E’ entrato nel vivo il dibattito sul referendum costituzionale sul cosiddetto taglio dei parlamentari, ultimamente più “addolcito” con il termine riduzione del numero dei parlamentari. La legge di riforma costituzionale voluta dai Cinque Stelle ha portato i deputati da 630 a 400, i senatori da 315 a 200. Il popolo italiano è chiamato a confermare questa legge con un SI o a respingerla con un NO. Nonostante le suggestioni su deputati e senatori fannulloni e inutili, sui risparmi di spesa, sulle Camere che funzioneranno meglio con meno gente, mi auguro che il popolo italiano sappia respingere queste insidie populiste bocciando la legge. Perché non è una riforma costituzionale come si tenta furbescamente di presentarla, ma semplicemente una sforbiciata figlia dell’ondata dell’anti-politica e del crescente populismo che ha generato.
Un NO contro la truffa di questo referendum. Infatti, non è una cosa seria che si voti in un’election day quando alcuni territori sono chiamati al rinnovo di comuni e/o Regioni. Significa che in questi territori la partecipazione al voto sarà maggiore, ma soprattutto sarà influenzata dalle scelte politiche dei cittadini. Senza dimenticare che, inevitabilmente, in loco il dibattito è concentrato più sui candidati per Regionali e/o amministrative. Quindi dove ci sarà maggior affluenza, meno si sarà parlato di referendum.
Un NO anche per dire a questa classe politica di togliere le mani dalla Costituzione. La Costituzione è un cosa seria e non va barattata per formare una maggioranza di governo. La legge che taglia i parlamentari è stata approvata per tre volte con tipo di maggioranza, al quarto passaggio la maggioranza politica era diversa perché diverse erano le forze politiche che formano la coalizione di governo. Unico denominatore comune i Cinque Stelle: nella maggioranza di governo, prima e dopo.
Questo impone una prima riflessione: le modifiche alla Costituzione devono necessariamente essere approvate con una maggioranza qualificata, almeno due terzi del parlamento. Oggi si può ricorrere al referendum quando le modifiche vengono approvate da una maggioranza semplice. Per ben due volte questo è accaduto di fronte a riforme sbandierate come l’avvento di una nuova era repubblicana: nel 2006 con il centrodestra, nel 2016 con Renzi e il Pd. In entrambi i casi sonoramente bocciate dai cittadini.
Una seconda riflessione chiama in causa il senso di inferiorità politica e culturale delle forze politiche protagoniste della sedicente Seconda Repubblica. Più le forze politiche apparse nell’arena politica sono nuove, più è forte la loro volontà di mettere la firma sulla Costituzione, quasi a voler legittimarsi come padri della Patria. Più di tutti lo stanno dimostrando i Cinque Stelle: un partito senza storia, senza cultura di riferimento, senza un progetto chiaro sul futuro del Paese. Non sarà un caso se dalla mattina alla sera sono passati dall’alleanza con la Lega a quella con il Pd. Sono stati abili per un decennio a cavalcare la protesta, anche con una buona dose di eccessi ben oltre la buona educazione, quindi ad alimentare un pericoloso populismo. Hanno avanzato anche alcune valide proposte come la gestione pubblica dell’acqua, il rilancio del trasporto pubblico, il potenziamento dei trasporti su ferrovia rispetto alla strada. Così pure tante altre iniziative a favore dell’ambiente. Una volta arrivati al governo gran parte delle loro migliori proposte sono state congelate. Quando erano fuori dalle istituzioni, avevano alzato il vessillo del doppio mandato: si può essere eletti solo per due volte, poi si lascia spazio agli altri. Una volta arrivati a sedersi su quelle poltrone hanno scoperto che sono comode e vi si sono affezionati. Nella lunga stagione dei “Vaffa” annunciavano che una volta arrivati nelle stanze del potere, le avrebbero aperte come scatolette di tonno. Molto probabilmente non hanno ancora trovato le scatolette o qualcuno si è mangiato il tonno. Sono un non-partito perché di fatto il partito è una piattaforma digitale. Le decisioni vengono prese dalla base che vota sulla piattaforma. Di recente la base ha votato a favore di un’alleanza con il Pd alle Regionali, ma l’alleanza non c’è stata. Sono contro la casta mentre occupano le principali posizioni di governo e piazzano amici e compagni di movimento nei principali centri di potere. Tanti eletti e militanti sono in fuga perché vedono troppi voltafaccia.
Ora, i grillini cercano di ritrovare una ragion d’essere sventolando la bandiera del taglio dei parlamentari. Purtroppo è passata sotto silenzio quell’immagine tremenda del vertice 5 Stelle, circondato da militanti, che all’indomani del voto definitivo sul taglio dei parlamentari, sono andati in piazza Montecitorio, mostrando simboliche “poltrone” che hanno tagliato con la forbice. E’ stato un insulto a quanti hanno perso la vita, hanno sofferto, hanno lottato per la libertà, per la democrazia, per regalare ai propri figli e nipoti la possibilità di scegliere i governanti. Il taglio dei parlamentari, dunque, non è il primo atto per una riforma più ampia, ma è il primo passo verso quella “Democrazia senza popolo”, dal titolo di un saggio di Carlo Galli, tanto cara ai nipotini di Rousseau. Molto acutamente, Piero Ignazi, profondo conoscitore del sistema politico italiano, ha osservato su “Repubblica” nei giorni scorsi, che le prime vittime di un’eventuale vittoria del SI saranno i partiti più strutturati come Pd e Lega, perché hanno una base con militanti e quadri con legittime aspettative di carriera. Eliminare i partiti è l’obiettivo principale del non-partito M5s e così facendo punta a scardinare la democrazia. Ma il potere non ammette vuoti, c’è sempre qualcuno che prende decisioni, qualcuno che ora sta dietro o sopra la piattaforma digitale.
Tuttavia bisogna riconoscere, con profonda onestà, che sarà dura votare NO. Allora può essere utile ricorrere a Indro Montanelli quando suggerì di votare turandosi il naso. In questo caso, anche le orecchie per non sentire sirene insidiose.
Luigi Ingegneri