Il Foglio contesta il discorso di Papa Francesco contro la corsa agli armamenti e titola: “Caro Papa, la pazzia è solo quella di Putin. Francesco si è espresso contro l’acquisto di armi. Ma gli ucraini come si difendono, con i fiori?”.
Altri giornali fanno trapelare una certa irritazione perché il Pontefice non segue il coro che spinge per la guerra o, comunque, perché la risposta all’aggressione dell’Ucraina fatta dai russi non sia di carattere preminentemente militare. Ovviamente, sorvolando sul prezzo altissimo che già pagano gli ucraini, ma che potrebbe divenire ancora più drammaticamente pesante.
Rischiamo di rivedere, insomma, il film cui abbiamo già assistito in occasione delle due Guerre del golfo e, tra le due, in occasione di quella fratricida della ex Jugoslavia. Allorquando di Papa Giovanni Paolo II vennero progressivamente “silenziati” gli inviti a ricercare le ragioni della pace. Il Papa che disturba il manovratore. Come quando Francesco invita a non finire sottomessi del ” potere economico-tecnocratico-militar
Eppure, in occasione della guerra in Ucraina, o come allora, in molti si domandano: cosa conta il Papa? Quante divisioni ha il Vaticano? chiese una volta Stalin. Le “armi” del Pontefice e della Chiesa sono altre e, sicuramente, in grado di sopravvivere, come accaduto con quello di Stalin, ad ogni regime politico e ad ogni visione ideologica del mondo e dei suoi rapporti di forza giocati solo sulla materialità, sulla ricerca del potere e sulla disumanità delle armi. Le “divisioni” di Francesco sono formate quei miliardi di esseri umani che cercano il lavoro, una casa, un amore, un sorriso e una carezza piuttosto che un fucile da imbracciare. Cioè l’Umanità intera che non vuole “naufragare nella tempesta della guerra”.
Ma è evidente che il messaggio di pace disturba, soprattutto quando non è pacifismo generico. Anzi, se diventa proposta politica e concreta di negoziato, la cosa disturba ancora di più. Parlare di negoziato vuol dire che l’alternativa alla guerra è davvero possibilmente concreta (CLICCA QUI). E forse si teme che una concezione della vita ispirata alla fratellanza, coesistenza e cooperazione si ponga in evidente ed esplicita alternativa alla deriva guerresca.
È forse per questo, se si giunge a non voler ascoltare proprio bene le allocuzioni del Papa che ha ben visto come stanno le cose e quali sono i torti e le responsabilità. E così si confonde la sua precisa vicinanza al popolo ucraino, ma senza per questo dimenticare le conseguenze e il peso della guerra anche per quello russo, con la sua contrarietà all’idea di portare al 2% la quota del Pil da destinare al riarmo.
Si tratta, infatti, di due questioni tra di loro niente affatto legate perché l’aiuto alla lotta per la libertà dell’Ucraina invasa non autorizza alla corsa agli armamenti. A meno che non si pensi di partecipare davvero ad uno scontro diretto o a fare sì che quello in atto si perpetui nel tempo.
Vi sono poi questioni in cui Francesco non si avventura, ma noi dobbiamo invece farlo. Qual è quella di decisioni che devono essere assunte solamente sulla base di una riflessione importante da fare sul concetto di Difesa. E noi a questo siamo chiamati imperiosamente dalla nostra Carta costituzionale. E in questo quadro si pone il tema della difesa europea verso cui tutti noi siamo stati latitanti, dopo il fallimento della Comunità europea di difesa (Ced) che amareggiò gli ultimi anni di vita di Alcide De Gasperi.
La vicenda ucraina, ma non solo essa – e ciò diventa evidente se solo che ci si affacci oltre i bordi settentrionali del Mediterraneo – dimostra che l’Europa ha bisogno di superare in comune le superstiti e spesso contrapposte pulsioni nazionaliste, autarchiche, e di neocolonialismo bellicista. Essa non può non tenere conto dell’esistenza di una globalità di questioni mondiali cui, però, si deve guardare non dimenticando che le cose del mondo vanno affrontate impegnandosi per lo sviluppo e a superare le disuguaglianze che tanto costituiscono la causa di ogni conflitto.
Giancarlo Infante