“Priorità delle priorità” dev’essere, in questa fase della vicenda politico-sociale del nostro Paese, un’ organica politica dei “diritti sociali”. Lo ribadiamo anche nel documento che abbiamo assunto come piattaforma tematica del recente congresso di INSIEME.
Dire di una politica che coltivi l’ambizione d’ essere “organica”, cioè dotata di una rigore e di una coerenza intrinseca che consentano di “pianificare” provvedimenti mirati ad un approdo ben determinato, oggi può apparire una bestemmia. Si tratta di un indirizzo tipico, se mai, della “modernità” da cui ci stiamo allontanando. Caratteristico, cioè, di un tempo in cui credevamo o almeno speravamo di poter ancora guidare gli eventi, con la forza della ragione, e, dunque, costruire, da protagonisti, la storia dei nostri giorni.
Oggi siamo in tutt’altro contesto. Viviamo danzando sulla cresta dell’onda di eventi che solo talvolta riusciamo ad afferrare ed, invece, per lo più ci sorprendono o addirittura ci schiaffeggiano. Eppure, per quanto in un mare tempestoso, bisogna infine, ancora una volta, mettere mano al timone ed orientare la navigazione verso un approdo ancora possibile.
Il timone necessario a riprendere il controllo della rotta che ci introduce ad un nuovo “evo” della storia dell’ uomo, è dato, anzitutto, da quella “coesione sociale” che una lunga stagione di esaltazione dei valori dell’individualismo, ci ha fatto smarrire. C’era una volta un popolo. Oggi non c’è più e va ricostruito, anche se temiamo che l’impresa possa assomigliare alle fatiche di Sisifo.
Non si attraversa il mare in una notte oscura se l’imbarcazione ospita a bordo, anziché un equipaggio, una ciurma scomposta e demotivata. Noi viviamo in un contesto civile diviso e frammentato, solcato dalle ferite profonde di diseguaglianze inaccettabili, incapaci di remare tutti nella stessa direzione, se mai adocchiando come procurarsi, prima d’ altri, l’unico salvagente disponibile per gettarsi in acqua e tentare di sfangarla da soli…e vadano gli altri al loro destino.
Paradossalmente, la stessa politica che pur dovrebbe sanare queste lacerazioni, anziché ricucire i lembi slabbrati del tessuto sociale, addirittura ne vive e ci prospera. Gareggia, infatti, in una insana rincorsa a strapparsi l’un l’altro, i brandelli di un corpo sociale, già gravemente mutilato e sospinto verso una rassegnazione inerte che, tanto per cominciare, lo induce a rifiutare perfino il fastidio di recarsi al seggio elettorale sotto casa. Non si vive del solo pane dei consumi.
I consumi non riempiono la vita. Ci vuole dell’altro e ci vuole di più. Il lavoro – il lavoro, anzitutto – la casa, la scuola, l’educazione dei figli e la cultura, la salute, la cura dei fragili, la vivibilità del contesto urbano, la sostenibilità dell’ambiente: sono i versanti di cui ha bisogno una famiglia per vivere e crescere, senza soffrire sentimenti di precarietà ed inquietudine. Né si tratta di temi divisivi. Anzi, segnalano una cornice tematica che dovrebbe favorire, sia pure da posizioni distinte, se non una convergenza, una dialettica quanto più possibile ed oggettiva tra tutti i protagonisti del discorso pubblico. E questo è tanto più vero per coloro che, attraverso un’efficace politica per la famiglia, vedono premiata una strategia di valorizzazione della persona, del suo valore umano, della sua incontrovertibile dignità.
Cioè, per i cattolici, che senza rinunciare al legittimo pluralismo delle loro opzioni politiche, sanno di poter trovare nella Costituzione, nella Dottrina Sociale della Chiesa, nella declinazione e nell’aggiornamento che ne fanno, storicamente e tuttora, le Settimane Sociali, un faro capace di far luce sui nuovi sentieri della storia che anche il nostro Paese deve affrontare.
Domenico Galbiati