L’invasione russa dell’Ucraina rischia di far tornare di molto indietro le lancette dell’orologio del superamento dell’utilizzazione delle sostanze fossili per la produzione di energia e consentirci così di contrastare il cambiamento climatico. Ma quel problema resta e bisogna solamente vedere quando e in che modo quelle lancette riprenderanno a camminare.

L’impegno era quello di contenere l’aumento delle temperature medie entro l’1,5°, ma non sappiamo se questo si rivelerà possibile veramente da raggiungere. Un dubbio non banale dopo che anche il Governo italiano ha rilanciato l’ipotesi del ritorno al carbone, sia pure in maniera parziale e non a lungo termine.

Intanto, partiamo della considerazione che già tutto il mondo era giunto a riconoscere che gli impatti del riscaldamento globale sono oramai da considerarsi “irreversibili”. Ma causa dei profondi squilibri che dividono il mondo si è rivelato impossibile giungere ad un vero e proprio accordo concreto condiviso. Così a Glasgow, in occasione della conferenza mondiale COP26 si è dovuto registrare un sostanziale fallimento (CLICCA QUI).

Adesso giunge un ulteriore studio delle Nazioni Unite, frutto del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, che esamina la vulnerabilità della popolazione mondiale giungendo alla conclusione che il 40% degli esseri umani è direttamente e fortemente a rischio. Questa importante porzione dell’umanità è quella che subisce gli effetti dell’innalzamento delle temperature in termini di inondazioni, vasti incendi e ondate di caldo stanno colpendo sempre più frequentemente e larghe aree del mondo.

Il nuovo studio rileva che, tra il 2010 e il 2020, è aumentato di 15 volte il numero dei morti provocati da eventi estremi come alluvioni, siccità e tempeste, in particolare in Africa, in Asia meridionale e nell’America centrale e meridionale.

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