L’indagine effettuata sul comportamento tenuto dal Tribunale dei Minori di Bologna nella valutazione dei casi segnalati dai servizi di tutela dei comuni della Val d’Enza sembra essersi conclusa positivamente: il comportamento è stato giudicato corretto e ineccepibile.
E questa è una buona notizia
Anche il sindaco di Bibiano è accusato solo di irregolarità procedurali e amministrative nella gestione degli incarichi professionali affidati: la magistratura e il tribunale diranno se penalmente rilevanti o meno.
Quindi, tutto il clamore mediatico è stato costruito solo per una speculazione politica?
Forse è un nuovo caso Rignano? (A proposito: chi si ricorda dell’asilo degli orrori e di come alla fine i giudici di appello hanno assolto tutti?)
La magistratura e la giustizia valuteranno se ci sono stati reati nella identificazione e gestione dei provvedimenti di allontanamento e di affido sottoposti ad indagine: purtroppo, il vulnus su quei bambini difficilmente sarà risanato.
Il rapporto tra Stato e Famiglia, anche quando è in gioco la tutela di un soggetto fragile, è tutt’altro che semplice da definire, perché non è solo un problema giuridico.
E’ un tema terribilmente complesso, che urta la nostra sensibilità.
Violenze e abusi sui bambini, quando addirittura avvengono in famiglia che è il luogo dove dovrebbero trovare riparo i soggetti fragili: roba da “macina al collo”!
Come si tutela un bambino dalle violenze domestiche? Come si riesce a scoprire le violenze compiute tra le mura di casa? Come si acquisiscono le prove se chi dovrebbe denunciarle o non ha capacità di farlo o è in una condizione di naturale “sudditanza” psicologica tale da non riuscire neppure a riconoscere la violenza che sta subendo?
E quale è il confine tra violenza e modalità “brusche e discutibili” di esercitare il ruolo genitoriale? Le “sculacciate” sono un reato, un eccesso di metodi di correzioni educative o un modo – forse all’antica – di “educare” i bambini?
E come definire il disaccudimento? Incapacità educativa?
Chi giudica la competenza educativa di un genitore? Lo Stato?
E quando si accompagna a povertà personale e sociale?
E infine, in assenza di evidenze, quale valore giuridico dare alle interpretazioni psicologiche di quanto esprimono bambini che a volte non hanno la capacità di esprimere giudizi su quanto hanno vissuto e subito o che sono stati così profondamente turbati che il loro apparato psichico addirittura censura e rimuove quanto così dolorosamente vissuto?
I modelli interpretativi psicologici si fondano su una teoria affascinante, quella dell’inconscio, che non ha nessuna dimostrazione scientifica, anche se ha un suo valore euristico significativo: fino al punto di diventare, da sola, verità giudiziaria?
Gli accusati di Bibiano, al di là di eventuali abusi per vergognosi interessi economici che sono sotto indagine, hanno costruito la loro expertise e fama proprio perché hanno costruito la loro professionalità su un assunto teorico – l’interpretazione – e su un principio, la superiorità derivante dalla loro terzietà sui genitori che erano sottoposti a verifica di maltrattamento e abuso, sulla base di indizi indiretti, e spesso frutto di ipotesi e supposizioni.
Campioni nella difesa dei diritti dei più deboli o manipolatori in virtù di una loro visione ideologica?
E nei giudizi su di loro, quanto contano i concetti e i punti di vista su cosa debba intendersi e cosa debba essere la famiglia oggi?
Il punto fondamentale da cui partire è il rapporto culturale e sociale che abbiamo nei confronti del bambino, così piccolo e così indifeso: o meglio, quale è il rapporto che abbiamo con la vita.
Il bambino, in qualunque modo viene concepito e nasce, è “altro” da chi lo genera: e in quanto “altro” è “bene indisponibile”, da non manipolare, mai; nemmeno con la selezione genetica.
Non solo è “altro”, ma può essere sempre e solo in “relazione con”: ha sempre bisogno di adulti che lo aiutino nella crescita.
Di qui nasce il dovere dell’accudire, fondato su istinto primario, diventato poi modello culturale e obbligo anche sociale.
Violenza e abusi, quando evidenti o dimostrati, sono facili da sanzionare.
In un mondo in rapido cambiamento non è facile mettere il confine tra povertà educativa, disaccudimento, modelli eterodossi di cura e un modello culturale di famiglia che è diventato standard formalistico cui attenersi.
Al di fuori di un rapporto di relazione con l’altro nessuna persona può esistere.
La relazione non ha mai standard di perfezione: le buone relazioni nelle famiglie presuppongono che gli adulti coinvolti abbiano a loro volta buone relazioni tra di loro e nel contesto lavorativo e sociale in cui vivono.
