Il quotidiano “Il Messaggero”, il 21 maggio scorso, citava la situazione critica di alcuni ospedali. Negli ultimi vent’anni sono stati chiusi circa 300 ospedali, eliminati circa  80.000 posti letto e non assunti circa 50.000 unità di personale con la convinzione che un paziente curato in ospedale poteva proseguire l’assistenza a casa e con i servizi socio-sanitari territoriali (un progetto rimasto solo elettorale).

Recentemente è insorta una discussione accesa per l’esternalizzazione e la riorganizzazione (limitazioni) di alcune Unità Operative nell’Ospedale di Mirandola con un rischio di iper afflusso nei presidi ospedalieri mantovani di confine. E’ ovvio quindi che i servizi di Pronto Soccorso siano in affanno. Nella realtà in cui vivo e lavoro, in provincia di Brescia, sono state pubblicate lettere ai giornali locali  in merito al persistere del sovraffollamento dei Servizi di Pronto Soccorso Ospedalieri della città e della provincia. Sovraffollamento che dai primi di maggio 2022 si è fatto incessante nelle 24 ore. Utenti abbastanza irritati dall’attesa prima della presa in carico del paziente e dei suoi bisogni di non urgenza, urgenza ed emergenza. Sì, va detto e scritto anche di non urgenza perché, anche se il riscontro in ingresso è di una problematica di bassa intensità, per ancora un minimo di umana compassione e comprensione del personale, non si viene rispediti al mittente come avviene in altri luoghi, ma comunque presi in carico, ovviamente, dopo le urgenze ed emergenze. E già qui il cittadino potrebbe contenere la sua irritazione. Diverso è il comportamento avverso del singolo dipendente, anche se una comunicazione con dovuta dimostrazione di cosa vi è in atto in quel momento, per cui l’attesa si protrae, potrebbe calmare gli animi.

Si tende a giustificare dalla parte ormai definita spiacevolmente “aziendale sanitaria” che tutto è dipeso dalla pandemia da Sars-Cov2. Siamo proprio sicuri? Sapevamo da almeno 10 anni prima che il prolungamento dell’aspettativa di vita avrebbe portato a cronicizzazione, nel frattempo la rete territoriale specialistica per assistere e gestire tale portata non è stata progettata e di conseguenza non attivata. Aspettativa di vita che si basa troppo sul numero degli anni in aumento (utile per ritardare l’età di pensione spesso non più godibile o goduta), e non della qualità di vita: la realtà è visibile a occhio nudo. Forse un’età pensionabile un poco più precoce dell’attuale, una conciliazione vita-lavoro migliore e una massiccia attività di prevenzione nelle fasce di età antecedenti i 50 anni, ridurrebbe la cronicizzazione con una vivibilità pensionistica più serena: stanno tutti bene i pensionati vivi a tre anni dal congedo lavorativo? Sottolineo il significato di stare bene.

Questione personale insufficiente: sappiamo tutti che stiamo pagando il massiccio pensionamento dei baby pensionati di un tempo (siamo passati da un estremo all’altro). In alcune regioni per colmare la carenza di infermieri si è pensato di attivare una formazione per “super operatori socio assistenziali”. Affermo, come già esposto in precedenti occasioni, che una professione nasce e cresce nella Scuola e non nei “corsifici”. Negli anni la professione infermieristica è stata adeguatamente presentata ai giovani? No, perché molte sedi di corsi universitari sono state chiuse: si sono chiusi i corsi per professioni in esubero di cui il nostro Paese ne ha in abbondanza o non servono? Inoltre siamo sicuri di essere proprio a corto di personale? Ne abbiamo necessità ed è vero, ma il personale rientrante nei regolamenti part-time, limitazioni, permessi, distacchi sindacali, ecc. é posto e organizzato in servizi sanitari che potrebbero far recuperare personale in condizioni di turnazione? Per la campagna vaccinale sono stati pagati incentivi anche a tale personale quando un decreto prefettizio di precettazione bastava a reclutarli a stipendio ordinario. Quindi quelle limitazioni di servizio sono veramente motivate e valutate?

Pertanto l’ospedale con i suoi servizi è rimasta la valvola di sfogo assistenziale del cittadino. La programmazione politico amministrativa ha peggiorato le cose limitando le attività dei medio-piccoli ospedali periferici (quando non letteralmente chiusi), e quindi tutti ricorrono a sovraffollare i grandi ospedali che dovrebbero gestire patologie acute di alta specialità, con una attenzione a “rimettere in pista” soggetti ancora in grado di garantire una vita autonoma familiare, sociale e lavorativa.

Massimo Molteni ha citato il disfacimento del Welfare a favore di privati (CLICCA QUI). Aggiungo che se così fosse, vedrei Dipartimenti di Emergenza di Alto Livello in ogni struttura privata accreditata dotata di Pronto Soccorso: in realtà vi sono strutture che sono state accreditate con Pronto Soccorso la cui struttura edilizia gode di una cubatura più piccola di un bilocale e, ovviamente, con personale al minimo indispensabile; eppure hanno alle spalle una dotazione specialistica sufficiente per sgravare l’attività dei grandi Trauma Centers o dei Dipartimenti di Emergenza di Alta Specialità. Pertanto quelle specialità e quel vantaggio ai privati che strada percorrono?

