Che cosa vuol dire “l’Italia cambia l’Europa?” È lo slogan che la Meloni ha lanciato nel corso del convegno del suo partito. Sono seguite le ordinarie polemiche nei confronti degli avversari, ma ben poco sui problemi del Paese.
Eppure eravamo abituati, quando parlava il Presidente del Consiglio, a qualche riflessione realistica sulla situazione italiana.
Come si avvicinano le elezioni, i problemi reali passano in secondo piano. Non è che ci aspettassimo promesse, visto il più recente passato. I veri problemi del Paese restano e richiedono ormai soluzioni rapide. A cominciare da quelli del ceto medio, soffocato da politiche che non lo hanno saputo difendere. Basta uno sguardo agli elaborati (su dati Ocse) sulle retribuzioni annue lorde medie, a parità di potere di acquisto, dal 1990 al 2020: mentre in Paesi come il Regno Unito, la Francia, la Germania e tutti, dico tutti, i Paesi europei Grecia compresa, rilevano aumenti che vanno dal trenta al sessanta per cento. L’Italia è ultima, addirittura con una riduzione del tre per cento.
Tutti hanno migliorato il potere d’acquisto tranne noi. È un dato impressionante che spiega molte cose. Ecco perché a fronte di un minore tenore di vita, rispetto a trent’anni orsono, è emersa quella che il Censis definisce la “società del rancore” che porta direttamente ai sovranismi, chissà con quali illusioni.
Per comprendere la situazione nella quale ci troviamo basta poco. Dalla sanità pubblica, alla quale vengono sottratte risorse in termini reali, alla pressione fiscale che non diminuisce tranne qualche pannicello caldo; dal peso degli interessi (ormai fino al 16 per cento) da parte delle banche che annunciano trionfalmente utili per venti miliardi, agli stessi interessi sul debito pubblico italiano che marciano verso i cento miliardi, esattamente il doppio di quanto lo stato spende per il settore istruzione. In merito al quale meglio stendere un velo pietoso visto il disastro nella scuola italiana.
Si rinvia tutto alla finanziaria 2025 e ci sarà da ridere (per non piangere) visti i densi nuvoloni da tempesta che si addensano. E’ questa l’Italia che cambia l’Europa? Quella dei suoi problemi eternamente irrisolti, del debito pubblico che ha sfondato il bilancio dello Stato, della crescita a livelli dello zero virgola, della più bassa produttività, della disoccupazione che diminuisce solo grazie al lavoro precario mentre quella giovanile è ormai endemica. L’Italia che vuole cambiare l’Europa non sa nemmeno spendere le risorse europee nei tempi previsti.
L’Italia che non ha più i partiti e dove le due grandi tradizioni, storiche e culturali, dei popolari e dei socialisti sono sparite dalla scena politica.
La destra comanda e ritiene di avere sempre ragione, come se avere la maggioranza degli elettori votanti significasse avere sempre ragione. Occupa tutto ciò che è occupabile, a cominciare dal servizio pubblico televisivo. Pannella denunciava l’occupazione da parte dei partiti ma oggi è peggio, perché l’occupazione è da parte del governo.
A sinistra, il PD è inchiodato tra precari “campi larghi” e indugia in qualche posizione radicale, e fatica a presentarsi come partito riformista moderno.
Al centro due formazioni piccole piccole: una, quella berlusconiana che guarda a destra ed anzi collabora, e l’altra di Calenda e associati che guarda a sinistra. Il risultato è che il centro non c’è.
Dei valori fondamentali dell’Europa non si parla, come della difesa comune, dell’unione bancaria, del fondo salva Stati che ci ostiniamo a non ratificare dopo averlo firmato, di ulteriori avanzamenti verso una fiscalità comune. Solo Draghi da Bruxelles e Letta da Parigi intervengono con proposte concrete che fanno discutere le Cancellerie.
Questi si che dimostrano che cosa c’è da cambiare in Europa. Non certo i comizi, anche della signora Presidente, e tanto meno di qualche candidato da caserma
Guido Puccio