Sono sotto gli occhi di tutti quei quartieri sorti dal nulla (anche se in genere si conosce il perché) con tanti palazzi allineati dove migliaia di persone con storie e desideri diversi si sono trovati ad abitare, per caso.
Anche se in palazzi signorili e di pregio, come può svilupparsi in tali innaturali agglomerati una umanità connessa da relazioni che solo la frequentazione e il lento vivere comune può “cementare”? Senza relazioni, anche i nuclei famigliari, in qualunque modo sono costituiti, si ammalano.
E quando si ammalano, la relazione all’interno si complica e può annidarsi violenza di ogni genere che si scarica sui più deboli: bambini, ma non solo.
Per far fronte a questa situazione, al di là delle fragili emotività con cui l’opinione pubblica giudica, la società e lo Stato sono al momento sguarniti di una qualsiasi strategia di azione: si oscilla tra un “lasciar fare”, a volte ipocrita, a volte distratto, e un “interventismo”, a volte manicheo, a volte solo difensivo, e in genere sempre tardivo.
Sul fronte, a presidiare un disagio importante e crescente è lasciato spesso solo il Tribunale dei Minori, benemerita istituzione giudiziaria con competenze penali, civili e amministrative: un tempo affiancato dai servizi sociali ministeriali, con competenze ora transitate in maniera incerta e per nulla organica ai servizi sociali locali.
Manca un impianto legislativo che definisca con sufficiente chiarezza il mandato dei Tribunali dei Minori e disegni in maniera organica compiti e ruoli dei servizi sociali di tutela affidati all’ente locale: occuparsi di bambini e famiglie in difficoltà necessità di una particolare competenza anche all’interno dei servizi di tutela alla persona, soprattutto in un contesto sociale così profondamente cambiato rispetto alle epoche in cui sono stati definiti i pochi riferimenti normativi esistenti.
Un disegno organico può consentire di sviluppare professionalità e competenze specifiche (è materia molto complessa e delicata, con una necessità di formazione e confronto sistematico) , non solo per valutare quando si evidenziano sospetti o segni di violenza o grave disaccudimento, ma soprattutto per intervenire con competenza e rispetto nelle tante situazioni di difficoltà e di povertà sociale e educativa, affiancando le famiglie e i genitori più fragili con tempestivi interventi di sostegno e di aiuto, superando la frammentazione oggi esistente nei modelli di intervento e anche tra i servizi coinvolti.
Essere dalla parte dei bambini – ossia della vita – vuol dire promuovere una organica riforma che dia visione e strategia alle azioni di sostegno alle famiglie, specie le più povere: modelli di lavoro e professionalità su cui investire nei servizi di tutela; ridefinizione dei rapporti tra questi servizi e l’ente locale: obblighi, vincoli, giurisdizione; organizzazione in rete con i consultori per le attività specifiche a supporto delle famiglie e delle coppie di caregivers; definizione dei rapporti con i servizi sanitari specialistici nei casi in cui sia necessario un loro intervento; modelli e modalità con cui operare con le piccole comunità di pronto intervento per i casi più complessi in cui non ci sia possibilità di mantenere il bambino presso la sua famiglia.
E poiché è materia molto delicata che riguarda il corpo vivo di una comunità, è necessario che il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale sia sviluppato senza indugio dallo Stato e anche dalle Regioni, per evitare indebite ingerenze stataliste nella vita delle persone e delle comunità locali: sussidiarietà non di principio, ma nella concretezza, devolvendo risorse e competenze, e favorendo il radicarsi di attività specifiche a livello di comunità locale.
Di pari passo devono essere rafforzate le azioni di vigilanza e tutela, non tanto di tipo burocratico (ce ne sono anche troppe) ma di valutazione di efficacia, con la facoltà di interventi sanzionatori nei confronti di coloro cui sono state devolute competenze e risorse e non hanno ottenuto i risultati previsti.
A loro volta, Stato e Regioni devono essere sottoposti al giudizio delle autorità garanti indipendenti: giudizio vincolante e sanzionatorio, perché la storia racconta di una decennale distrazione sui temi dell’infanzia e della famiglia da parte delle istituzioni
Indignarsi per i fatti di Bibbiano è doveroso: ma ci si dovrebbe indignare ancora di più per il vuoto politico che da decenni accompagna la condizione dell’infanzia in Italia.
Invece di moltiplicare le telecamere per “sorvegliare”, è urgente promuovere una riflessione politica e programmatica che cominci a definire i confini entro cui la società civile può finalmente essere sollecitata a intervenire.
Tutti sono “autorizzati a pensare”, specie chi fa politica.
Massimo Molteni