L’educazione sanitaria è assente da anni: decenni addietro in Pronto Soccorso si andava proprio quando vi era la gravità (e talvolta il singolo la sottostimava). Oggi un cittadino cardiopatico che si procura accidentalmente una ferita da taglio (che non ha a che fare con la sua patologia), preferisce andare nel presidio ospedaliero dove è stato preso in carico per l’angioplastica coronarica (quindi un ospedale di alto livello), quando potrebbe recarsi in un pronto soccorso di base.

In Lombardia l’applicazione “Salutile Pronto Soccorso” è ancora poco conosciuta: rileva i gradi di sovraffollamento dei Servizi di Pronto Soccorso in modo che, ognuno, al bisogno si rechi in quello meno affollato (anche se più distante). E’ utile, ma se non è accompagnata da un parallelo sistema di Soccorso Sanitario di Emergenza Urgenza 118 che sia capace di regolare la risposta sanitaria di emergenza (perché tarato in sovrastima, inappropriatezza, con una perdita di informazioni non indifferente, ancora troppo basato sul volontariato e su un adattamento di compensazione professionale discutibile), non si avrà mai una affluenza sostenibile e mirata nei Pronto Soccorso o nei Dipartimenti di Emergenza Ospedaliera. Purtroppo la riforma di questi settori in Lombardia ha fallito nella sostanza con un successo solo d’immagine. In altre occasioni su questo giornale ho “accennato” a una ipotesi di trasformazione del Soccorso Pubblico (sanitario e non). E per riprendere un titolo di recente pubblicato su questo giornale: “non abbiamo bisogno di sentirci dire per giustificarci che lo chiede l’Europa”; il pessimo risultato è dovuto alla nostra progettazione errata e alla dimenticanza del passato (anzi meglio dire cancellazione di ciò che funzionava ma non è stato implementato o trasformato in progresso).

La sicurezza nei luoghi di cura d’emergenza e urgenza? L’esperienza Sars-Cov2 sul sovraffollamento è già dimenticata: occasione per rivedere i piani di emergenza e di massiccio afflusso di utenti; per non parlare delle strutture edilizie deputate a queste funzioni: mondo dell’edilizia, ingegneria e architettura fatevi avanti: c’è pane per i vostri denti.

Credo anche che potrebbe essere utile l’inserimento nelle direzioni regionali alla sanità di qualche geografo, cartografo e storico, che bacchetti le dirigenze al minimo pensiero di riorganizzare presidi e servizi. Gli epidemiologi e gli studiosi di statistica ne sarebbero felici. Perché sembra che ogni riforma sanitaria sia dovuta al fatto che la Terra cambi forma.

Quindi: la somma di quanto sopra esposto aggiungendo le insoddisfazioni del personale in servizio che opta per altri ruoli o addirittura cambia lavoro, lamentele più o meno irritanti e aggressive dell’utenza, utenti e pazienti che non vengono riportati a uno stato di salute soddisfacente, famiglia e società che dovranno accollarsi burocrazie e tempi per ottenere un minimo di servizio accettabile, faranno sì che tutto ciò durerà fino a che il prossimo assessore regionale alla Sanità, la giunta e il consiglio e, prima ancora il documento programmatico, non diffondano slogan per qualcosa di nuovo, un foglio bianco dove inserire cosa c’è da sistemare (magari anche il coraggio di inserire dove si è sbagliato alla grande), di ciò che abbiamo già ma è sparigliato, facendo una vera rete di servizio con le amministrazioni comunali e dello Stato.

L’unica soddisfazione che mi rimane del mio lavoro è che entro nelle case, nelle fabbriche, sulle strade, nei luoghi pubblici quando ormai la frittata non solo è fatta, ma bruciata: e lì vedi come sta il nostro Paese e tutto il sommerso dell’iceberg. Forse chi deve governare ciò non lo vede o non vuole vedere. Perché se nel primo consiglio comunale, regionale o altro non si apre o non si studia il bilancio per definire le vere priorità e le vere necessità, ma si pone in discussione un impianto natatorio che non serve perché a 10 km ne esiste già uno, oppure si concede l’autorizzazione a una struttura sanitaria privata che non serve, perché a 5 km nd opera una pubblica che dev’essere potenziata, poco si vedrà di servizio alla Persona.

Ai futuri assessori, giunte e consigli comunali e regionali scrivo: scrollatevi dalle spalle la polvere dell’opportunismo e cospargetevi di Politica (ripassando il significato) e nelle vostre direzioni mettete “persone” prima che dirigenti, facendo conto che i soldi da spendere bene sono i vostri, depositati sul vostro conto corrente.

Marco Torriani

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