E’ stato comunicato che – a consuntivo – nello sciagurato periodo che verrà identificato come coronavirus style, il PIL italiano avrà avuto una perdita di più di 5 punti su base annua: è una proporzione enorme, tale da portarci sull’orlo della bancarotta. Gli effetti sulla nostra economia sono – ad oggi – non calcolabili. Abbiamo forse salvato anziani malati di coronavirus. Adesso dobbiamo salvare anziani, ma anche giovani, dalla povertà. Il governo sta preparando un nuovo provvedimento contro l’emergenza. Speriamo non sia una grida manzoniana. Tralascio i vari interventi di settore per entrare, invece, in uno dei temi che sicuramente sarà molto dibattuto nei prossimi mesi: il settore immobiliare, in special modo il tema del diritto alla casa.

La crisi economica produrrà il ribaltamento di molte realtà economiche e sociali, alcune delle quali già molto deboli in Italia e in Europa. Una di queste sarà sicuramente il settore immobiliare. Quali le strategie, i fini, i risultati?

Il mercato immobiliare in Italia è oggi il settore nevralgico dell’economia, sostitutivo dal dopo guerra dell’agricoltura. Riassumendo velocemente: con la riduzione dell’agricoltura al 5-10 % del peso sul PIL, dopo il 1948, si potevano realizzare molte cose, liberando terreni e manodopera. L’inurbamento progressivo della nostra società spostava il mercato verso l’immobiliare e le manifatture. Il grande sviluppo edile ha portato alla ricostruzione post bellica e alla creazione di un mercato non controllato, sostenuto dall’obbligo di acquisto da parte del capitale finanziario (vigente fino al 1992). Numerose leggi in materia segnarono l’intero periodo della ricostruzione: il piano casa del 1960, il rifinanziamento nei periodi successivi, l’esonero fiscale. La legge Nicolazzi del 1978 fu la prima legge organica di settore. Questa legge è coeva di quella sull’equo canone edilizio che ricopiava in parte quello agricolo. La norma riconfermava, sopprimendola, la legge di blocco delle locazioni, facendo riferimento ai principi delle due disposizioni della costituzione incidenti sulla proprietà immobiliare: art. 42 e art. 35, il primo riconosce la proprietà privata e il secondo il diritto ad una vita sociale dignitosa. Richiama il non mai applicato articolo tedesco del ‘22: “la proprietà vincola a seguire il benessere dei suoi usufruenti”. Era la mediazione nello scontro tra diritto alla casa e diritto di proprietà che, nel periodo tra il 1948 e il 1992, era concepito come un diritto all’acquisto della casa o all’accesso alla locazione pubblica. L’equo canone era un giusto meccanismo teorico per trasformare il patrimonio immobiliare in un reddito certo che agevolasse tutti, proprietari e conduttori, nella garanzia dei rispettivi diritti, al reddito e alla casa. Come tale, veniva equiparato ad un contratto di lavoro. E ciò riguardava sia il mercato abitativo che quello non abitativo.

La successiva legislazione ha però acuito il problema. La legge del 1998 ha riequilibrato il meccanismo con l’immissione di denaro nel sistema del fondo affitto. Una delle modifiche, nel 2009, portò alla sostanziale soppressione del fondo e alla sua sotterranea trasformazione in sostegno alla morosità incolpevole.  Molta giurisprudenza intende oggi il diritto alla casa come un diritto al possesso di cosa altrui.

Come da molti rilevato, la nuova, impetuosa, globalizzazione dell’ultimo quarto di secolo ha come suo nemico giurato la proprietà immobiliare non finanziaria.  Questa crisi renderà ancora maggiore questo problema.

In queste settimane abbiamo purtroppo avuto la dimostrazione che in Italia l’esecutivo – né in sede centrale né locale – ha una strategia per le grandi crisi (di origine naturale o clinica).

Ma quello che sta accadendo in queste settimane può – e deve – essere inquadrato nei grandi processi di trasformazione della società e della economia. Dopo la ristrutturazione del patrimonio pubblico con la vendita di importanti strutture industriali e finanziarie, avviata nel 1992 e nel 2009, oggi c’è il rischio che la necessità impellente per lo stato di far cassa passi attraverso la vendita della sanità ai grandi fondi. Ricentralizzare la sanità potrebbe essere congeniale a questo disegno. Ad una simile prospettiva sarebbero certamente interessate le multinazionali – soprattutto tedesche e francesi – del farmaco e della gestione sanitaria.

Questa crisi, con il suo strascico di crisi di liquidità, finirà col distruggere nuove aree produttive interne private a favore dei fondi di investimento. La carenza di liquidità dell’intera eurozona inciderà in primis sull’Italia. E qui veniamo al tema immobiliare: attraverso il grimaldello della cd “morosità incolpevole” (soprattutto per le locazioni di case di abitazione e piccoli esercizi commerciali) e cioè la oggettiva impossibilità di molti di pagare l’affitto, si riaprirà prevedibilmente il dibattito sulla proprietà. Eventuali contributi pubblici saranno collegati ad una riduzione dei canoni, e quindi della redditività dell’immobile. Ma ciò non sarà irrilevante sul valore del patrimonio e c’è il rischio che si accompagni ad un parallelo aumento della tassazione (per recuperare gettito, fra l’altro a vantaggio dei fondi che già godono di esenzioni a loro riservate) che non potrà che rafforzare questa tendenza alla svalutazione degli immobili.

Con la logica dell’emergenza sarà – inoltre – sempre più facile giustificare misure quali la sospensione del pagamento dell’affitto, marginalizzando la difesa dei milioni di piccolissimi proprietari per i quali la riscossione di un canone d’affitto rappresenta integrazione necessaria di un reddito altrimenti insufficiente, se non inferiore alla soglia di povertà.

Il calo del mercato degli immobili e la conseguente riduzione del patrimonio nazionale produrrà la creazione di nuove realtà finanziarie che giocheranno per impossessarsene. A quel punto, la responsabilità della mancanza di liquido non sarà (solo) la sospensione delle attività  economiche, ma anche la speculazione, soprattutto immobiliare. Ricordiamo anche che i paesi che attraggono capitali per speculazione sono proprio quei paradisi fiscali europei – come Olanda,  Lussemburgo e Germania stessa – così intransigenti con i nostri conti pubblici: gli ortodossi del Mes.

Eppure, una delle loro forze è proprio la leva dell’agevolazione fiscale immobiliare. Il nostro stato invece non può applicarla. Perché?

Insomma, la prossima crisi del sistema è prevista tra 5 anni, con una economia italiana con un PIL diminuito di 5 punti in due anni ma questa volta con l’aggravante di un patrimonio immobiliare sottratto al ceto medio italiano.

La mia età mi impedisce di avere la certezza della sopravvivenza, quindi lascio la verifica della mia previsione, come dice Balzac in Eugenia Grandet, a voi che “me ne riferirete di là”.

Ivo Amendolaggine   Presidente Confedilizia Brescia

 

 

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