Dopo la guerra scatenata da Putin contro l’Ucraina, l’Europa si è svegliata il 2 aprile scorso non più con il sogno ma con l’incubo americano. Come se già il nostro povero vecchio continente non avesse altre e ben più profonde sciagure cui pensare. Non bastavano, infatti, le mire espansioniste e neo sovietiche del nuovo Zar. Ora si è aggiunto un altro pericolo. Una dichiarazione di guerra, questa volta sui dazi, che sta terremotando non solo i mercati ma tutto l’assetto geopolitico creato in questi ultimi 25 anni con la globalizzazione. Purtroppo, tra Europa e Stati Uniti stanno sorgendo incomprensioni e malumori che non promettono nulla di buono. A chi, come l’attuale Presidente americano, sembra ignorare questo legame profondo, andrebbe ricordato che senza l’Europa non esisterebbe l’idea stessa di Occidente. La guerra commerciale scatenata contro di noi non è solo un errore strategico, ma è un colpo diretto all’unità dell’alleanza atlantica, alla stabilità economica globale e ai valori comuni che tengono insieme le democrazie occidentali. Dazi, ritorsioni, ostacoli al libero scambio: tutte armi spuntate in un mondo interconnesso. Ma soprattutto, strumenti micidiali se diretti verso l’alleato storico, quel Vecchio Continente che ha saputo — nei momenti migliori della sua storia — dare forma e sostanza all’idea di libertà, di Stato di diritto, di civiltà. Per questo, l’Europa non può permettersi di affrontare questa sfida in ordine sparso. Ogni tentazione di correre singolarmente a implorare clemenza a Washington per trattare bilateralmente fuori dall’alveo comunitario, è un suicidio politico e diplomatico.
Il pericolo delle logiche nazionaliste
Per secoli, l’Europa si è dilaniata in guerre fratricide. Conflitti in cui hanno prevalso le logiche nazionaliste che mascherano l’interesse particolare dietro l’illusione dell’orgoglio nazionale. Ma nei momenti in cui l’unità e la concordia hanno prevalso — da Carlo Magno a Federico II, da Carlo V fino ai Padri fondatori dell’Unione — l’Europa ha conosciuto progresso, libertà, e un ruolo di guida nel mondo. È questa la lezione più importante: senza una visione comune, senza la capacità di pensarsi come parte di una casa più grande, le nazioni europee diventano vulnerabili. Non solo economicamente, ma anche culturalmente, militarmente, moralmente. Di fronte alle minacce globali — dal ritorno delle autocrazie al disordine climatico, dalle guerre commerciali alle guerre vere — solo un’Europa unita può rappresentare una risposta credibile, autonoma, pacifica. Un’Europa che, pur nella sua preziosa diversità linguistica, religiosa e culturale, rappresenta un unicum geopolitico. E’ l’Europa che ha inventato la democrazia ad Atene, il diritto a Roma, la modernità nei suoi caffè illuministi e lo Stato sociale nel dopoguerra. Ed è sempre l’Europa che ha generato l’umanesimo, l’università, la stampa, la scienza moderna e il pensiero critico. Un’identità fondata su radici plurali, ma con uno stesso tronco ideale: il rispetto della dignità umana, la libertà individuale, la centralità della ragione e del dialogo.
L’Unità dell’Europa per evitare altri conflitti
È questa l’Europa che oggi deve ritrovare se stessa e assumere fino in fondo il suo ruolo nel mondo. L’unica via è quella di costruire davvero gli Stati Uniti d’Europa: con un’unica politica estera e di difesa, una fiscalità comune, un mercato integrato dei capitali, un bilancio federale e — in prospettiva — un Presidente eletto direttamente dai cittadini europei. Solo così l’Europa potrà essere sovrana, non in contrapposizione ma in dialogo paritario con le altre grandi potenze. Non è più tempo di nostalgie nazionaliste o di paure identitarie. È il momento di un nuovo patriottismo europeo, che non cancella le identità locali ma le esalta in una cornice condivisa. Perché senza l’Europa, non solo sparirebbe un progetto politico, ma vacillerebbe l’intero edificio dell’Occidente. E con esso, la speranza di un futuro fondato sulla libertà, sulla pace e sulla giustizia.
Michele Rutigliano