Si ricorda, purtroppo, la mancata perquisizione del covo di Totò Riina una trentina d’anni fa, ma ora non si può non esser fiduciosi che si tenga alta la guardia, senza alcun tipo di “errore”, professionalmente colpevole o doloso per ragioni parapolitiche, di infiltrazioni massoniche o criminali.

Tra le tante, più o meno prevedibili e, spesso, stereotipe dichiarazioni e commenti vari sulla storica operazione che ha condotto alla cattura del “superboss” mafioso Messina Denaro, quella che mi ha più colpito è stata la frase del fratello del compianto magistrato Borsellino, il quale non ha esultato affatto, in quanto “non c’è da gioire dopo 30 anni di latitanza…”. Essa è, forse, una delle due facce di una stessa medaglia: il capo-mafia che soggiorna liberamente e tranquillamente, spostandosi nel suo territorio d’origine e di residenza da un covo all’altro; ma anche quella di chi avrebbe dovuto, in osservanza dei precipui compiti e doveri d’istituto, indagare seriamente e ricercarlo oculatamente, utilizzando al meglio le sofisticate tecnologie di cui, notoriamente oggidì, disponiamo e che sono profumatamente pagate grazie ai nostri tributi ed oneri fiscali.

L’Operazione tramonto – sperando che sia senza una nuova alba della “cupola”… – ci lascia un po’ perplessi dopo aver ascoltato le acute riflessioni di veri esperti come Nando Dalla Chiesa ed il procuratore Scarpinato, come sospesi a metà tra l’enfasi di chi ha affermato: “lo Stato c’è!” e la rabbia o, almeno, il malcontento  dei tanti parenti e amici, ancora inconsolabili, delle vittime della mafia (non è possibile dimenticare il piccolo Di Matteo).

Tra le luci di un … quasi arresto, molto cordiale e civile, tutt’altro che un blitz duro – e le preoccupanti ombre di un patto Stato/mafia tuttora da approfondire, dato che ci riferiscono di “stragi ibride” (quelle di Roma Milano e Firenze del 1993), in grado di condizionare pesantemente il sistema democratico, ci viene sottolineato che “certi sistemi di potere sono intrecciati … e perciò, ora, non mi aspetto molto”, il procuratore Di Matteo dixit ad “Atlantide”. E va detto che al valoroso magistrato è stato riservato un trattamento di carriera, indubbiamente negativo, molto simile a quanto avvenne negli anni ’80 per Giovanni Falcone! Proprio perciò – o anche per questo motivo – si conferma come un leale servitore dello Stato che non ha alcun timore della “autorità costituita”, prospettando due ipotesi:

a) il Messina Denaro era ormai certo che l’avrebbero arrestato (quindi sarebbe stato informato?), tant’è che ha fatto sparire dai tre covi i documenti segreti più scottanti e che non ha opposto la minima resistenza, né cercato di sfuggire all’arresto;

b) ha fatto di tutto per farsi arrestare (evidentemente per le cattive condizioni di salute). Comunque, è molto strana la coincidenza temporale tra la malattia e la cattura, la qual cosa si collega a non poche occasioni in cui alti ufficiali dei Carabinieri ed operatori della giustizia o dell’informazione hanno preannunciato/previsto l’avvicinarsi del momento dell’arresto.

Se poi riflettiamo anche sulle dichiarazioni del signor Dicillo, fratello dell’agente di polizia vittima a Capaci, e della vedova Montinaro (caposcorta) possiamo dare un diverso e più obiettivo valore o significato alle “sfilate” dei nostri politici a Palermo, puntando orbene gli occhi sull’andamento e sull’esito delle ulteriori indagini, con l’aspettativa e la forte speranza che saranno, finalmente, scevre da qualsiasi infiltrazione, sia essa di carattere massonico che dei servizi deviati o paralleli.

Dunque, non ci resta che vigilare sull’iter investigativo e, nondimeno, sull’operato della classe dirigente della politica nazionale, anche in virtù di una società civile presente e reattiva di fronte alle criminalità organizzate.

Vinta questa battaglia con il giusto apprezzamento per gli organi statali che l’hanno condotta a termine, si deve consolidare la necessità di mantenere, o meglio rafforzare i sistemi di controllo con le intercettazioni utilizzando le migliori tecnologie al fine di dare alle giovani generazioni del nostro, amato e travagliato meridione d’Italia, solidi paradigmi di legalità, moralità e onestà dalla politica al mondo economico, in primis all’interno delle istituzioni della Repubblica Italiana.

Michele Marino

 

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