“E’ per questo che il governo non è caduto nonostante lo stato in cui si trova. Perché esistono opposizioni, ma non un’alternativa di governo”. Lo afferma – in forma semplice, lucida e pacata, cosicché il concetto non sfugga a nessuno – Romano Prodi, nell’intervista concessa al Corriere sabato scorso. Si tratta di un’affermazione che immediatamente interpella il Partito Democratico, maggior forza della suddetta opposizione.

Vi sono momenti nella vita di un Paese – quando si tratta di fronte ad un bivio di scegliere una strada o l’altra, sapendo come siano destinate a divaricarsi irrimediabilmente, con conseguenze di lungo termine che toccano la sua stessa collocazione internazionale – nei quali il ruolo di una forza politica, al di là di ogni possibile dialettica interna, va commisurato alla oggettiva responsabilità nei confronti dell’ intera comunità, che – fosse pure, perfino, a suo dispetto – le viene caricata sulle spalle necessariamente, cioè per lo stato in sé delle cose. In questo senso, un tale partito si trova non solo a rappresentare il proprio elettorato, bensì è tenuto a guardare verso altre e differenti forze, che, nell’ urgenza dirimente di quel determinato passaggio, pur condividono la traccia generale di una analoga preoccupazione e, dunque, di un eventuale e possibile percorso comune.

Esattamente il contrario della cosiddetta “vocazione maggioritaria”. Ed oggi siamo esattamente di fronte ad un bivio di questo genere. Con le prossime elezioni politiche – perché di questo si tratta e non d’ altro – l’Italia deve decidere se consegnarsi ad una destra che cerca di trascinarla nel campo delle democrature oppure intenda confermare la sua vocazione liberale, democratica e costituzionale.

Per questo su tutto si impone l’esigenza di battere la destra in occasione della prossima consultazione elettorale, alla quale ci stiamo talmente avvicinando, da non disporre, quasi, del tempo necessario a costruire un’ alternativa che non sia abborracciata, ma risponda ad una credibile visione del futuro dell’Italia, nella cornice della sua esplicita e ferma vocazione europea.

Ad ogni modo, espressamente interrogato dal suo più autorevole esponente, come intende rispondere il PD? Giustamente – e significativamente – Prodi, neppure di striscio, allude al cosiddetto “campo largo”, imperniato su un’alleanza tra PD e Movimento 5 Stelle, di cui si sono smarrite perfino le tracce. Gli elettori, infatti, come potrebbero affidarsi ad un’alleanza talmente rabberciata, da tradire immediatamente la sua portata strumentale ad una mera ragione di potere, neanche’ si trattasse di un puro e semplice accordo tecnico di desistenza elettorale? E se, per caso, la giostra impazzita dei numeri attribuisse la vittoria ad una tale supposta “sinistra” come potrebbe governare?

Conte ha scelto il suo campo e tutt’al più può intendersela con Salvini. Senonché, essendo impraticabili sia la storica “vocazione maggioritaria” che il più recente “campo largo”, quale indicazione strategica – terreno su cui giustamente Prodi ritiene non tocchi a lui inoltrarsi – intende proporre il PD?

Domenico Galbiati

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