Prendo spunto da uno scambio privato di mail fra lettori e contributori di Politica Insieme relativo al Piano per il Sud del Ministro Provenzano per sollevare una questione che ha una valenza generale: il rapporto fra decisione politica, informazione specializzata e fonti conoscitive.

Per farlo prenderò ad esempio tre casi recenti.

Il primo è un articolo pubblicato sul Sole 24 Ore dal titolo “La sfida dell’Alta velocità: collegare altre 10 città e 10 milioni di utenti”, di Giorgio Santilli (16 febbraio). Si tratta di un esempio tipico di quello strumento indispensabile alla formazione dell’orientamento politico (ma in alcune circostanze anche alla formazione della decisione) che è l’informazione specializzata.

Premesso che trovo indubbiamente utile la lettura quotidiana del “foglio rosa” e riconosco volentieri a molti contributi del Sole il valore di vere e proprie fonti privilegiate di conoscenza oggettiva della realtà economica, rilevo però che l’articolo in oggetto rappresenta (nonostante l’autorevolezza della firma) un caso non particolarmente felice di informazione specializzata. Senza entrare troppo nel merito, basti dire che il prestigioso quotidiano propone una ricostruzione della vicenda (ormai storica) dell’“Alta velocità” riuscendo a non citare mai la “legge obiettivo” che (la si critichi o meno per mille altri aspetti) ha rappresentato comunque quella “forzatura” che ha consentito negli anni cruciali (2001- 2013) di realizzare il grosso della dorsale ferroviaria ad AV. Non si capisce nulla né della storia dell’AV, ma neanche della dialettica politica sullo sviluppo infrastrutturale del Paese dell’ultimo ventennio, così come dei gravi limiti del sistema decisionale in questo comparto delle politiche pubbliche (ancora tutti irrisolti) senza fare riferimento a quella legge.

Un esempio, dunque, di informazione specializzata che fallisce la sua missione.

Il secondo esempio è il Rapporto 2020 “Infrastrutture strategiche e prioritarie” curato dal CRESME e dal Servizio Studi della Camera dei deputati appena presentato.

Fra l’altro, anche questo – nella sua genesi – frutto della “legge obiettivo” e dell’aspro scontro parlamentare che – sin dall’inizio – quella legge ha annualmente alimentato nelle Commissioni parlamentari, il Rapporto (in origine firmato dal solo Servizi Studi e successivamente divenuto Rapporto CRESME-Servizio Studi) si è consolidato negli anni come strumento di informazione completo e metodologicamente robusto per il monitoraggio della programmazione e della realizzazione fisica delle principali infrastrutture strategiche del Paese. I suoi dati hanno rappresentato – per lunghi anni – e rappresentano tutt’ora un binario affidabile su cui le commissioni parlamentari (qualora ne abbiano il tempo e la voglia, cosa che purtroppo accade sempre meno) possono sviluppare una dialettica politica all’altezza della serietà del tema. In questo caso, l’informazione specializzata e i dati sono quei validi strumenti sussidiari che offrono (o offrirebbero) ad una politica di livello la sua oggettiva base di partenza.

Infine, il terzo esempio riguarda il piano presentato dal Ministro Provenzano “Sud 2030: sviluppo e coesione per l’Italia”. Questo documento ci pone invece dinanzi ad un problema esattamente opposto: quello che tutti scambiano per un documento politico – tanto che il Governo lo rivendica fra i risultati della propria azione di indirizzo – è invece, a ben guardare, solo un buon documento da Centro Studi. Il “Piano Provenzano” potrebbe essere tranquillamente il prossimo rapporto SVIMEZ (del resto, la provenienza del Ministro è esattamente quella: se non fosse diventato ministro oggi starebbe lavorando al Rapporto SVIMEZ 2020).

L’utilità (ma anche il limite) di questi documenti e che essi riportano dei dati (sono spesso le migliori fonti di cui ormai dispone la PA, e quindi il Governo) e contengono suggestioni: i 5 punti del Piano Provenzano sono tipici di questi Rapporti. Se si sfogliano i Rapporti Svimez degli anni passati si troveranno sempre 4 o 5 o 10 punti. Tutti, sempre, più o meno suggestivi. Lo stesso dicasi per i Rapporti Arel, Italiadecide, Nomisma, ecc.

Documenti utili, certamente, ma che non si configurano – per loro stessa natura – quali strumenti incisivi di intervento politico. Si tratta di elaborazioni tutte al di qua della iniziativa politica poiché i soggetti che li producono non hanno (giustamente) alcuna responsabilità sulla effettiva attuazione, ma solo sul loro realismo e quindi (al massimo) sulla loro teorica “attuabilità”.

E’ la politica che ha il compito di fare la sintesi finale, di individuare le priorità (e quindi selezionare interessi e coalizioni di interessi) e quindi di mettere in crisi lo status quo. Altrimenti il suo valore aggiunto dov’é?

Tornando all’esempio del “Rapporto Provenzano”, un documento di Governo sul Sud che non dice nulla sull’esperienza Matera (sulle illusioni suscitate e sugli esiti deludenti), che su Italsider ripete i voli di fantasia del “Cantiere Taranto” improvvisati da un Governo in evidente affanno negli ultimi 2 mesi, ecc. che valore politico ha? E’ solo una (interessante, per carità) analisi da centro studi.

Insomma, le fonti informative e conoscitive (di qualità) sono strumento indispensabile, ma non sufficiente, ad una politica (di qualità).

Oggi le carenze si riscontrano su entrambe i versanti, ma guai ad aderire alla vulgata pessimistica: esempi positivi continuano ad essere prodotti, almeno sul primo versante, quello delle fonti conoscitive. Prima o poi anche il versante politico si rimetterà in moto!

Enrico Seta

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