Una politica che investa, con lucida determinazione, sui bambini e sugli adolescenti, cioè sull’età dello sviluppo, dovrebbe essere una delle risposte prioritarie da dare alla pandemia e non solo sul piano degli interventi di carattere sanitario. Noi di “Politica Insieme”‘che osiamo evocare addirittura una “trasformazione” del Paese, dobbiamo proporre per primi un tale indirizzo.
Vi siamo, del resto, indotti da quella visione cristiana della vita che è, per sua natura, proiettata verso la speranza di un domani più ricco di valore umano. Si spiega anche così la presenza storicamente consolidata del mondo cattolico in campo educativo. Nonché, passando all’ambito sanitario, il fatto che i più qualificati IRCCS (istituti di ricovero e cura a carattere scientifico), cioè l’eccellenza in campo clinico-scientifico, di area pediatrica, siano espressione diretta del mondo cattolico.
La stessa pandemia, d’altra parte, sta mostrando come “eta’ evolutiva” ed “età matura” siano fasi della vita consequenziali l’una all’altra, eppure da comprendere in ragione, se non di una opposizione polare, dei molti elementi per cui la prima rischia di diventare niente più che una fase propedeutica alla “cifra” finalmente produttivistica della seconda che finisce per assorbirla.
I bambini non sono uomini in miniatura. La “evolutività” della loro età basta da sola a darne conto, a fronte della stabilizzazione, anche in termini biologici, dell’età adulta. Significa, ad esempio, che qualunque noxa patogena colpisca un soggetto maturo, ad essere leso è, per lo più, un organo o un apparato in cui la malattia, almeno inizialmente si circoscrive.
Nel bambino, nel soggetto appunto in fase “evolutiva”, ad essere compromessa è, invece, appunto, la “diacronicità” del suo sviluppo, per cui gli effetti dell’ insulto patogeno si manifestano a cascata, coinvolgono non un organo o un funzione, ma l ‘organismo in toto e non solo “hic et nunc”, quanto piuttosto alterano la fisiologica sequenza delle tappe della sua crescita.
Gli adulti si curano; per i bambini non basta “curare”. E’ necessario “prendersi cura”, cioè affrontare le sue problematiche sempre in termini interdisciplinari. E’ sempre necessario farsi carico della persona, in maniera organica ed unitaria. Con bambini ed adolescenti e’ addirittura d’obbligo e dovrebbero saperlo le varie “amministrazioni” che di loro si occupano, per lo più ignorandosi l’un con l’altra, come se ognuna ne rivendicasse un pezzo, quasi sezionandone la vita. Cominciando da Ministero della Salute e Miur. Ha ragione, ad esempio, Massimo Galli, infettivologo dell’Ospedale Sacco di Tempo Milano, quando, in una intervista su Avvenire, di qualche giorno fa, lamenta la soppressione della Medicina Scolastica.
Ad ogni modo, a mano a mano che ci avviciniamo alla ripresa dell’anno scolastico, il tema della pandemia – si profili o meno la seconda ondata – impatta, più di quanto non sia avvenuto finora, con le età minori della vita. Bambini ed adolescenti sono stati fortunatamente risparmiati dalla devastazione che ha colpito gli anziani. La loro scomparsa a decine di migliaia ha gettato nello sconforto altrettante famiglie, anche perché il distacco è stato crudo, reso straziante da una separazione e da una solitudine incolmabile, al momento stesso del decesso.
Eppure, senza voler essere cinici e senza mancare di rispetto ai deceduti, cosa ne sarebbe oggi delle aree più colpite se sui camion militari, che abbiamo visto in televisione intervenire a Bergamo, le bare da portare alla cremazione fossero state piccole e bianche?
In ogni caso, non illudiamoci che, almeno per loro, la cosa vada da sé. Al contrario, i bambini vanno protetti, dal virus come tale, ma anche dagli effetti indotti ed indiretti. Anche loro hanno pagato un duro prezzo. Non solo a livello mondiale, nei Paesi del sottosviluppo, secondo i dati spaventosi riferiti dalle Nazioni Unite e che, qualche giorno fa, abbiamo riportato anche noi ( CLICCA QUI ), in ordine ai decessi per cause indirette, ma pur sempre connesse alla circolazione del virus.
Hanno sofferto pesantemente anche il “di stanziamento sociale” che per quelle età rischia di diventare una gabbia che limita e compromette il loro elementare e spontaneo slancio vitale. Ma – dovremmo chiederci – perché i minori si sono rivelati così più resistenti, quasi inattaccabili dal virus. Virologi, infettivologi, epidemiologi e pediatri ancora non l’hanno ancora capito. C’è chi accenna ad un sistema immunitario complessivamente più giovani; chi parla di fenomeni di immunità incrociata; chi chiama in causa i mitocondri.
Sicuramente, c’è un problema biologico di fondo che ci auguriamo venga messo in luce. Ma al di la’ della causalità immediata di questa maggior resistenza al virus da parte dei bambini, questo colossale esperimento non condotto in provetta o selezionando una popolazione ad hoc, bensì su una scala planetaria mai praticata in altra occasione, non ci dice forse come la natura custodisca in se, ad un livello per noi oggi ancora insondabile, eppure capace di manifestarsi in una situazione talmente globale ed estrema, meccanismi, regole e ragioni poste a difesa della vita nelle sue fasi più delicate e decisive, cosicché ne derivi, dalla natura stessa, nella sua immediatezza, un monito che dobbiamo accogliere anche come indirizzo della nostra azione?
Domenico Galbiati