L’insopportabile disparità dei servizi sanitari tra il Sud ed il Nord dell’Italia dovrebbe togliere il sonno a parecchi politici. L’idea che il sistema sanitario italiano sia la fotografia, sempre più precisa, dell’intero Paese è inquietante: stiamo parlando della salute della gente, della possibilità di curarsi, del diritto ad accedere alle stesse prestazioni indipendentemente dal posto in cui si abita.

È, ripeto, un fattore insopportabile. Eppure, anno dopo anno, ministro dopo ministro, la forbice tra il Meridione e il resto dell’Italia si allarga sempre di più ed i cittadini stanno progressivamente rassegnandosi all’idea che il proprio stato di salute può dipendere dal luogo in cui si vive.

Naturalmente tutto ciò porta anche un considerevole spostamento di fondi. Secondo un report dell’Osservatorio Gimbe che risale a quattro mesi fa, la migrazione di denaro si sposta, prevalentemente da Sud a Nord: l’88 per cento del saldo in attivo alimenta le casse di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto e il 77 per cento di quello passivo grava su Puglia, Sicilia, Lazio, Calabria e Campania.

È evidente, dunque, che se si vuole salvare la sanità dell’Italia intera si deve puntare a migliore quella del Sud, fermando la migrazione forzata.

In che modo? Facendo corposi investimenti su risorse umane, nuove tecnologie, ricerca e prevenzione e accompagnandoli con una minuziosa attività di controllo e monitoraggio che, piaccia o no, tocca allo Stato centrale.

Non si tratta di fare i cani da guardia, si tratta di lanciare un piano Marshall per la Sanità del Sud Italia e verificare che sia applicato davvero. In sintesi: aver messo soldi sul reddito di cittadinanza lasciando intatti (e quindi deficitari) i servizi sanitari è stato un errore strategico gravissimo. Si deve invertire la rotta, ma per farlo occorre raziocinio e senso della prospettiva politica: caratteristiche piuttosto rare di questi tempi.

Vincenzo Salvati

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