Domenico Galbiati è già brillantemente intervenuto attorno alle riflessioni di Padre Sorge sui rapporti tra i cattolici e la politica ( CLICCA QUI ).

Nel seguire il ragionamento del padre gesuita, ma pure quello di molti altri che commentano l’idea di dare corso ad un’iniziativa politica ispirata cristianamente,  mi capita spesso di chiedermi se talune considerazioni non siano svolte in una dimensione esclusivamente domestica e fortemente legata alla contingenza politica.

Vorrei premettere che, a mio avviso, una consistente, valida, efficace e continua azione politica non possa che essere svolta sulla base di una visione universale e, contemporaneamente, di una forte consapevolezza della necessità di dare risposte efficaci ai problemi concreti. Anche a quelli piccoli, o che tale appaiono, cui si è recentemente riferito Papa Francesco.

Parlando della possibilità di ridare una voce a quel filone di pensiero che si connette al popolarismo e al moto democratico cristiano, si avverte la mancanza sia di un riconoscimento della dilatazione internazionale di un vasto e importante fenomeno politico, sia dell’adeguata valutazione delle reali dinamiche che concorrono ad influenzare la realtà del mondo cattolico e quella dell’intero Paese.

Così, l’impressione è di trovarci di fronte ad un’involontaria restrizione visiva.

Come se il problema del rapporto dei cattolici con la politica riguardasse solo l’Italia e, in questo ristretto ambito, fosse possibile ricercare una qualche soluzione, solo in relazione alla contingenza storica che ci è dato di vivere.

Se è giusto preoccuparsi del “salvinismo”, così come di tutte le forme egoistiche ed irrazionali di sovranismo o di populismo, non è logico a queste riferirsi quale punto esclusivo di partenza di un’analisi che dovrebbe avere ben altro respiro.

Un efficace contrasto a quanto appare oggi sotto le sembianze di una forza dai connotati che non piacciono  non può che determinarsi su quel piano alto della politica rappresentato dal porsi al cospetto di ciò che davvero influisce sulle lunghe dinamiche economiche, sociali e civili.

Ciò vale soprattutto oggi in un mondo connesso e globalizzato. Al tempo stesso, tascabile, ma dilatato. Semplificato, ma reso complesso dall’eccesso di semplificazioni cui è ridotto nella rappresentazione che ne fa la comunicazione e cui conduce lo scontro politico.

Che la dimensione dei problemi relativi all’Italia andasse oltre i patri confini, lo capì molto bene, già tanto tempo fa, don Luigi Sturzo quando, agli inizi dei primi anni ’30, cominciò a porsi il problema dell’Europa e avvertì la necessità di lavorare alla creazione di un’unione internazionale democratico cristiana.

Del resto, è universale la questione complessa attorno cui si raccoglie la dialettica tra Fede e politica, tanto intrigante per i cristiani sospinti dalla necessità di dare sostanza partecipata al proprio riferimento spirituale e religioso.

Questo, però, è tema in corso di svolgimento in tutto il mondo e tante sono le soluzioni aperte. A conferma che la dimensione della trascendenza, e della sua declinazione in quella peculiarità costituita del suo riversamento nella responsabilità pubblica, non è un’esclusiva dei cattolici italiani e non è neppure solo dei cattolici.

Anche a voler tralasciare esperienze europee a noi più vicine, le più consolidate sono quelle della Cdu e Csu tedesca e bavarese e del Partito popolare spagnolo, nessuno può negare l’incidenza, oltreoceano, dei movimenti religiosi e delle sette negli Stati Uniti, oltre che della voce democratico cristiana presente in alcuni paesi delle Americhe latine.

Lo stesso vale per il mondo ebraico. In Israele, ma anche al di fuori di quei confini. L’esiguità dei voti è compensata da forti presenze nel mondo della cultura, della comunicazione e del cinema, spesso anch’esse forme di espressione di un’identità soprattutto politica, oltre che economica e finanziaria.

Un ragionamento che riguarda le diverse visioni, atteggiamenti e scelte proprie del variegato campo musulmano. Dalle opzioni più ortodosse sunnite a quelle socialmente più attente, come quella della Fratellanza Musulmana , o alla presenza di gruppi legati agli sciiti, anche al di fuori dell’Iran. Gli stessi problemi esistono in India e nel sud est asiatico, nelle Filippine e in Indonesia.

Insomma, forse a parte la Cina, non c’è angolo di mondo in cui non esista la questione del rapporto della fede con la politica.

E’ ovvio che in molti casi ciò sia fortemente condizionato da antiche vicende storiche, anche sanguinose, e da quelle  tribali. L’evoluzione di popoli diversi, con credi differenti,  a volte insediati in terre ostili, è stata sostanziata ed influenzata da  una convivenza non sempre facile, destinata a fomentare e a sostenere la ricerca e la conferma dell’identità, soprattutto in  ciò che concerne la relazione con la cosa pubblica e le istituzioni.

Quell’identità che per molti cristiani costituisce, anche all’interno  del dispiegarsi delle relazioni collettive, elemento peculiare. In Europa in particolare, visto che qua ha germogliato il seme del popolarismo e del cristianesimo democratico. Persino in quei paesi  dove non esistono più, oggi, partiti organizzati risalenti a quel seme. Basti pensare  alla condizione francese e a quella italiana.

