Il Decreto Aiuti Quater ha aumentato notevolmente la soglia di defiscalizzazione dei fringe benefit. Per il Governo così si aiuteranno i lavoratori ad affrontare il caro vita, ma si rischia un cortocircuito per il welfare aziendale così come lo conosciamo. Andrebbe infatti ad affermarsi una visione consumistica lontana dalle finalità sociali previste dalla normativa. Esperti e addetti ai lavori condividono con noi preoccupazione e perplessità su questa scelta.

Siamo di fronte ad uno stravolgimento del welfare aziendale per come lo conosciamo? Si tratta di una domanda legittima alla luce del recente intervento del Governo Meloni che ha aumentato la soglia dei fringe benefit a 3000 euro per il 2022(CLICCA QUI).

Questa misura che, come si legge dallo stesso Decreto Aiuti quater (CLICCA QUI)  è vista dal Governo come una forma di sostegno per gli aumenti del costo dell’energia1, potrebbe infatti stravolgere le logiche alla base del funzionamento di quell’insieme di beni e servizi che le imprese possono destinare ai propri lavoratori come integrazione della normale retribuzione.

Il rischio che vediamo è che, con una quota così elevata di fringe benefit venga smarrita la finalità sociale del welfare aziendale, che potrebbe essere essere interpretato dalle aziende esclusivamente con una fuNzione di sostegno al reddito. Per questo abbiamo cercato di capire cosa ne pensano alcuni esperti in materia.

Come funziona la normativa sul welfare aziendale

Come vi abbiamo spiegato nel corso degli anni, in primis attraverso i nostri Rapporti sul secondo welfare (CLICCA QUI), la normativa che nel nostro Paese regola il welfare aziendale (cioè gli articoli 51 e 100 del TUIR, il Testo Unico delle Imposte e dei Redditi) prevede dei vantaggi fiscali per le imprese. Al contrario della normale retribuzione, se un’azienda vuole “premiare” i propri collaboratori con una quota da spendere in beni e servizi previsti dal TUIR, non è tenuta a versare allo Stato né la parte fiscale (ad esempio relativa all’Irpef) né quella contributiva (cioè inerente l’INPS).

La normativa, tuttavia, “giustifica” il favor fiscale in primo luogo per interventi che hanno una “finalità sociale”come, ad esempio, le spese per l’asilo nido o la scuola dei figli dei lavoratori, la baby-sitter, il dentista o visite mediche specialistiche, l’assistenza a familiari disabili o non autosufficienti, la previdenza complementare e così via. Si tratta di una serie di misure indicate dal comma 2 dell’articolo 51 (CLICCA QUI).

Accanto ad esse il Testo Unico prevede però anchealtre possibilità di spesa per il tempo libero (palestra, viaggi, escursioni, abbonamenti a cinema, teatro, riviste, ecc). La ragione della presenza di queste possibilità ha delle fondamenta precise: in questo modo le cifre destinate al welfare sono spendibili anche da coloro che non hanno specifici carichi di cura (ad esempio i lavoratori più giovani che non hanno figli oppure familiari che necessitano di assistenza).

Ci sono poi i già menzionati fringe benefit che riguardano una vasta gamma di servizi e soluzioni che possono essere acquistati attraverso buoni acquisto o voucher 2. In linea di massima, questi strumenti consentono l’acquisto di qualsiasi bene o servizio: sono, in altri termini, un corrispettivo della retribuzione che viene però erogato esentasse e non in forma monetaria. Ed è proprio per questa ragione che la normativa prevede un limite annuo, pari a 258,23 euro. E proprio qui si insinua il problema. (Per la lettura completa dell’articolo CLICCA QUI).

Valentino Santoni

 

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