L’Italia si colloca agli ultimi posti in Europa per tasso di occupazione femminile, una realtà allarmante che impone una riflessione profonda sulle cause e sulle strategie necessarie per un cambiamento significativo. A gravare sul quadro generale sono soprattutto i dati del Mezzogiorno, dove solo una donna su tre risulta occupata. Parallelamente, desta preoccupazione l’elevato numero di donne inattive: a fronte di un recente superamento della soglia dei 10 milioni di occupate, ben 8 milioni di donne non lavorano e non sono attivamente alla ricerca di un impiego. Pur riconoscendo il potenziale di misure occasionali nel sostenere un incremento dell’occupazione femminile, appare evidente la loro insufficienza nel colmare il persistente divario di genere, sia a livello nazionale che in confronto con il resto d’Europa.

Dall’analisi dei recenti dati Eurostat emerge un percorso di progressiva convergenza nel mercato del lavoro italiano: il conseguimento della laurea si configura come un efficace strumento di attenuazione del divario di genere, accorciando sensibilmente la distanza che separa l’Italia dalla media europea in termini di occupazione femminile.

Le statistiche relative al 2024 rivelano che, sebbene il tasso di occupazione femminile nella fascia d’età 20-64 anni si attesti al 57,4% in Italia, marcando una distanza di 13,4 punti percentuali rispetto al 70,8% registrato nell’Unione Europea, tale disparità si riduce notevolmente tra le donne in possesso di un titolo di istruzione superiore. In questo segmento, il tasso di occupazione femminile italiano raggiunge il 79,3%, assottigliando il divario con l’84,3% europeo a soli cinque punti percentuali.

Al contrario, un divario più marcato con l’UE si osserva tra le donne con un livello di istruzione inferiore: il tasso di occupazione femminile si ferma al 36,6% per coloro che possiedono la licenza media (a fronte del 47,3% europeo) e al 58,6% per le diplomate (contro il 68,9% nell’UE).

È altresì significativo notare come, in Italia, per le donne con un basso livello di istruzione, il divario occupazionale con gli uomini superi i trenta punti percentuali (36,6% contro 69,7%), un valore superiore alla media europea. Tuttavia, focalizzandosi sulla fascia di popolazione più istruita, si riscontra un avvicinamento: tra i laureati, il tasso di occupazione femminile si attesta al 79,3% rispetto all’86,2% maschile, con una differenza inferiore ai sette punti percentuali.

Urge un cambiamento strutturale del modello sociale, superando la tradizionale attribuzione alla donna della responsabilità primaria della cura familiare. Parallelamente, è fondamentale incoraggiare le giovani donne a superare i pregiudizi che le tengono lontane dalle discipline STEM, ambiti in cui un elevato livello di istruzione femminile si traduce in una significativa riduzione del divario retributivo con gli uomini.

Ulteriori sfide si presentano sul fronte delle progressioni di carriera

il principale ostacolo all’ascesa professionale femminile non risiede nel “soffitto di cristallo”, bensì in una barriera antecedente, definita come il “primo gradino della scala rotto”che compromette l’intera scalata verso le posizioni apicali: il passaggio cruciale alla prima nomina manageriale. Questa acuta osservazione emerge dalle riflessioni di Kweilin Ellingrud, Lareina Yee e María del Mar Martínez di McKinsey, autrici dello studio “The Broken Rung: When the Career Ladder breaks for Women—and How They Can Succeed in Spite of It”. “Finché il primo gradino della scala rimarrà instabile, le donne incontreranno ostacoli insormontabili nel raggiungere la piena parità, se mai vi perverranno”.

Nonostante negli ultimi cinque anni si sia assistito a una maggiore presenza femminile ai vertici aziendali, tanto che, secondo i dati americani, si registra oggi il più alto numero di donne in ruoli dirigenziali (pur rappresentando ancora una minoranza, il 21% dei top manager contro il 79% degli uomini),tale progresso è insidiato dall’effetto del “gradino rotto”. La rappresentanza femminile diminuisce proporzionalmente con l’innalzamento del livello gerarchico.

