Per gli enti locali, il PNRR ha due facce. Questa la sostanza dell’intervento pubblicato su Percorsi di Secondo Welfare

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza sostenuto da prestiti e contributi UE è innanzitutto un’opportunità. Ma, al tempo stesso, è anche una fonte di preoccupazione, fatica e difficoltà. E più il tempo passa, con la scadenza del 2026 per spendere i fondi del piano che si avvicina, e più la seconda sembra oscurare la prima.

Quando si parla con gli amministratori locali, qualcuno usa la parola “rallentamenti”, qualcun altro addirittura “tsunami”, altri ancora confessano di avvertire la responsabilità investire bene i fondi presi in prestito dall’Unione Europea, dicendo di sentire “un gravame sulle spalle per le generazioni future”.

Sindaci e assessori sottolineano come sia difficile seguire tutti i bandi in uscita, preparare progetti di senso in fretta, metterli in pratica nel caso vengano finanziati, e ancora monitorare e rendicontare quanto fatto nei tempi e modi richiesti dall’Unione Europea.

87 miliardi di euro

È un problema che sta emergendo, che si è visto in casi eclatanti come i bandi per gli asili nidi (CLICCA QUI) e che mette a rischio la buona riuscita dell’intero PNRR. Nell’attuazione del piano, infatti, le pubbliche amministrazioni territoriali ricoprono un ruolo essenziale: a esse competono investimenti per oltre 87 miliardi di euro dei 191,5 miliardi (più 30,6 miliardi di fondi complementari italiani) complessivi.

“Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza” spiega un documento del Dipartimento della funzione pubblica del Ministro per la pubblica amministrazione (CLICCA QUI) “prevede un ampio spettro di investimenti e riforme a favore dei Comuni italiani, che vanno dal digitale al turismo, dal miglioramento dell’organizzazione interna agli interventi sociali”.

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