L’interrogativo potrebbe apparire surreale, e certamente lo è, se non fosse che a poche settimane dall’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca, è andata in scena in pieno Washington la protesta dei sostenitori di Donald Trump che continua a sostenere, senza prove, che le elezioni del 3 novembre sono state macchiate da brogli. E la manifestazione è stata tutt’altro che pacifica se è vero che gruppi contrapposti si sono scontrati per le strade del centro e che, nonostante la polizia abbia usato gas lacrimogeni nel tentativo di disperderli, sono state ricoverate quattro persone con ferite da armi da taglio e ben ventitrè sono state arrestate. La marcia pro-Trump era scattata contro la decisione della Corte Suprema di respingere l’ultimo ricorso, contro il risultato delle elezioni, firmato dal Procuratore generale del Texas.
Contro l’immotivata ostinazione al non riconoscimento della vittoria di Biden da parte di Trump si sono sollevate severe critiche da diverse parti che non hanno mancato di ricordare che l’attuale Presidente in carica è stato eletto, secondo 17 agenzie di intelligence USA, con la più che sospetta interferenza di uno stato nemico come la Russia di Putin.
Ma allora cosa sta succedendo alla gloriosa democrazia in America descritta minuziosamente da Alexis de Tocqueville già nel 1830? E questa data non ci deve forse ricordare che dal 1861 al 1865 è infuriata la guerra di secessione americana che è costata un milione di vittime e il sacrificio di Abraham Lincoln, assassinato da un fanatico sudista il 14 aprile 1865? Che questi riferimenti storici non siano affatto peregrini lo dimostra l’abominevole assassinio di George Floyd, avvenuto il 25 maggio 2020 a Minneapolis, nello stato del Minnesota: l’afroamericano è stato ucciso da un poliziotto che gli ha premuto sul collo il ginocchio per 8 minuti e 53 secondi.
Allora forse per capire cosa sta succedendo negli USA occorre rileggere “La macchia umana” di Philip Roth, una premonizione su un Paese che non riesce a superare la macchia interiore del razzismo. Lo scrittore americano, scomparso nel 2018 e ormai noto per la sua “Pastorale americana”, predisse senza volerlo l’avvento dell’era-Trump e confessò di incontrare grandi difficoltà a comprendere, descrivere e poi rendere credibile la realtà americana: “è una realtà-disse- che sconcerta, manda in bestia, ed è anche motivo di imbarazzo per la nostra scarsa immaginazione”.
Roth è anche l’autore del romanzo immaginario “Il complotto contro l’America” il cui protagonista è il famoso aviatore Lindbergh che trasvolò l’Oceano Atlantico nel 1927 e che a questo riguardo coniò l’espressione “America first”, lo stesso motto adottato da Trump nella sua prima campagna elettorale. Una coincidenza? Non proprio se si ricorda che a Tocqueville non tutto convinceva della Democrazia in America, ossessionata dall’idea della dittatura della maggioranza, mentre a suo parere bisognava “educare la democrazia, rianimare le sue fedi, purificare i suoi costumi, regolare i suoi movimenti, sostituire, poco per volta, la conoscenza dei suoi reali interessi ai suoi ciechi istinti”. E ancora: “se la libertà si separa in modo definitivo dallo spirito religioso le mancherà sempre quell’elemento di moralità, di stabilità, di tranquillità di vita che solo la rende grande e feconda”. Anche Francis Fukuyama, con il suo saggio “La fine della storia”, si era illuso che la democrazia liberale, in primis gli USA, non aveva più nemici, anzi li aveva sbaragliati dopo il clamoroso evento della caduta del muro di Berlino nel 1989. Invece nel 2018 il politologo americano cambia registro e si interroga sulla nuova categoria della Identità o della ricerca della dignità e dei nuovi populismi, scoprendo che l’ossessione identitaria è alla base del caos politico dei nostri giorni.
Il trumpismo, “l’America first”, in quale categoria può essere collocata? Durante la campagna elettorale delle ultime presidenziali americane con il solito non curante provincialismo italiano, Matteo Salvini portava stampato sulla mascherina anti Covid il nome di Trump. Al di là dell’Atlantico, nel cuore dell’Europa invecchiata, un leader religioso “senza eserciti”, nel pieno della pandemia che soffoca il mondo, lancia, il 3 ottobre 2020, la sfida della Fratellanza umana e dedica il capitolo V della sua enciclica alla “Migliore politica” che si fonda sul dialogo e sull’amicizia sociale rifuggendo i pericoli del populismo e del sovranismo.
Papa Francesco in conclusione della Fratelli Tutti cita Martin Luther King, l’uomo che ha usato il concetto di sogno nel comizio di conclusione della storica marcia del 28 agosto 1963 che si è conclusa al Lincoln Memorial di Washington; “J have a dream”, io ho un sogno, lo stesso del poeta afroamericano Langston Hughes (1902-1967) “Tenetevi stretti ai sogni perché se i sogni muoiono, la vita è un uccello con le ali spezzate che non può volare. Tenetevi stretti ai sogni perché quando i sogni se ne vanno la vita è un campo arido gelato dalla neve”. Egregio Mr. Trump anche questa è l’America che lei ha contribuito sempre a trasformare in un “sogno rinviato”: “Che succede ad un sogno rinviato? Forse si secca come un chicco d’uva al sole? O come una ferita macera? Ha il fetore della carne putrida? O fa la crosta, come un dolce, zuccherosa e umida? Forse è solo un carico pesante. O forse scoppierà?” (Langston Hughes).
Quindi requiem per la democrazia degli Stati uniti d’America? Spetta al cattolico Joe Biden riportare la barra a dritta e far dimenticare “America first” recuperando con urgenza la logica costruttiva del multilateralismo e della storica alleanza con l’Europa. Per l’Italia è inaccettabile l’idea di una crisi irrecuperabile del rapporto di amicizia con la democrazia americana permanendo indelebile la memoria dei tanti giovani americani che sbarcando sulle nostre coste morirono per la nostra libertà e per la sconfitta del fascismo.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale l’Italia non si sarebbe risollevata senza l’aiuto dell’America, il piano Marshall , la leadership di De Gasperi e l’unità di intenti degli italiani . Poi ci è toccato vivere il tempo della guerra fredda, la fatica di praticare la giovane democrazia italiana nel confronto con i vincitori di Yalta, il boom economico degli anni 60, gli anni della contestazione studentesca e del terrorismo, il protagonismo di Mani Pulite e la fine della prima Repubblica.
Molte cose non sono risultate chiare e gli storici hanno il dovere di ricercare ancora la verità ma risulta evidente che il sogno di un mondo pacificato ha bisogno ancora dell’America in un nuovo scenario multilaterale dove l’Europa si dovrà convincere a giocare un ruolo da protagonista. Nel suo ultimo libro testamento Bartolomeo Sorge ci incoraggia a intraprendere questo cammino e ci spiega “Perché l’Europa ci salverà”.
Antonio Secchi