Infatti, per ogni 100 uomini promossi al primo livello manageriale, solo 72 donne compiono lo stesso avanzamento. Di conseguenza, le donne occupano solamente il 38% delle posizioni dirigenziali di base, rimanendo in larga parte confinate in ruoli entry-level e accedendo solo in misura limitata alla competizione per le posizioni senior.

Questa disparità genera effetti di lunga portata sulla pipeline dei talenti. La prevalenza numerica di uomini a livello manageriale comporta una base significativamente inferiore di donne disponibili per future assunzioni o promozioni ai livelli superiori, un divario che si acuisce progressivamente con l’avanzare verso i vertici aziendali.

Nonostante la profonda influenza che il “gradino rotto” esercita sulla traiettoria professionale femminile, sia i responsabili delle risorse umane che i dipendenti tendono a sottovalutare la portata del problema. Emerge una diffusa difficoltà nella comprensione della problematica generale. Le risposte alla domanda sulle principali sfide da affrontare per colmare il divario di genere rivelano una scarsa consapevolezza del “gradino rotto” e delle dinamiche di promozione al ruolo di manager. I responsabili delle risorse umane tendono ad attribuire il divario prevalentemente alla mancanza di un efficace sistema di sponsorship o all’insufficiente presenza di talenti femminili nelle pipeline aziendali.

I numeri

Negli anni recenti, si è osservato un progressivo incremento della partecipazione femminile al mercato del lavoro; tuttavia, persistono significative disparità che si manifestano in molteplici forme. In Italia, il tasso di occupazione femminile, pur registrando una crescita nel 2023 attestandosi al 52,5%, rimane tra i più contenuti in Europa, distanziandosi notevolmente dalla media continentale del 65,7%.

Numerose donne trovano collocazione in settori di primaria importanza, sebbene spesso sottovalutati, quali la sanità, l’istruzione, i servizi alla persona, il commercio e il turismo. Tali ambiti sono frequentemente caratterizzati da contratti di lavoro precari, regimi di part-time non per scelta e limitate prospettive di avanzamento professionale. In contrasto, nei settori industriali e delle costruzioni, la presenza femminile si mantiene su livelli marginali, rappresentando appena il 7,8% della forza lavoro occupata.

A marzo 2025 il mercato del lavoro registra una frenata. Dopo quattro mesi di crescita, il numero di occupati è sceso di 16mila unità e il tasso di disoccupazione è risalito dal 5,9 al 6%.
La fotografia non è rosea per le donne e per i giovani. Nella fascia d’età tra i 15 e i 34 anni si registrano 43mila occupati in meno su febbraio. Nel confronto tendenziale c’è qualche notizia più positiva: il numero di occupati totali è salito di 450mila unità e c’è una crescita molto forte dei rapporti a tempo indeterminato (+673mila).

Cosa fare con i fondi e le strategie del PNRR?

Qui in sintesi alcune aree in cui il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) potrebbe e dovrebbe intervenire per affrontare il problema della disoccupazione femminile:

