E’ quanto mai doveroso da parte di tutti raccogliere il messaggio, ormai quotidiano, del presidente della Repubblica Sergio Mattarella a restare uniti, perché solo così è possibile sconfiggere un nemico invisibile. Tuttavia è legittimo chiedersi se il governo sia stato all’altezza della situazione: la mia risposta è decisamente positiva. Certamente poteva fare di più e di meglio. Altri avrebbero potuto fare meglio, ma anche peggio: come direbbe Karl Popper non sono ipotesi verificabili, quindi sono false.

Superata la bufera, ci sarà il tempo per le analisi. Tuttavia non bisognerà mai dimenticare che sul tavolo di Palazzo Chigi sono arrivati contemporaneamente tutti i problemi nella loro gravità e urgenza. Preceduti dalla madre di tutte le emergenze: la salute dei cittadini. Così pure bisognerà ricordarsi che provvedimenti mai visti prima, di straordinaria quanto necessaria urgenza, sono stati presi mentre ora dopo ora veniva aggiornato il numero dei morti, mentre in Tv scorrevano le immagini di camion militari che spostavano le bare da un cimitero all’altro perché anche i cimiteri era ingolfati; contemporaneamente l’aggiornamento dei contagiati scorreva con la stessa velocità della rotella degli euro alla pompa del distributore quando si fa il pieno di benzina. E si potrebbe andare avanti. Ma ci sarà tempo.

In ogni caso si poteva fare di più e meglio. Certamente si sarebbe fatto di più e meglio se ci fosse stata un’opposizione responsabile, ma non c’è stata. Conoscendo nomi e volti di quei capi partito, sedicenti leader, c’era poco da aspettarsi. A volte, però, le situazioni fuori dal comune sanno produrre effetti insperati. Stavolta non è successo. Ha prevalso lo spirito di don Abbondio: “Se uno il coraggio non c’è l’ha, non se lo può dare”. Se uno non ha il senso della responsabilità, non se lo può dare. E le forze politiche di opposizione hanno saputo dare il peggio di sé. Non è il momento per simili riflessioni, altrimenti non si raccoglie il messaggio di Mattarella. Però anche la pazienza ha un limite. E quello che è successo negli ultimi giorni non può passare sotto silenzio.

L’opposizione è scandalizzata perché non si riunisce il Parlamento, il presidente della Camera ha fatto notare che non ha mai smesso di lavorare. Per pietà cristiana meglio sorvolare sulle parole della presidente del Senato. Salvini manda a dire che “vogliamo portare le nostre idee e proposte in Parlamento per confrontarci, invece apprendiamo i provvedimenti dalla Tv e da Fb”. Questo è troppo: una persona che è stata per un anno ministro dell’Interno ed ha trascorso più tempo sui social che al Viminale, viene a dire che la politica non si fa su Fb. E proprio lui, sempre via social, ha affermato perentorio: “Non serve un uomo solo al comando”. Ovvero Conte.

Il premier accusato da Giorgia Meloni di “smania di protagonismo che adesso deve finire”. Eppure questi capi partito non hanno mai dimostrato particolare interesse per il Parlamento, quasi sempre usato come tribuna per avere visibilità mediatica. E tutto lascia pensare che questo sia il vero motivo dell’improvviso ritrovato feeling con il Parlamento. Seguiti da parlamentari-fan che spesso hanno trasformato le aule in balere da cabaret. Questi capipartito vogliono riforme elettorali/istituzionali che ridurrebbero il parlamento a “un bivacco di manipoli” parole già tristemente risuonate a Montecitorio. Questi capi partito perseguono l’obiettivo dell’elezione diretta del Capo dello stato di cui il presidente del consiglio, se ci sarà, farà le funzioni del maggiordomo e il parlamento dovrà adeguarsi perché il Capo dello stato è eletto dal popolo e il popolo è sovrano.

Sulla stessa linea Matteo Renzi, più attivo a gettare zizzania che a cooperare, pur essendo parte della maggioranza. Al solo sentire il suo nome, quasi sicuramente Conte alza gli occhi al cielo, invocando: “Dai nemici ci penso io, dagli amici ci pensi Iddio”. Adesso l’ex presidente del consiglio si straccia le vesti perché il parlamento deve lavorare, proprio lui che aveva voluto una riforma elettorale, il cosiddetto Italicum, combinata con una riforma costituzionale che avrebbe reso il premier quasi padrone assoluto. Una riforma sonoramente bocciata dagli italiani: fortunatamente. Allora viene da pensare che gli italiani amano scherzare, anche con la politica, ma quando arriva il momento di fare sul serio, non si lasciano abbindolare.

Tra mercoledì sera e giovedì mattina Conte ha riferito in Parlamento: era giusto e doveroso. Coloro che tanto avevano chiesto la convocazione si sono limitati ad avvisare il governo che “a fine buriana faremo conti”. Non proprio un bel esempio di solidarietà nazionale. In quell’aula, infatti, non c’era un Sandro Pertini che si alzasse, come fece il 16 marzo 1978, e chiedesse di procedere al voto di fiducia al governo senza discussione per la drammaticità del momento. E visto che gran parte di questa classe politica conosce poco e male la storia d’Italia, anche recente, quel 16 marzo ci fu la strage di via Fani nello stesso giorno della fiducia al IV governo Andreotti, governo di cui il partito di Pertini non faceva parte. Quella fiducia fu data in poche ore e a larghissima maggioranza.

Invece nel pieno della bufera dell’attuale emergenza sanitaria, Renzi, per bocca di uno dei sui fedelissimi, la deputata ex ministra Maria Elena Boschi manda a dire, che “servirà una commissione d’inchiesta per verificare inefficienze e ritardi”. A oltre 2000 anni di distanza quel “Quoque tu Brute” continua a risuonare nei Palazzi Romani.

Gran parte della classe politica non si è dimostrata all’altezza del Paese, di quell’Italia che sta realmente lottando contro la pandemia, senza dubbio tra inefficienze, confusione e disorientamento, ma offrendo al mondo una lezione di solidarietà.

La bassezza di questi sedicenti leader riporta alla memoria un graffiante giudizio di Indro Montanelli: “La propensione degli italiani per la dittatura, altro non è che la loro inclinazione al servilismo”.

Luigi Ingegnere

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