Le elezioni regionali e comunali sono consultazioni territoriali. Il referendum confermativo sulla riforma costituzionale, limitata alla riduzione del numero dei parlamentari, altro non è che l’attuazione di un punto del programma di governo, e precisamente del punto 10 dell’accordo di maggioranza.
Ciò non di meno, secondo puntuale consuetudine italiota, le due elezioni imminenti sono state caricate di ben altri significati con interventi di opinionisti, costituzionalisti veri o presunti, addetti stampa e da quel mondo multicolore che i media alimentano e che riduce il confronto politico a incessante ricerca di battibecco. Per non dire delle quotidiane esternazioni di Salvini che evocano punteggi tennistici. Ancora una volta assistiamo infatti al tentativo di semplificare i processi politici che, invece, hanno sempre le loro complessità, specialmente quando le forze che compongono la maggioranza di governo hanno i loro codici genetici notevolmente diversi, nè facilmente superabili dal fatto che governano insieme.
Non si scopre certo adesso che storie, passioni, origini e provenienze diverse restano tali e che non si superano anche se si concordano alcuni obiettivi comuni per assumere responsabilità di governo. Si può certo discutere su che cosa sia il PD, sulle sue origini ancora da comprendere, sulla sua sempre imminente crisi virtuosa, sul suo sbiadito leader. Come si può a maggior ragione discutere su che cosa sia effettivamente il Movimento Cinque Stelle, che ormai si comporta come un partito e non certo dei più esemplari.
Certo, oggi queste due forze sono l’alternativa a Salvini e Meloni, ai sovranismi e alla destra-destra, e per ora già basterebbe. Resta comunque l’esigenza di una più precisa definizione degli obiettivi prevalenti comuni alla attuale maggioranza di governo.
Le occasioni ci sarebbero se le preoccupazioni elettorali venissero dopo la volontà di fare effettivamente ripartire il Paese. La prima è quella di non limitare la riduzione del numero dei parlamentari a bandiera di parte per assecondare gli istinti anticasta con i quali sono stati avvelenati i pozzi della politica. Quindi, non solo, come pretende Zingaretti, l’occasione per una nuova legge elettorale che ha sempre il malcelato sentore dell’interesse di parte, ma piuttosto come momento per riaprire il cantiere delle riforme istituzionali da quella di una sola Camera, ai rapporti tra Stato e regioni; dalla riforma dell’organo di autogoverno della magistratura alle autonomie locali.
Altra occasione praticamente a vista è quella dei progetti per utilizzare i fondi europei che saranno decisivi per le politiche di bilancio dei prossimi anni, dei quali non si sa ancora nulla, né se vi è accordo a un mese dal termine della presentazione a Bruxelles.
Non basta quindi dichiarare che il governo continuerà il suo percorso qualunque sia l’esito delle elezioni, come si affanna a precisare il nostro scolorito Presidente del Consiglio. Ci vuole qualche cosa di più e non di poco conto per mettere in sicurezza le istituzioni, per ricostruire in buona parte l’economia del Paese, per impiegare le risorse con riforme e investimenti di intesa con l’Europa, per creare ricchezza prima di discutere su come redistribuirla. E’ sempre più vicina l’ora per fare queste scelte, possibilmente non viziate da ideologismi né da convenienze.
La tenuta del governo, per chi ci credesse ancora, dovrebbe dipendere da queste decisioni e dalla loro concretezza. Non dai risultati delle elezioni di mezzo.
Guido Puccio