“Tutto il tema dell’eutanasia, in un momento di forte crisi della spesa sanitaria in tutto il mondo, va affrontato con grande attenzione, se non altro per una ragione pratica. L’eutanasia rischia di diventare la morte dei poveri che non possono curarsi, che sono soli, che sono limitati nei movimenti. Se quella possibilità entrasse nella legge, nelle regole dello Stato, la deriva discriminatoria mi parrebbe inevitabile”.

Lo afferma Luciano Violante e, per parte nostra, riteniamo pertinente e fondata la preoccupazione espressa dall’ ex-Presidente della Camera dei Deputati.

A nostro avviso, va, anzitutto, puntualizzato il contesto in cui il Parlamento è chiamato a legiferare in ordine alla non punibilità dell’aiuto al suicidio, al fine di normare modalità e condizioni di espletamento dello stesso.

Ciò a seguito della sentenza n.242 del 25 settembre 2019, con la quale la Corte Costituzionale ha affermato – a fronte dell’inerzia del Parlamento che ha disatteso l’invocata legiferazione in merito – l’ illegittimità costituzionale dell’art. 580 del Codice Penale, ma  limitatamente alla parte in cui non esclude la punibilità di chi, secondo le modalità contemplate dalla legge 219/2017 (articoli 1 e 2) concorra, agevolandola, all’esecuzione del suicidio di una persona che, autonomamente e liberamente, ha assunto tale determinazione.

E’ opportuno che il Parlamento si limiti ad attenersi a questo profilo, recependo il pronunciamento della Consulta anche in ordine al limite rigoroso che, in ogni caso, pone all’ asserita non punibilità, che è ammessa solo quando la persona che chiede di poter porre fine ai suoi giorni, sia mantenuta in vita grazie a trattamenti di sostegno vitale, sia affetta da patologie non reversibili che determinano uno stato di sofferenza ritenuto intollerabile, eppure sia in grado di decidere in modo consapevole e libero.

Il Parlamento è, dunque, chiamato a sostenere un dialogo paritario con la Corte Costituzionale, secondo una forma ed un iter inusuale ed inedito che trova il suo punto focale  nell’ordinanza 207/2018, con la quale la Corte “sospende” le proprie determinazioni in ordine alla questione di costituzionalità dell’art. 580 del C.P., rinviandole alla successiva data del 24 settembre 2019, al fine di consentire al  Parlamento di intervenire nel frattempo – come già ricordato – in sede legislativa sull’argomento.

Senonché questo  non è avvenuto, per cui, di fatto, in tale frangente, il pronunciamento di illegittimità costituzionale,  anziché intervenire successivamente, precede ed inevitabilmente condiziona l’ impegno legislativo del Parlamento, per quanto quest’ultimo possa e debba assumere il pronunciamento della Corte alla stregua della considerazione, non della prescrizione.

Ciò che, ad ogni modo, ci importa rilevare, anche in questa occasione – secondo quel rispetto del valore intangibile della vita, dal concepimento alla sua naturale conclusione, che, a nostro avviso, rappresenta un pilastro fondamentale pure in rapporto alla piena affermazione del nostro ordinamento democratico – è come, esaminato l’ intero percorso che decorre dalla legge 219/2017, all’ordinanza della Corte 207/2018, alla successiva sentenza 242/2019, non si ravvisino considerazioni o argomenti che alludano alla necessità o, più semplicemente,

all’opportunità che ci si avvii verso una legislazione eutanasica anche nel nostro Paese.

Non a caso, infatti, la Corte (ordinanza 207/2018) riconosce come “la legislazione oggi in vigore non consente al medico che ne sia richiesto di mettere a disposizione del paziente trattamenti diretti, non già ad eliminare le sue sofferenze, ma a determinarne la morte”.

Riconosce, inoltre, che il divieto di aiuto al suicidio non può dirsi, in quanto tale, costituzionalmente illegittimo, risultando “in effetti, funzionale alla tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema ed irreparabile, come quella del suicidio”.

La nostra posizione è chiara ed avversa ad ogni ipotesi di legislazione eutanasica, per cui ci auguriamo che il confronto parlamentare circa l’aiuto al suicidio, non diventi l’occasione per alimentare i fuochi di una controversia ideologica di cui, soprattutto in questi momenti, non avvertiamo il bisogno.

Domenico Galbiati

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