C’è da riflettere dunque su quanto il diventare il mondo cosa sempre più ridotta, in modo da costringerci a confinare non solo con chi immediatamente ci è vicino, ma persino con quanti stanno dall’altra parte del globo, non solleciti la ricerca di una propria specifica identità anche in politica.

Fenomeno presente con più forza, non sempre pienamente espresso in maniera consapevole, in particolare in quelle società più liquefatte e disarticolate in cui si è allentata la tensione comunitaria e lo spirito individualistico ha permeato sempre più l’intera società,  fino a far smarrire persino alle istituzioni la loro finalità che dovrebbero pur essere dirette, in ogni caso, al “bene comune”.

Così, c’è bisogno di un solido ancoraggio a un “pensiero forte”, ideale e politico. Capace di prospettare il recupero del senso della vita, della dimensione comunitaria ed il consolidamento delle relazioni umane.

Quello cui noi ci riferiamo è stato moto culturale, politico e popolare davvero cruciale per la salvaguardia della Pace, per incamminare popoli tanto diversi verso la convergenza economica, culturale e scientifica e il superamento di acute disuguaglianze sociali e geografiche.

Non sono cose piovute dal cielo. Probabilmente, se non ci fosse stato quel “pensiero forte”,  il quale prese le mosse dalla Rerum Novarum, ed il conseguente combinato disposto formato con la capacità organizzata di una presenza pubblica, quale è stata quella cristiano democratico e popolare,  non avremmo l’Europa di oggi e non indicheremmo nella stragrande maggioranza dei paesi che la compongono esempi importanti di democrazia, di sviluppo condiviso ed  agiatezza diffusa. Neppure ci troveremmo a disporre della garanzia di accedere agli attuali sistema scolastico e servizio sanitario universali.

Non sono piovuti dal cielo neppure gli articoli della Costituzione, cui fa cenno padre Sorge.

Il quale, queste cose conobbe e conosce bene. Anche queste riflessioni lo portarono ad elaborare il suo libro di successo con l’indicazione della necessità di una “ricomposizione” del mondo cattolico italiano appassionato di cosa pubblica. A quel libro guardò con speranza un’intera generazione di giovani cristiani interessati alla politica.

Si dirà che le cose in Italia sono cambiate ed è quindi sbagliato proporre la creazione di un “nuovo” soggetto politico, fatto di credenti e non, volenterosi di mettere insieme Costituzione e Pensiero sociale della Chiesa.

I sostenitori di questa tesi, però, non riescono a portare una dimostrazione valida di questo modo di ragionare. Così come, limitate frange integraliste non riescono a spiegare sufficientemente il perché la reazione ai problemi del Paese possa venire dalla costituzione di un “partito cattolico”.

Se la “diaspora” si è rivelata una risposta sbagliata, altrettanto tale si dimostrerebbe l’ipotesi opposta dell’auto recintarsi in una limitatissima “riserva indiana”.

Tutto ci dice che la società, le istituzioni e la politica italiane possono essere richiamate alle proprie responsabilità sulla base della ripresentazione di un modo di pensare e dell’agire politico fatto di inclusione, mediazione, confronto costruttivo sulle cose.

Non possiamo certo ritenere che il tutto si esaurisca nel formare “uomini di buona volontà”e, nel proporre ciò, riferirsi ad eventi contingenti come quelli rappresentati dall’arrivo di Matteo Salvini sulla scena. Il don Ferrante manzoniano ci avrebbe detto di trovarci di fronte a un “accidente”. Non in grado certo di condizionare una presenza politica la cui sostanza dovrebbe essere costituita, semmai, dalla capacità di andare alla soluzione di quei problemi strutturali che hanno permesso la nascita di fenomeni divisivi, com’è quello del “salvinismo”.

C’è il rischio, e questo sta apparendo in maniera sempre più evidente, che la domanda di identità non trovi una risposta ragionevole ed inclusiva. Sempre in procinto di essere strumentalizzata ed utilizzata. Persino ritorta contro quei principi ispiratori che parlano di amore verso l’altro, di solidarietà, di spirito di servizio, non diretto solamente a favore di una propria parte, sia essa espressione di interessi economici, di componenti sociali o di aree geografiche.

Qualcuno continua a credere nella necessità di riferirsi alla funzione del lievito e giustifica così, in particolare, il perpetuare la partecipazione alle fallimentari esperienze nel Pd. Ma si sa che non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.

L’invito a sparpagliarsi in tutti i partiti, oltre che dimenticare la dimostrata inutilità di una pratica simile, non mette nel conto che una valutazione sulla farina debba pure essere fatta. O va bene di tutto … pur di far lievitare qualcosa?

Una riflessione su quei due elementi cui mi riferivo agli inizi è dunque indispensabile. Quale altra forza politica risponde alla necessità di operare collocandosi in una prospettiva universale e, al tempo stesso, seguire le cose concrete con attenzione autentica al bene comune che tutti diciamo di avere tanto al cuore?

Noi riteniamo che, al momento, non ne esista alcuna in grado di assicurare tali capacità ed opportunità.

Il problema, allora, non è quello del se dare vita ad una originale e autonoma iniziativa politica. Bensì del come. Sulla base di inclusione, realismo, ragionevolezza e accettando le regole e le finalità di una sana, laica politica.

Giancarlo Infante

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