Il “piano-shock” per l’economia lanciato da Matteo Renzi, roboante di primo acchito, 120 miliardi in 3 anni per infrastrutture, in realtà altro non è che una semplice somma degli investimenti già allocati e non sembra contemplare alcuna nuova risorsa e stimolo fiscale straordinari per i quali occorrerebbe sforare le rigide regole di bilancio europee. In ciò, tuttavia, il progetto di Italia Viva manifesta un aspetto positivo in quanto ci aiuta a vedere la differenza, stridente, fra investimenti sventolati come puro espediente comunicativo, gli unici possibili nel regime di austerità che autocondanna l’Europa al declino, e gli investimenti veri, fatti in tutto il resto del mondo, per lenire gli effetti del rallentamento dell’economia globale, dovuto in parte anche alla guerra commerciale in corso tra Stati Uniti e Cina.
La Cina in particolare ha varato nell’anno che sta per finire un gigantesco piano di stimolo alla domanda interna allo scopo di prevenire e attutire gli effetti del calo delle esportazioni, rafforzato dalla stipula di nuovi e promettetti accordi bilaterali, in primo luogo con gli altri colossi che compongono i Brics, raggiunti in occasione del recente loro vertice a Brasilia. Particolarmente interessante è il fatto che il governo di Pechino con lungimiranza ha orientato questi interventi non alla conservazione bensì agli obiettivi più avanzati dell’Agenda Onu sulla sostenibilità, soprattutto su tre goals, quali la transizione energetica a fonti rinnovabili (goal 7), la sostenibilità ambientale delle industrie e delle infrastrutture (9), la coesione sociale (16).
Ma il dato che meglio di ogni altro rende l’idea della potenza economica raggiunta dalla Cina, è quello relativo alla movimentazione delle merci via container (per inciso un plauso ai media che si premurano di non intristire la piccola Greta, non facendo sapere che le navi portacontainer inquinano assai più di tutte le auto in circolazione sull’intera superficie terrestre…). Con la movimentazione di 200 milioni di TEU (twenty-foot equivalent unit, è la misura standard di volume nel trasporto dei container, dati elaborati da Laboratorio Brics – Eurispes), la Cina ha dominato nel 2016 la classifica del traffico marittimo di container (quattro volte gli Stati Uniti fermi a 48 milioni di TEU annui!). Il porto di Shanghai, da solo, movimenta un traffico pari a quello di quasi tutti i porti degli Stati Uniti messi insieme.
Così avviene che mentre la politica nostrana discute, con le mani legate dai vincoli esterni, di come investire in infrastrutture, porti e ferrovie, i cinesi arrivano e fanno shopping di assets strategici anche nel nostro Paese, cosa in sé non negativa, ma che può risultare rischiosa, se avviene solo a senso unico. E tendono a occupare sempre più nel Mediterraneo il ruolo che la geopolitica ha assegnato al nostro Paese.
A ben vedere le uscite propagandistiche di Renzi in economia sono uno dei prodotti, o dei surrogati, di un nodo di fondo irrisolto in ambito europeo, e potenzialmente esplosivo, che riguarda sia le vere, e non dichiarate, ragioni per le quali la Germania ha imposto all’Europa un ordoliberismo che si sta rivelando esiziale per l’integrazione europea, sia la natura delle relazioni europee, più propriamente tedesco-francesi, con la Cina, le quali nel momento in cui cessassero di essere inserite in una comune strategia di solidarietà del mondo occidentale, che include e si fonda sugli Stati Uniti d’America e sul Regno Unito, finirebbero per alimentare delle risorgenti illusioni che, molto prima di quel che si creda, per l’Europa potrebbero tramutarsi in incubi.