  1. Investimenti mirati per l’aumento e la qualificazione dell’occupazione femminile
    • Potenziamento dei servizi per l’infanzia e la cura degli anziani e dei non autosufficienti.Il PNRR potrebbe stanziare fondi significativi per la creazione e il rafforzamento di infrastrutture e servizi di cura di alta qualità e a costi accessibili su tutto il territorio nazionale. Questo libererebbe un numero considerevole di donne dal peso sproporzionato del lavoro di cura non retribuito, consentendo loro di entrare o rientrare nel mercato del lavoro. Si potrebbe pensare a:
    • Creazione di nuovi asili nido aziendali e territoriali:Incentivi economici         alle imprese e agli enti locali per la realizzazione di strutture dedicate alla prima infanzia.
    • Supporto economico alle famiglie per l’accesso a servizi di baby-sitting e assistenza domiciliare.Voucher o detrazioni fiscali per alleggerire i costi della cura.
    • Investimenti nella formazione e qualificazione del personale dedicato ai servizi di cura.Elevare la qualità dei servizi e creare nuove opportunità di lavoro, spesso occupate da donne.
    • Sostegno all’imprenditoria femminile e al lavoro autonomo.Il PNRR potrebbe prevedere misure specifiche per incentivare la creazione e lo sviluppo di imprese guidate da donne, attraverso:
    • Finanziamenti agevolati e microcredito con linee di credito dedicate con condizioni favorevoli.
    • Programmi di mentorship e accompagnamento per unsupporto nella fase di start-up e crescita delle attività.
    • Incentivi fiscali per le nuove imprese femminili conaliquote ridotte o esenzioni temporanee.
    • Riqualificazione e aggiornamento delle competenze femminili considerando che il livello di istruzione è un fattore fondamentale per ridurre il divario occupazionale, il PNRR potrebbe finanziare:
    • Corsi di formazione e riqualificazione professionale con particolare attenzione alle competenze digitali e alle discipline STEM, settori con alta domanda di lavoro.
    • Programmi di orientamento e placement mirati.Supporto per l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro, con un focus sulle esigenze specifiche delle donne.
    • Incentivi alle imprese per l’assunzione di donne con specifiche competenze attraversobonus o sgravi contributivi.
  1. Interventi strutturali per promuovere la parità di genere nel mercato del lavoro:

 

  • Dati Raccolti: retribuzioni lorde e nette, bonus, benefit, livello di inquadramento, anzianità di servizio, ore lavorate (distinguendo tra full-time e part-time), livello di istruzione e tipo di contratto.
  • Output: report dettagliati per ogni settore che evidenziano l’entità del divario, la sua evoluzione nel tempo e le possibili correlazioni con variabili come la concentrazione di genere in determinate posizioni o la prevalenza di contratti atipici.
  • Temi Indagati: percezione della parità retributiva, consapevolezza di eventuali disparità, pratiche di assunzione e promozione, valutazione delle performance, flessibilità del lavoro e impatto sulla carriera femminile, cultura aziendale e pregiudizi di genere.
  • Output: report con analisi qualitative che forniscono un quadro più approfondito delle dinamiche di genere nel mercato del lavoro settoriale e identificano aree critiche per interventi mirati. Ad esempio un’indagine nel settore della logistica potrebbe evidenziare come la scarsa offerta di servizi di welfare aziendale e la rigidità degli orari di lavoro penalizzino maggiormente le donne, influenzando indirettamente le loro retribuzioni e progressioni di carriera.
  • Dati utilizzati: dati Eurostat e di altre fonti internazionali, analisi di policy e normative sul lavoro.
  • Output: report comparativi che evidenziano le specificità italiane e suggeriscono possibili strategie di intervento ispirate a modelli di successo europei. Ad esempio un confronto nel settore dell’ICT potrebbe mostrare come altri paesi europei abbiano implementato con successo programmi di mentorship e di attrazione di talenti femminili nelle discipline STEM, con un impatto positivo sulla parità retributiva.

A livello aziendale occorre prevedere audit retributivi interni con l’ obiettivo: di analizzare le retribuzioni all’interno di singole aziende per identificare eventuali disparità salariali ingiustificate tra uomini e donne a parità di ruolo, responsabilità ed esperienza attraverso analisi statistiche multivariate che tengono conto di diversi fattori (ruolo, seniority, performance, competenze, istruzione) per isolare l’effetto del genere sulla retribuzione. Con i seguenti possibili output: report aziendali che evidenziano aree di potenziale discriminazione salariale e suggeriscono azioni correttive. Ad esempio un audit in un’azienda manifatturiera potrebbe rivelare che le donne con la stessa qualifica e lo stesso livello di esperienza degli uomini in un determinato reparto percepiscono uno stipendio inferiore.

