per poter affrontare le sfide che abbiamo indicato la Politica del nostro paese deve cambiare. Per questo
devono cambiare regole, comportamenti e linguaggio e si devono sperimentare nuove forme di
coinvolgimento dei cittadini nella politica.

Una nuova legge elettorale è fondamentale per superare i due gravi limiti emersi nel corso della cosiddetta
Seconda Repubblica: per un verso l’esclusione dalla dialettica pubblica di tanti filoni di pensiero, propri di
intere componenti della società civile e di quegli interessi economici finora rimasti marginali, nonostante
l’importanza del ruolo che svolgono; per l’altro verso, la distanza tra gli eletti e gli elettori. Una legge
proporzionale, con una ragionevole soglia di sbarramento e la reintroduzione delle preferenze per assicurare
un’autentica partecipazione delle realtà territoriali, dovrà permettere di uscire dal bipolarismo forzato e dai
suoi fallimenti. Accanto alla legge elettorale, per favorire la partecipazione dei cittadini è altrettanto
importante disciplinare rigorosamente le incompatibilità nelle candidature e le norme di presentazione delle
liste.

Il rapporto tra esecutivo e parlamento deve essere riportato ad un giusto equilibrio che garantisca da un lato
al governo il ruolo di guida del processo decisionale, ma rispetti pienamente il ruolo parlamentare di controllo
sulle scelte governative e non mortifichi le sue possibilità di intervenire nel processo legislativo. Una seria
correzione del bicameralismo perfetto e dei regolamenti parlamentari dovrebbe essere perseguita in
maniera consensuale.

Lavoreremo perché nei comportamenti e nel linguaggio la politica italiana esca dalla demonizzazione
dell’avversario, dagli slogan a effetto e ritrovi uno stile di riflessione più seria e responsabile sui problemi e
di dialogo costruttivo sulle soluzioni, rinnovando quello spirito di riformismo sociale che nel Dopoguerra con
la riforma agraria, il Piano casa e la Cassa per il Mezzogiorno rimise in moto l’Italia consentendole di uscire
dalle distruzioni belliche.

La proposta politica, libera nella sua massima espansione costituzionale, per non ingannare gli elettori, dovrà
esplicitare la copertura finanziaria di ciò che afferma e promette. Solo così la politica può condurre un
processo di sintesi e di mediazione tra le diverse componenti del paese, la molteplicità di pensieri e di
sensibilità che non possono essere unificate o omologate, ma, semmai, riconosciute, valorizzate e sostenute
perché arricchiscono l’insieme della vita culturale, economica e civile.

Perché un nuovo partito

Vogliamo dare vita a un’organizzazione politica autonoma, non confessionale, aperta a credenti e a non
credenti, perché nessuno degli attuali partiti presenti in Parlamento ha mostrato nei fatti il reale
intendimento di promuovere le istanze sopra delineate, che rispondono a vitali esigenze del Paese. I fronti
contrapposti cui assistiamo sono animati da un istinto di delegittimazione reciproca la cui conseguenza è
quella di una delegittimazione complessiva di tutti i partiti che finisce per investire l’intero sistema politico e
istituzionale. L’allargarsi del fenomeno dell’astensionismo ne è la conferma più evidente.

E’ venuto, dunque, il momento di mettere in piedi, e non solo da parte dei cattolici, una rigenerante forza
politica che costringa tutte le altre ad occuparsi soprattutto della centralità dei problemi che interessano la
gente. In questo senso definiamo il nostro collocarci al “centro” dello schieramento politico.

Un partito nuovo a cominciare dalle facce che lo rappresenteranno, dal linguaggio e dal metodo, un partito
“accountable” con un modello organizzativo che lo renda pienamente aperto al controllo democratico, e
capace di contribuire affinché l’intera dialettica pubblica riscopra la “mitezza” della politica, la ragionevolezza
e l’attitudine al confronto costruttivo e alla mediazione piuttosto che lasciare spazio alla retorica e alla sterile
contrapposizione portata alle estreme conseguenze.

Un partito che non si chiuda nella autosufficienza, ma sia aperto alla collaborazione con le tante forze civiche indipendenti che cercano di uscire dalle gabbie dell’attuale sistema dei partiti ed esprimono istanze vivaci di partecipazione.

Un partito popolare, radicato nelle periferie, di programma e lontano dal modello leaderistico imperante
Il soggetto politico che vogliamo creare dev’essere popolare, cioè radicato nelle realtà dove gli italiani vivono,
studiano, lavorano, intraprendono, si impegnano nel volontariato.

Un partito, che si collochi nel solco della migliore tradizione popolare e democratico-cristiana europea al cui rinnovamento, indispensabile per l’Europa di domani, vuole contribuire attivamente. Un partito che metta al centro non gli slogan ma un programma articolato e realistico. Un partito quindi “competente”, in grado di richiamare, in ogni campo e a ogni livello, conoscenze, professionalità, capacità operative, secondo quell’attitudine a “pensare
politicamente” che oggi compete a tutti se si assume la politica come “funzione diffusa” e che non può più
essere esclusivo appannaggio del cosiddetto “palazzo” o dei proprietari di ingenti patrimoni personali.

Non crediamo nell’idea di un “uomo solo al comando” e, quindi, rifuggiamo dal leaderismo. Questa rincorsa
all’uomo “salvifico” che riassume in sé ogni capacità di guida, nel pubblico e nel partito che lo esprime, ha
trasformato la dialettica politica, riducendola troppo spesso a scontro personalizzato, mancanza di
progettualità, propaganda non sostenuta poi dalla necessaria coerenza tra il promesso e il realizzato. Crediamo in una leadership diffusa, fortemente sostenuta dalle risorse umane e professionali espresse dai territori del paese. Per questo è necessaria la “collegialità”, cioè una modalità di confronto e di lavoro comune da mettere in atto a tutti i livelli in cui si definirà la nostra organizzazione politica: nazionale, regionale e locale.

Abbiamo alle spalle una grande tradizione politica e di pensiero che, con personaggi come Toniolo, Sturzo,
De Gasperi, Moro, La Pira e tanti altri, ha dato contributi essenziali alla democrazia italiana, ma non possiamo
accontentarci delle citazioni di quei grandi e il nostro modello di lavoro deve essere al servizio di un attivo
processo di formazione di una nuova dirigenza politica in grado di cogliere e rendere politicamente produttiva
l’eredità ricevuta.

Vogliamo con il nostro partito contribuire a una dialettica politica capace di una convergenza progettuale che
non significa il superamento delle diverse sensibilità politiche, ma il riconoscere un quadro comune di
riferimento prospettico in cui poi ciascuna forza politica è in grado di portare un autonomo e specifico
contributo. Crediamo che un “riconoscimento” reciproco tra le espressioni politiche accomunate da una
piena accettazione dei concetti di democrazia e di libertà, di europeismo, di scelta occidentale possa
consentire al Parlamento di definire un vero e proprio Piano di rigenerazione nazionale di lungo respiro,
procedendo da un autentico confronto in cui debbono essere coinvolte tutte le realtà culturali, economiche,
sociali e civili.

A tutti coloro che condividono queste idee diciamo: venite a lavorare con noi, il nuovo partito sarà uno spazio
aperto al vostro contributo!

 

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