In fondo, noi viviamo un tempo straordinario ed esaltante per quanto le difficoltà incombenti – che forse ne rappresentano il prezzo – rendano opaco un orizzonte pur carico di attese e di promesse, sempre che sappiamo coglierne il senso.
E’ come se l’uomo fosse posto – pur non essendo più nel giardino dell’Eden – ancora una volta, e pur senza indulgere a suggestioni millenariste, di fronte ad una domanda irrevocabile che lo concerne e decide del suo destino.
Il “Manifesto di Assisi”, recentemente proposto e sottoscritto da autorevoli personalità, denuncia, ad esempio, come vi sia un limite oltre il quale l’ equilibrio dell’ ecosistema non è più sostenibile, almeno secondo il ritmo di crescita che ci siamo imposti.
Cozzarvi contro vuol dire entrare in una contraddizione che non si risolve con aggiustamenti più o meno marginali o sia pure con provvedimenti perentori che comunque permangano entro il modello di sviluppo in essere.
E’ indispensabile pensare ad altri paradigmi che non si risolvano meramente su un piano tecnico, bensì esigano
comportamenti, stili di vita, sentimenti, attitudini nuove dei cittadini, in quanto collettività, ma sopratutto in quanto persone singole, evocate addirittura, ciascuna per se’, alla consapevolezza di una nuova e diversa dimensione esistenziale.
E’ come se l’ avvertenza di tale limite, strappandoci da comportamenti talmente consolidati da riprodursi giorno per giorno meccanicamente, convocasse ciascuno di noi di fronte alla propria coscienza e questa lo invitasse a compiere un salto di qualita’ morale, nel senso di inediti “mores” da assumere.
Constatiamo, peraltro, come il confronto, spesso rude, con il “limite” si ponga anche in altri contesti e per altri versi, a cominciare dal campo dello sviluppo scientifico e tecnologico. E’ come se, oggi, l’uomo fosse posto, in modo inedito e crudo, di fronte al “limite” in se’ e dovesse risolversi pro o contro, per accettare il vincolo di un confine insuperabile o piuttosto violarne il tabù.
Il che lo consegna ad una cruciale responsabilità nei confronti di sé stesso. orse perfino inedita nella sua radicalità.
Lo rinvia a misurarsi con la propria finitudine; lo induce a riappropriarsi effettivamente di se stesso, oltre il demone di una presunta onnipotenza che, al di là dell’immediata apparenza, di fatto risulta alienante. Finora, ad esempio, il progresso scientifico si è sviluppato secondo un ritmo via via crescente, come se avanzasse imperterrito in una prateria sconfinata in cui non erano previsti ostacoli, divieti o percorsi obbligati se non quelli che la scienza stessa disegnava a suo criterio.
Scienza e tecnologia hanno cambiato profondamente non solo le condizioni di vita, ma le stesse dinamiche del pensiero, ma pur senza mai costringere l’uomo, almeno fino ad oggi, a rimettere seriamente in discussione se stesso fino al punto di dover ripensare – sfidato da domande che la scienza pone, ma da sola non è in grado di soddisfare, cosicché sono necessariamente trasferite al campo della filosofia e della riflessione morale – il fondamento della sua esistenza e la stessa essenza della sua natura.
Senonchè oggi la ricerca scientifica – soprattutto nel campo della genetica e delle neuroscienze – va oltre, penetra e svela le connessioni più intime della nostra struttura biologica e mentale.
Offre tecnologie e potenzialità di intervento talmente pervasive da indurre o addirittura imporre una svolta antropologica o, se non altro, una domanda impellente in tal senso.
Posta in modo tale da investire anche la politica che deve necessariamente contemplare, tra le nuove categorie interpretative di cui ha bisogno, il versante delle cosiddette questioni “eticamente sensibili” e, dunque, quella sorta di “rivoluzione antropologica” cui non può sfuggire. E’, cioè, messa in discussione l’ “auto-comprensione” dell’umanità, entro un percorso che la porta a ripensare – alle soglie del terzo millennio dell’era cristiana – cosa siano l’uomo, la vita, la storia. Come se l’ uomo si affacciasse su se stesso con uno sguardo nuovo, perfino ingenuo ed innocente, per chiedersi, ad esempio – e’ il tema del cosidetto “transumanesimo” – se, in fondo, altro non sia se non la crisalide di una variopinta farfalla che non ha ancora spiccato il volo.
Non a caso, siamo approdati alla “biopolitica”. Il sistema politico-istituzionale addestrato ad affrontare tematiche di ordine collettivo, a fatica prende in carico argomenti che toccano questioni assolutamente delicate e complesse, nella misura in cui attengono gli stessi atti fondamentali della vita e della morte, l’identità originaria della persona, lo sviluppo delle sue potenzialità.
A tal punto dobbiamo chiederci: c’è un “limite” da osservare oppure tutto è permesso, in nome del “progresso”, salvo definire cosa ciò esattamente significhi ?
La dignità della persona, la sacralità della vita non impongono forse, ad esempio – ed a prescindere da un dato di fede – che non si possa impunemente sperimentare con embrioni umani come fossero un qualunque ed inerte materiale di laboratorio? Oppure la scienza è una deità cui si deve ogni sacrificio, perfino cruento, pur di non recare un vulnus all’ossequio incondizionato che dobbiamo alla facoltà conoscitiva della nostra ragione?
Ed il limite come va inteso? Come un divieto inappellabile o una barriera intangibile oltre la quale pur si stende una landa inesplorata ed inesplorabile, per quanto, forse, lussureggiante? Oppure il “limes” rappresenta un confine stabilito per delimitare più esattamente il territorio già conquistato che sta, dunque, al di quà ed, in tal modo, permettere, una volta circoscritto, di strutturarlo al meglio? Ed è possibile, a quel punto costruirvi un luogo eminente, una torre d’avvistamento da cui proiettare almeno lo sguardo in quel territorio vergine che, invece, sta oltre e comprendere se vi sia un modo alternativo di percorrerlo, pur senza violare il divieto che la ricerca scientifica, per la sua stessa natura sperimentale, comprometterebbe?
Rispettare quest’ultimo, significa, quindi, mutilare la nostra vocazione alla conoscenza oppure, al contrario, rispettare la dignità della persona e la verità che la sottende addirittura apre, inaspettatamente, nuove frontiere conoscitive ?
C’è chi ritiene vi sia una radicale incompatibilità tra scienza e fede, addirittura una contrapposizione irriducibile, cosicché ogni riferimento ad una dimensione trascendente vada respinto in quanto di per sé ostativo al libero, illimitato, incondizionato sviluppo della scienza, assunta come l’ unica e totalizzante modalità conoscitiva che ci sia concessa.
Eppure – contrariamente a quanto presume un relativismo che, sviluppato fino alle sue estreme conseguenze, sarebbe devastante e distruttivo della nostra comune umanità – se c’è, come razionalmente è necessario ammettere, una “verità” dell’uomo, se, cioè, è riconoscibile la coerenza e la oggettiva consistenza dell’essere umano, posta a fondamento della sua dignità, non si può ritenere che rispettando quest’ultima, anziché spiaggiare sul bagnasciuga dell’oscuramtismo che taluni pretendono di denunciare e di imputare ai credenti, ci apriamo ad inedite piste che addirittura allargano il ventaglio della nostra irrevocabile vocazione alla conoscenza ed alla verità ?
Domenico Galbiati

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