Nicola Zingaretti annuncia le dimissioni da Segretario del Pd. Si è accorto che il suo partito si preoccupa solo delle poltrone. E’ strano sentirlo dire a lui che di poltrone se ne intende. Sia da Segretario, sia da Presidente della Regione Lazio. Al punto che si meriterebbe, per chiara fama, di entrare nel Consiglio d’amministrazione di “Poltrone e Sofà”. Con lui, gran parte della Direzione del suo partito.

E’ possibile che abbia ragione Guido Puccio ( CLICCA QUI ) e che quella di Zingaretti possa rivelarsi una scelta tattica interna. E’ altrettanto vero, però, che al di là delle inevitabili baruffe interne, il Pd è giunto, ormai, davvero al capolinea. I sondaggi di queste ultime ore lo danno addirittura al quarto posto, intorno al 15%: altro che “vocazione maggioritaria”. L’alleanza strutturale con i 5 Stelle raccoglie tanti no tra i suoi. Qualcun altro del “consiglio d’amministrazione” del Pd si agita in vista delle elezioni per il Quirinale. Il “sistema” di potere che conta davvero nel Pd vuole sostituire Zingaretti con l’altro suo collega Presidente della Regione Bologna, Stefano Bonacini.

Non è un caso se al Pd sono rimaste solamente le due storiche regioni, Emilia Romagna e Toscana, dove il “sistema” pervade da sempre istituzioni, economia e tessuto sociale. Con esse, Campania e Puglia, ma a proposito delle quali abbiamo già avuto occasione di ricordare che rappresentano una sorta di “anomalia” giacché i Governatori De Luca ed Emiliano, in realtà, sono rimasti in sella solamente grazie alla vicenda del Coronavirus e perché hanno marcato una certa, paradossale distanza dal partito e avviata una gestione che definire “personale” appare un eufemismo.

Per questo, da tempo diciamo che la crisi del principale partito del centrosinistra viene da lontano. Come più volte segnalato, nonostante qualche amico cattolico storcesse la bocca, la crisi del Pd si è particolarmente aggravata negli ultimi anni quando è apparso chiaro come fosse fallita un mal pensata, e peggio gestita, “fusione a freddo” tra post comunisti ed ex democristiani; che il partito principale del centrosinistra avesse sostanzialmente perso la propria anima e la propria specificità, in virtù della tendenza a “radicalizzarsi” attorno ad una identità frutto della piena partecipazione alla stagione dei diritti individuali, e pensando, ammesso che qualcuno fosse proprio riuscito a pensarlo, che questo sopperisse alla mancanza di capacità di rispondere alla richiesta di diritti sociali e “comunitari”; che il Pd, come accadde nel corso della fase finale della Dc, si fosse connotato soprattutto come partito di gestione e di occupazione della magistratura, della cosa pubblica e delle strutture regionali; che sia finito a legare la propria sopravvivenza quasi esclusivamente a quel “sistema” di potere nazionale e regionale che, però, oggi è riuscito a convincere solamente una parte ristretta del Paese, come già accennato.

Questa situazione pone delle questioni di carattere generale e specifiche per quanto riguarda il mondo cattolico e quelle genuine forze democratiche, formazioni e persone che hanno sempre creduto nella necessità che nascesse un’autentica cultura della centralità, sia per ciò che riguarda i contenuti relativi alle principali questioni del Paese, sia del metodo.

Molti amici cattolici, alcuni per questione di mero potere, altri perché innamorati di un bipolarismo senza contenuti, hanno voluto continuare a guardare al Pd convinti che da esso potesse venire quello che chiaramente, invece, non poteva e non può venire. Cioè trasformarsi in un partito plurale e dall’assodata capacità di creare una forza allargata in grado di far inserire la battaglia contro la destra in un ben più ampio progetto di ricostruzione del Paese cui devono partecipare ampi settori della struttura economica ed imprenditoriale e tutto il mondo del lavoro.

Esiste il problema del contenimento della destra. Una destra antieuropea, non solidale, che da tempo spinge per dividere il Paese, le sue articolazioni sociali e quelle geografiche. Il Pd ai nostri occhi non è mai stato in grado di porsi come argine alla destra. Anzi, ha finito progressivamente per favorirne l’ampliamento. Al punto che oggi sono quindici, sedici le regioni che le sono state regalate da Zingaretti & co.

E’ quindi necessario chiarire anche cosa voglia dire una confusa rincorsa al centro in atto senza che si riesca a ravvisarne uno straccio di progetto, oltre che di coerenza con i pregressi comportamenti. La destra si ferma se davvero si lavora attorno alla nascita di una vera nuova cultura politica in grado di farsi cura della conoscenza approfondita dei problemi, se si matura una visione interdisciplinare, se nasce una capacità progettuale che fissi alcuni obiettivi che, a mio avviso, costituiscono la Stella polare da seguire e a cui subordinare tutto ciò su cui è inevitabile, poi, essere conseguenti: puntare alla ricomposizione sociale grazie al superamento della visione individualista, alla riscoperta del solidarismo e, dunque, alla convergenza dei gruppi economici e sociali che possano essere partecipi di un progressivo rilancio del paese.

E’ per questo che oggi si parla di una presenza popolare d’ispirazione cristiana, ma aperta ai laici e che con i laici sia in grado di arricchire un processo di più ampio coinvolgimento destinato in primo luogo a raggiungere le orecchie di chi ha preferito finora tenersi lontano dalle urne.

Nel nostro caso ciò significa immediatamente individuare quelle forze, non sono solamente quelle politiche, presenti nella società civile e con cui sia possibile interloquire non tanto per pensare a patti, intese o federazioni, bensì per dare corso ad un’iniziativa politica comune che disegni più  la composizione di una rete che una piramide, che sia sorretta da un progetto di trasformazione piuttosto che dalla ricerca di accordi verticistici tra interessi che non hanno consonanza con le esigenze della gente.

Siamo nati perché ci rendiamo conto che il Paese ha bisogno di avviare una stagione di trasformazione, in primo luogo in grado di riguardare la politica e il sistema istituzionale. E’ il momento che si leggano i “segni dei tempi”. Quelli che indicano il fallimento del progetto di Salvini, sconfitto in Europa, e quello del Pd. Non a caso si tratta di un fallimento contemporaneo e speculare di cui tanti amici cattolici a destra finiti nella Lega, così come quelli che, dall’altro lato,  ancora si illudono sul Pd, debbono rendersene conto e trarne le conseguenze.

Giancarlo Infante

 

 

 

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