Occorre mettere in atto indagini sul clima aziendale e sulla cultura all’interno delle imprese con l’obiettivo di valutare la percezione di equità e inclusione da parte dei/delle dipendenti, identificando eventuali pregiudizi o pratiche che possono contribuire al divario salariale e alle disparità di carriera attraverso la somministrazione di questionari anonimi, focus group, analisi dei feedback dei dipendenti. Gli output potrebbero essere report che evidenziano i punti di forza e le aree di miglioramento della cultura aziendale in termini di parità di genere e suggeriscono interventi per promuovere un ambiente di lavoro più equo. Un’indagine potrebbe rivelare che le donne percepiscono una mancanza di opportunità di mentorship o di sponsorizzazione rispetto ai colleghi uomini, il che influisce sulle loro possibilità di avanzamento e, di conseguenza, sul loro potenziale salariale futuro.

Sono da mettere in campo azioni positive per superare il “primo gradino rotto” e promuovere la leadership femminile: Il PNRR potrebbe finanziare programmi specifici per supportare l’accesso delle donne a ruoli manageriali e di leadership per favorire lo sviluppo delle competenze e il supporto nella progressione di carriera con l’obiettivo di favorire la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione e nei ruoli dirigenziali. Ed anche prevedere la formazione per i manager sull’importanza della diversità e dell’inclusione al fine di favorire una sensibilizzazione sui bias di genere che ostacolano la carriera femminile.

Sarebbe poi fondamentale continuare a prevedere politiche di sostegno alla genitorialità condivisa e al congedo parentale per superare la tradizionale attribuzione alla donna della responsabilità primaria della cura dei figli, il PNRR potrebbe incentivare:

  • Estensione e maggiore fruibilità del congedo di paternità rendendolo obbligatorio e adeguatamente retribuito.
  • Incentivi alle aziende che promuovono modelli di lavoro flessibili come lo Smart working, il part-time reversibile, orari flessibili, per favorire la armonizzazione vita-lavoro per entrambi i genitori.

Finanziare questi tipi di studi e analisi attraverso il PNRR fornirebbe al sistema delle imprese una base di conoscenza solida per definire interventi politici e aziendali più efficaci e mirati alla riduzione del divario salariale e alla promozione della parità di genere nel mondo del lavoro

Occorre mettere in atto un’analisi delle progressioni di carriera e delle retribuzioni nel tempo con l’obiettivo di esaminare come le retribuzioni e le opportunità di avanzamento di carriera evolvono nel tempo per uomini e donne all’interno dell’azienda, identificando eventuali “colli di bottiglia”.

  • Dati da analizzare: storico delle retribuzioni, delle promozioni, dei trasferimenti e delle uscite aziendali, disaggregati per genere.
  • Output: visualizzazioni grafiche e report che mostrano le traiettorie di carriera differenziate per genere e identificano i momenti critici in cui si manifestano le disparità. Un’analisi in un’azienda di servizi finanziari potrebbe mostrare che, pur essendoci un equilibrio di genere nelle posizioni entry-level, la percentuale di donne diminuisce drasticamente ai livelli manageriali, con un impatto significativo sul divario retributivo complessivo.
  1. Monitoraggio e valutazione dell’impatto degli interventi.

È fondamentale che il PNRR preveda meccanismi di monitoraggio e valutazione rigorosi per misurare l’efficacia degli interventi sull’occupazione femminile e sul divario di genere. Questo permetterebbe di apportare eventuali correzioni di rotta e di identificare le best practice.

Il PNRR rappresenta un’opportunità unica per investire in modo strategico e strutturale sull’occupazione femminile in Italia. È cruciale che le risorse siano allocate in modo mirato e che gli interventi siano pensati per affrontare le cause profonde del divario di genere, superando misure occasionali e puntando a un cambiamento duraturo nel modello sociale ed economico del Paese. L’integrazione di una forte prospettiva di genere in tutte le misure del PNRR è un imperativo per raggiungere una crescita economica inclusiva e sostenibile.

Isa Maggi

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